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La fata ignorante

Creato il 18 febbraio 2014 da Baraka

Ogni scienziato sa che la realtà non è affidabile. [...] Ciò che si sa non è mai sicuro, e non è mai completamente esaustivo. Paradossalmente e in modo controintuitivo, più un dato è preciso e più è probabile che non sia affidabile*

Questo è essere ignoranti, ed è il propulsore della ricerca scientifica. Stuart Firestein, scienziato, un passato nel teatro, professore di neuroscienze alla Columbia University di New York, la mette giù così: molti vedono la scienza come un contenitore pieno di cose misteriose, ma anche pieno di risposte. Più rassicurante della coperta di Linus, più calmante di una dose di valium, la risposta dello scienziato o del medico di turno è sempre buona, basta che funzioni. Finché funziona...

E quando no? Quando la scienza non ci dà le risposte che vorremmo o non ce ne dà proprio o quella che ci aveva dato non va più bene? Quando scopriamo che il contenitore è una scatola vuota con dentro un grande punto interrogativo? È proprio qui che Firestein ci vuole portare con il suo libro,
Ignorance, Viva l'ignoranza! nella versione italiana per Bollati e Boringhieri: la scienza non è fatta di risposte ma di domande. Ignoranza quindi intesa nel senso letterale del termine, è il non sapere qualcosa, osservare un fenomeno e ignorare come funzioni, perché e come, cioè un problema da risolvere, altro che soluzione. Non solo, l'ignoranza come generatore di idee e conoscenza, questo è il punto che sottolinea Firestein, un processo che si autoalimenta e si estende idealmente all'infinito (ignoranza compresa!). L'esigenza di rispondere a un quesito guida una o più ricerche dalle quali si otterranno nuove informazioni che a loro volta inevitabilmente genereranno nuovi interrogativi o porranno nuovi problemi.
La cosa più gustosa di questo processo? Il non sapere ciò che ignoreremo. Certo, come facciamo a sapere ciò che ancora non conosciamo? Ecco, ci siamo. Firestein, non si addentra in labirinti epistemologici né si mette a fare della filosofia spiccia, ma solleva, in modo più pratico, una questione affascinante: man mano che procediamo nel processo conoscitivo formulando domande e cercandone la risposta, otteniamo nuovi risultati che spostano un po' più in là non solo i confini di ciò che sappiamo, ma anche di quello che ignoriamo. Scoprire cose nuove significa anche avere nuove prospettive e queste possono portarci a domande che prima non avremmo neanche immaginato.

è un libro che nasce da un fuorviante che in fondo del mondo, della biologia e dei fenomeni naturali, si sappia ormai quasi tutto. Di nuovo, l'idea della scatola piena. La verità invece è un po' diversa, perché la scienza è fatta e si alimenta di ciò che ancora non si sa, è
corso omonimo che Stuart Firestein tiene da diversi anni alla Columbia University. Scelta esotica? Come lui stesso spiega, durante i normali corsi universitari gli studenti apprendono un'infinità di nozioni, studiano libri enormi, pesantissimi (nel senso proprio che sono tomi di qualche chilo) e questo facilmente li porta al pensiero ignorante appunto. Perché quindi non farne un corso di metodo? Parlare di ciò che non si sa, o meglio di ciò che si vorrebbe sapere, di quali sono gli interrogativi che guidano le attuali ricerche, è questo che sono invitati a fare gli scienziati che partecipano come relatori ai seminari organizzati da Firestein. Ed è di questo che parla il suo libro riportando una serie di casi-studio.


Non sarete scienziati al termine di questo corso, ma non avrete più la sensazione di essere esclusi dall'osservare il mondo con gli occhi della scienza, se lo vorrete. Non faccio proselitismo e non voglio convincere la gente che quello scientifco è l'unico modo possibile di osservare il mondo. Numerose culture hanno vissuto senza e continuano a farne tranquillamente a meno. Ma, in una cultura scientificamente avanzata come la nostra, per il singolo cittadino è potenzialmente pericoloso non avere nessuna nozione scientifica e possibilità di comprensione, almeno tanto quanto non avere alcuna idea di cosa accade nel mondo del mercato, o non conoscere le leggi*.


Firestein tocca qui un altro punto cruciale: la sensazione, comune a molte persone, di esclusione, di essere tagliati fuori e non poter capire alcune dinamiche, da cui il disorientamento e lo scetticismo. Certo, perché se assumiamo che la scienza è qualcosa di sicuro che dà risposte e soluzioni (magari anche in tempi brevi) certe e inconfutabili, poi di fronte a una risposta incerta o, peggio ancora, che risulti imprecisa alla luce di nuove evidenze, rimaniamo quanto meno perplessi (prima di incazzarci). Triviale dirlo, il problema è che le premesse sono sbagliate perché la scienza procede per prove ed errori, domanda dopo domanda.

Quando nuovi risultati scientifici forzano i ricercatori a ritrattare le loro teorie è considerato un trionfo, non un fallimento*,

scrive l'autore. Disorientante come mettersi a testa in giù, ecco perché è difficile spesso comunicare la scienza al pubblico, è come mostrare una foto girata al contrario, può essere lo stesso interessante, ma non convince, rimane sfuggente. Di solito si cerca di presentare la foto nel senso giusto, di aggiungerci una didascalia, cose certo utili ma, magari, si potrebbe provare anche ad allenare le persone a mettersi qualche volta con i piedi all'aria. Serve un nuovo modo di comunicare? Organizziamo corsi di ignoranza e yoga? Non saprei, ma questo libro mi ha fatto riflettere e mi ha fatto pensare che nuovi modi ci possono essere. È importante? Sono convinta di sì.
Per usare un esempio di incertezza citato da Firestein: nella fisica forse l'uomo non riuscirà mai ad arrivare a una teoria che unifichi quella della relatività con la meccanica quantistica; molta gente dirà " e ce ne faremo una ragione, ora però devo fare la spesa". Direi che è una risposta legittima, ma sappiamo cosa ci perdiamo?


* Le citazioni in corsivo sono liberamente tradotte cercando di restare il più fedele possibile al testo originale.


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