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§ La disconferma logora chi ce l'ha in continuazione §

Creato il 25 febbraio 2011 da Faith

Sapevo a cosa andavo incontro.
Sapevo che i miei giorni qui a Milano sarebbero stati caratterizzati da disconferme una dietro all'altra.
Disconferme che mi sarei dovuta tenere senza protestare, che in questo momento protestare è deleterio, significa gettare altra benzina sul fuoco, ma mentre si oscilla tra la vita e la morte, chi ha voglia di restringere il cerchio infuocato dentro il quale dobbiamo saltare?

Sapevo però a cosa andavo incontro perchè il pericolo rende per forza di cose tutto più chiaro, obbliga tutti a manifestare i propri sentimenti nella maniera più autentica.
Così mio padre scopre tutte le carte e da essere controllante diventa quello che è veramente, ossia un iperansioso, che spero superi tutto questo periodo senza farsi venire un infarto e/o un ictus.
Mia madre svela tutte le sue reali opinioni su di noi, mio padre scopre chi sono i fratelli di cui può fidarsi e tutti noi abbiamo ormai la prova provata che i parenti di mia madre sono una massa di gente incongrua.
Per essere gentili.

Quello su cui non ho comunicato e successivamente metacomunicato prima di partire, è stato che sapevo a cosa andavo incontro, che temevo mi mandasse in pezzi e che avevo bisogno di qualcosa che mi desse la sensazione di restare a terra. Di esistere a terra.
Avevo bisogno che custodisse.
Ma sul chiedere aiuto c'è sempre un paradosso. C'è la possibilità del rifiuto e di dover quindi sforzarsi di cavarsela da soli. Ma se uno deve cavarsela da solo lo stesso, allora perchè correre il rischio del rifiuto?
In sè, comunque, della cosa mi vergogno molto. Non solo perchè ho chiesto aiuto, cosa così lontana da me, ma perchè di fronte al giusto rifiuto, ho avuto la mia solita reazione impulsiva.
Mi sono scusata, senza nemmeno sapere se le scuse abbiano avuto un qualche successo, e me ne sono allontanata, perchè mi vergogno molto, adesso, di questo mio lato del carattere.

Ieri abbiamo assistito al racconto della versione di mia madre sul ricovero a Caserta e sulle modalità con cui è stata presa la scelta di andare a Milano.
Affascinante l'interpretazione soggettiva dei fatti di ciascuno.
Secondo mia madre, a insistere perchè uscisse dall'ospedale di Caserta è stato il suo medico, a spingerla a Milano è stato mio fratello.
Io e mio padre ci siamo scambiati uno sguardo complice nella non esistenza in questa storia.
Il ruolo di mio padre è limitato alle scene di pazzaria al momento in cui bisognava dimettere mamma contro il parere medico.
Il mio sembra ancora meno esistente, io sono servita a cucinare.
Con estrema dolcezza, mi viene costantemente rimandato quanto sia stata sciagurata nel non rimandare tutti i miei impegni di lavoro (alcuni dei quali anche fuori dalla Campania) per essere lì il giorno dell'intervento, in cui tutti hanno aspettato fuori alla sala operatoria dalle sette e mezzo fino alle tre e mezza quando è uscita.
Non vengono assolutamente narrate le scene in cui ad urlare per insistere per andare a Milano eravamo io e mio padre, che a recuperare le informazioni sugli altri ospedali campani sono stata io, che a trovare i contatti e le procedure con cui entrare in contatto con gli ospedali di Milano me ne sono occupata io, pure mettendomi in macchina alle 9 di sera di un gelido martedì.
Per non parlare del viaggio in macchina bestemmiando per i dolori all'anca.
Tutto cancellato, tutto inesistente nel suo racconto e quindi nella sua realtà psichica. E io devo riuscire a tollerare tutto questo.
Devo riuscire a tollerarlo insieme a tutte le altre paure, naturalmente. Devo riuscire a tollerarlo insieme alla paura che stia male, alla paura che appresso a lei si senta male anche mio padre, insieme alla paura più profonda, che possa morire, lei, senza che nella sua vita io sia mai stata capace di farle vedere qualcosa di buono.
Perchè il meccanismo istintivo è semplice: se lei non vede nulla di quello che faccio, la colpa è chiaramente mia che non mi impegno abastanza, che non sono nemmeno lontanamente vicina alla figlia che avrebbe voluto. Per me questo è un dolore immenso, che diventa ancora più grande quando mi immagino il suo di dolore, ogni volta che silenziosamente e inconsapevolmente si trova a constatare questo.
Se allora uno non è niente, può cercare di oscurare un po' questa sensazione per qualche ora, perchè a questo servono le sostanze, o può abbandonarsi alla rabbia più feroce e dar ragione a tutto l'odio per sè.

Quello di cui avevo bisogno era la conferma materiale-simbolica di avere almeno qualcosa/qualcuno che mi vedesse. Perchè se c'è qualcuno con cui ho diviso la capacità di vedere. Perchè solo questa sensazione, benchè mi terrorizzi in altri modi, mi dà l'idea di non aver fallito in tutto semplicemente perchè ho fallito nella cosa principale.

Oggi andremo tutti a togliere i punti, forse avremo qualche notizia in più dell'esame istologico.


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