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La favolosa torta di Rachele

Da Silva Avanzi Rigobello

Se oggi vi va di leggere un’altra fiaba e scoprire un’altra ricetta… eccole.

Rachele la era la figlia maggiore di un modesto mugnaio.
Viveva con i genitori e i nove fratelli in un angolino delle terre di proprietà dei facoltosi Signori del luogo, che a suo padre avevano concesso l’uso della casetta adiacente al mulino, la possibilità di raccogliere le olive e la frutta dagli alberi che la circondavano, il permesso di allevare conigli e galline e di coltivare un piccolo orto che produceva quanto bastava alla famiglia per campare senza soffrire la fame.
In cambio della loro generosità però, quegli altolocati proprietari terrieri pretesero che al compimento del quattordicesimo anno di età, uno alla volta i figli si trasferissero nella loro grande dimora per aiutare la servitù ad espletare le mansioni più umili.
Quando venne per Rachele il momento di abbandonare la famiglia per compiere il suo dovere, tutti se ne rattristarono molto.
La giovinetta arrivò a palazzo dopo un viaggio di tutta una giornata sul carro del padre. La governante, che la vide così graziosa e delicata, anziché assegnarla alla mungitura delle vacche nella limitrofa fattoria dei padroni, decise di tenerla a servizio all’interno della casa grande, affidandole il compito di cogliere i fiori e sistemarli nei vasi che ornavano tutte le stanze, come piaceva alla padrona.

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Il lavoro non era certo pesante, ma la piccola sentiva moltissimo la mancanza della famiglia e della cucina della mamma, soprattutto a causa dei poco saporiti pasti riservati alla servitù.
Quello che le mancava di più era la torta di frutta che la mamma preparava la domenica mattina e sistemava in una teglia col coperchio sotto la cenere del camino, prima di recarsi in chiesa.
Se solo avesse avuto a disposizione della frutta e la possibilità di impastare una piccola sfoglia, Rachele avrebbe potuto ricreare il caro sapore di casa e per un momento sentire meno forte la nostalgia.
Ebbe un’idea. Per preparare le composizioni floreali le era stato assegnato un angolo del tavolo su cui la cuoca appoggiava la frutta da servire ai padroni.

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Giorno dopo giorno quindi, senza farsi scoprire, Rachele si impadroniva del frutto che si trovava più vicino ai fiori celandolo tra le foglie e i gambi che aveva reciso e lo nascondeva in un vaso vuoto che riponeva nell’armadio delle suppellettili in dispensa.
Alla fine della settimana ne aveva a sufficienza per preparare una torta come quella della mamma.
Aspettò che tutti fossero andati a letto e scese in cucina reggendo una candela. Recuperò la frutta e si accorse che si trattava di una mela, una pera, due susine, due albicocche e una pesca.
La sbucciò tutta, la tagliò a pezzetti, aggiunse 2 cucchiai di miele, il succo di 1/2 arancia e mescolò tutto con garbo.
Finché la frutta restava a macerare, prelevò dalla madia 2 tazze di farina (i nostri attuali 300 grammi) e le mise sulla spianatoia, aggiunse 1 uovo intero, 1 bel pezzetto di burro (oggi sarebbero 150 gr), 4 cucchiai di zucchero, 1 pizzico di sale e 1 generoso sorso di Porto.
Mescolò tutti gli ingredienti, tirò la pasta sottile con il mattarello e foderò un piatto di terracotta lasciandola abbondantemente debordare.
Bucherellò il fondo con i rebbi di un forchettone, lo coprì con 2-3 cucchiaiate di pangrattato secco e al suo interno versò tutta la frutta sgocciolata.
Ripiegò la parte eccedente della pasta verso l’interno e la coprì quasi completamente, lasciando solo un foro al centro attraverso il quale si poteva vedere bene il ripieno.
La spennellò con il latte e mise sul piatto un coperchio, l’appoggiò sul focolare, la coprì di cenere, sotto cui covava ancora la brace, riordinò la cucina e andò a dormire.
La mattina successiva quando scese per fare colazione, si accorse dell’agitazione della cuoca, che quasi si era sentita male dall’emozione nel trovare una teglia contenente un dolce perfettamente cotto sotto la cenere del suo focolare. Insisteva nel dire che era opera del diavolo, mentre la governante che ne aveva assaggiato una grossa fetta affermava che invece doveva averla preparata un angelo.

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Rachele confessò di essere l’artefice della torta fonte di discussione e si scusò per aver sottratto un frutto al giorno per tutta la settimana e utilizzato quanto le serviva prelevandolo dalla dispensa.
Ma anziché rimproverarla, la cuoca, a cui mancava il tocco di una vera pasticciera, l’abbracciò e la lodò per la torta che aveva così magistralmente preparato.
Non solo, le chiese di prepararne un’altra, stavolta senza sotterfugi e la servì come dessert ai padroni, che ne furono entusiasti.
Da quel giorno Rachele fu promossa pasticciera e in breve la sua torta di frutta mista conquistò i palati di tutti i fortunati che, invitati a cena dai padroni, l’avevamo assaggiata.
Divenne così famosa che quando questi nobili davano a loro volta un ricevimento, la chiedevano in prestito perché la preparasse anche per loro. Rachele continuò a non apportare nessuna modifica al dolce, se non la sostituzione del pangrattato con dei biscotti secchi che preparava appositamente e poi frantumava nel mortaio, rendendo il dolce ancora più goloso.

Come tutte le fiabe, anche questa dovrebbe avere una morale… magari potrebbe essere che per fare carriera (oltre a un dolce squisito), basta avere a disposizione della frutta e mostrare un po’ di iniziativa!


Archiviato in:Dolci Tagged: biscotti secchi, burro, farina, fiabe, frutta mista, miele, pangrattato, succo d'arancia, uovo, vino Porto (o Marsala), zucchero

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