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La Costituzione: baluardo contro la dittatura del desiderio

Creato il 29 ottobre 2013 da Uccronline

Dittatura desiderio“Mori potius quam non desiderare”. Morire piuttosto che non desiderare. Questo detto latino riassume una delle principali caratteristiche dell’essere umano: il desiderio. Non occorre citare filosofi e pensatori come Schopenauer e Oscar Wilde per ribadire quanto il desiderio sia componente essenziale dell’uomo, la spinta propulsiva alla sua esistenza. La vita è già in sé desiderio di vivere; senza questo, l’uomo smarrisce sé stesso e pure le ragioni per proseguire la sua vita biologica.

Ma è altrettanto vero che questa è l’epoca del politicamente corretto, il tempo in cui tutti hanno diritto a tutto. Ma è davvero così? Tutti hanno davvero diritto a tutto? E c’è un diritto per ogni cosa? Ogni cosa può diventare un diritto? La risposta più sincera e spontanea che si possa dare è “sì, certo. Tutto hanno diritto a essere felici”. Ma qui si può fare confusione. Tutti gli uomini desiderano essere felici e attribuiscono la felicità a svariate cose che desiderano. Ma desiderare qualcosa significa davvero che essa ci renderà felici? E dà il diritto di possederla? Desiderio e diritto coincidono?

E’ la riflessione operata da Lorenza Violini, ordinario di diritto costituzionale all’Università di Milano, che parla di “teoria del desiderio insaziabile”. Mimmo Muolo, giornalista de l’Avvenire inviato a Torino per assistere ai lavori della 47.ma Settimana Sociale, intervista la costituzionalista, la quale spiega con concetti limpidi che il desiderio, lasciato libero nella sua forma più vorace e insaziabile, è diventato una lama affilata capace di tagliare in modo chirurgico i legami tra matrimonio e famiglia, legge naturale e società.

Attaccando la famiglia intesa come realtà che poggia sull’unione naturale tra uomo e donna, il desiderio insaziabile attacca il singolo individuo. Ognuno di noi ne viene attaccato e leso in modo subdolo e ingannevole, poiché il desiderio insaziabile pare invece, all’opposto, lottare per i tutti i diritti che ogni singolo individuo possa immaginare. La famiglia, per la sua duttilità sociale, non è questione confinata nel diritto privato, dove si dibattono i vari “io voglio”, ma soggetto pubblico di primaria importanza, fa notare la Violini. Per cui “sposo chi voglio, anche se del mio stesso sesso” o “anche se è consanguineo” o “anche se sono già sposato, così d’avere più coniugi” non rientrano né nel diritto giuridico né nei fondamenti costituzionali della nostra società.

Gli articoli 29 e 30 della Costituzione parlano chiaro. Il primo recita che la famiglia è “società naturale fondata sul matrimonio” (definizione data da Achille Togliatti) i cui coniugi hanno “uguaglianza morale e giuridica”, il secondo insiste sul “diritto-dovere dei genitori” di “mantenere, istruire ed educare i figli”. Violini fa notare che in nessuna di queste definizioni è esplicitato il concetto di eterosessualità ma perché esso vi è dato per ovvio e scontato, poiché i concetti di “società naturale”, “coniugalità” e “filiazione” hanno implicita connotazione eterosessuale. Ma ciò mostra che il problema è, più che giuridico, in primo luogo culturale. Fin quanto è legittimo un desiderio? Fin dove può spingersi fino a diventare un diritto? Ma soprattutto: cosa rende davvero tale la famiglia, e qual è il legame tra famiglia e matrimonio? Infine, cosa ancor più fondamentale, cos’è questa “legge naturale” di cui i difensori del matrimonio etero tra non-consanguinei parlano tanto, e che troviamo persino nella nostra Costituzione? Di cosa conversiamo realmente, noi contrari e noi sostenitori del matrimonio gay, quando dibattiamo su ciò? Cosa c’è davvero in gioco?

Chiudo con queste domande forti, che aprono spiragli su questioni enormi eppure a portata di mano di tutti, con le quali determineremo il futuro delle prossime generazioni, molto più di quanto comprendano sia coloro che giocano ad atteggiarsi a grandi intellettuali “gay-friendly” sia gli omofobi che si mimetizzano tra coloro che davvero difendono la famiglia. Tanto è aberrante il conflitto ideologico in atto, che il Reato di Omofobia, se venisse approvato, consentirebbe di mandare in galera anche chi difende ciò che è scritto proprio nella nostra Costituzione, creando nella nostra società un cortocircuito tanto invisibile quanto subdolo, tanto nascosto quanto pericoloso. Ma la storia insegna che a volte, contro i desideri insaziabili aizzati da certi venti ideologici, portati avanti dalle onde di cambiamenti in atto, c’è poco da fare, come gridano le vittime innocenti delle rivoluzioni di tutti i tempi.

Claudio Gnoffo


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