Rosichella era una ragazza come tante altre: aveva due braccia, due gambe, dieci dita nelle mani e altrettante nei piedi. Aveva i capelli né lisci né ricci, gli occhi né grandi né piccoli, non era né magra né grassa, né alta né bassa, né brutta né bella.
Rosichella soffriva tantissimo nel vedere che le altre ragazze erano più fortunate di lei. Quando vedeva Spilunghella, una ragazza molto alta, che non doveva fare l’orlo ai pantaloni ogni volta che li comprava, pensava che fosse profondamente ingiusto che lei misurasse solo 1,60. Quando incontrava Seccarella, una ragazza magra, rifletteva sulla sua drammatica condizione di fanciulla normopeso, costretta a controllare quello che metteva nel piatto. Non parliamo poi di cosa accadeva se -Dio ce ne scampi- s’imbatteva in Ricciarella, una ragazza con i boccoli: poteva andare avanti per ore a borbottare contro il gran Dio dei capelli, colpevole di averle solo donato delle chiome anonimamente ondulate.
Rosichella non si limitava a osservare i capelli e il peso delle altre, ma si teneva accuratamente informata anche sulle loro vite private. Sapeva sempre se una ragazza di sua conoscenza si era fidanzata, e con chi, se una aveva passato un esame universitario e con quale voto, se un’altra aveva trovato lavoro e con quale stipendio. Rosichella soffriva immensamente se riteneva, per qualche motivo, che il fidanzato, il voto o lo stipendio fossero ingiustamente toccati in sorte a ad un’altra ragazza, e non a lei. Purtroppo, però, non poteva lasciar trasparire questo suo risentimento, e quindi si sforzava di essere gentile e cordiale, di interessarsi del fidanzamento o del contratto. Ma dentro, si struggeva tutta.
Rosichella pensava sempre che la buona sorte degli altri fosse immeritata, così come la sua sfortuna: pensava ci fosse lassù un Dio che spostava pedine e si divertiva a caricare la sua vita di miseria, e riempire quella degli altri di fortune. Una domenica d’aprile, una di quelle giornate in cui la primavera vuole stupire con effetti speciali e si fa amare anche dalla sottoscritta, Rosichella se ne stava seduta in giardino davanti al manuale di Diritto Pubblico, senza alcuna voglia di studiare, intenta a mangiarsi le unghie fino alle nocche pensando che non aveva un fidanzato con cui passeggiare sotto i glicini in boccio scambiandosi parole d’amore, né un bel lavoro per cui alzarsi entusiasta il lunedì. Mentre si arrotolava intorno alle dita una ciocca di capelli né biondi né castani, né lisci né ricci -ovviamente maledicendoli- sentì il solito astio salirle dalla bocca dello stomaco e arrivarle alla lingua, e disse ad alta voce: “E’ mai possibile che per un giorno, per un solo giorno, io non possa vivere la vita di queste ragazze? Avere un lavoro, un fidanzato, una laurea, i capelli ricci, gli occhi azzurri, essere alta e magra?”
Come in ogni fiaba che si rispetti -perché sì, checchè ne pensiate questa è una fiaba a tutti gli effetti, dotata di un suo impianto narrativo e una solida morale- comparve una fata madrina. Rosichella trasalì, perché, dopo aver visto tutti quei film Disney, si aspettava una signora di mezz’età, tracagnotta, canuta, col doppio mento, una via di mezzo tra Rosy Bindi e la fata Smemorina.
Anche questa volta, la sorte fu beffarda e le comparve dinanzi una fata gnocca: alta, tettona, bionda, occhi come laghetti alpini.
La fata madrina di Rosichella
Fu con voce flautata che la fata la apostrofò: “Rosichella, Rosichella, sai che devi stare molto attenta ai desideri che esprimi? Spesso si trasformano in realtà, e la realtà va molto oltre la tua immaginazione. “Rosichella, che era evidentemente un tipo nervosetto, si girò mostrando i denti come una iena: “Ma stai zitta anche te, fata, che sei figa che metà basta. Mi sono stufata di avere una vita scialba e assistere alle esistenze degli altri, che sono più belle, emozionanti e scintillanti della mia!” e giù lacrime di rabbia e invidia. “Ah, Rosichella, Rosichella, poiché non sono solo una figa imperiale ma sono invero molto buona e saggia, ti offrirò un’occasione unica: chiudi gli occhi, ci renderemo invisibili e ti porterò a fare un viaggio nelle vite degli altri, così ti accorgerai che non è tutto oro quel che luccica”. La fata passò le dita sulle palpebre di Rosichella, la prese per mano e insieme -puff!- sparirono.
Andarono a casa di Seccarella, e la osservarono fare merenda con una tisana drenante e senza zucchero: “Vedi, Rosichella, la tua amica Seccarella è magra perché si controlla sempre e non mangia niente di dolce. Perché sai, essere in forma costa dei sacrifici, e Seccarella li fa tutti”. Usciti da casa di Seccarella, fecero una rapida puntata nella cameretta dell’amica che aveva appena passato l’esame universitario, e la trovarono curva sul suo scrittoio come Giacomo Leopardi, intenta a ripetere in loop Procedura Civile. “Visto, Rosichella? Passare un esame non è frutto di fortuna, ma ci stanno dietro lavoro e fatica. Anche nei pomeriggi di primavera.”
Mentre la fata parlava, si avviarono lungo una via del centro e seguirono l’amica di Rosichella che stava giustappunto litigando ferocemente con il suo nuovo e gelosissimo ragazzo, convinto che lei avesse guardato un passante con occhi colmi di desiderio. Lui urlava così forte che sembrava lo stessero sgozzando, tanto che Rosichella quasi si spaventò. Per fortuna, la fata la trascinò via e non le permise di vedere la sua amica piangere di frustrazione. “Vedi, cara, essere fidanzati non è tutto rose e fiori, ma significa anche accettare la propria metà quando è insicuro, aggressivo e insopportabile”.
A quel punto Rosichella iniziò a capire che la sua invidia e il suo struggersi sulle vite degli altri erano energie perse: perché la fortuna non è tutto grasso che cola, e dietro i successi del prossimo ci sono sacrifici, dolori, rinunce. La fata, però, non aveva esaurito il suo compito. Non bastava mostrare a Rosichella quanto fosse stupido idealizzare la sorte degli altri, oh no! Era necessario anche spiegarle come riconvertire queste energie in modo positivo.
Per fare questo, la fata la portò a fare un rapissimo tour in un mondo diverso, in cui Rosichella finalmente si metteva a dieta, imparava a usare la piastra per farsi i ricci, si applicava seriamente e passava l’esame con 26 -che ok non è 30 e lode e neppure 30 ma è comunque un voto della Madonna- e finalmente un giorno mentre sedeva in aula studio si accomodava al suo fianco un un ragazzo bellissimo, che le sorrideva e faceva per presentarsi, ma appena il ragazzo stava per dire il suo nome, l’incanto finì e Rosichella si ritrovò nel giardino di casa sua, davanti al manuale chiuso.
Rosichella si sentiva spossata, come se avesse camminato per ore. Era confusa, e non riusciva a capire se era stato tutto un’illusione o se davvero una fata gnocca l’aveva portata in volo a scoprire le vite di tutte quelle persone. Della fata, peraltro, nessuna traccia.
Ormai convinta di essersi immaginata tutto, Rosichella sbuffò e riaprì il volume, dove aveva interrotto la lettura. E fu a quel punto che trovò questo segnalibro, un promemoria lasciatole della sua fata gnocca.
A quel punto capì di non avere solo sognato.