E’ così che festeggiamo l’Italia, con il fazzoletto verde esibito da Berlusconi che esulta per il federalismo? Con l’effige di Garibaldi bruciata davanti ad una discoteca e con la scritta eroe degli immondi? Risorgimento addio? Se ne parla nella puntata dedicata all’Italia e alle celebrazioni del prossimo 17 marzo, all’Infedele, la trasmissione di approfondimento giornalistico condotta da Gad Lerner su La 7, in onda ogni settimana con argomenti di attualità dibattuti in studio da numerosi ospiti.
Le domande poste sono serie.
Come mai si mette in discussione l’unità del nostro paese e di conseguenza anche la sua storia e lo stesso Risorgimento? Perché poi la Lega ha interesse a boicottare il 17 marzo contrapponendovi altri anniversari regionali da festeggiare separatamente?
Le domande poste sono serie.
“ Finché non sia l’Italia dall’Alpi al mar…” – Parole dell’Inno di Mameli detto anche canto degli italiani, che il coro dell’orchestra “Giuseppe Verdi” di Milano ha eseguito, parole patriottiche rivolte oggi ad una giovane Italia che è un unico Stato da appena 150 anni, è bella questa nostra Italia che tutti ci invidiano ma, è anche arrabbiata e chiede rispetto a chi rifiuta di festeggiarla. Una volta si diceva che non si può parlare male di Garibaldi oggi invece fuori da una discoteca, nel vicentino, una sagoma dell’eroe italiano viene data alle fiamme. E’ un segnale a cui stare attenti. Un gesto simbolico che vuol essere un modo poco ideale per arrivare a quel federalismo che in tanti auspicano? Dobbiamo rimpiangere quel tempo in cui c’erano 11 stati indipendenti?
Le domande poste sono serie.
E che dire delle parole del sindaco leghista di Adro che ancora oggi si oppone alla decisione della rimozione di simboli padani all’interno di una scuola pubblica? Citando la sentenza dell’Unione europea Lancini, molto adirato : “è l’ipocrisia di uno Stato che ha il coraggio di far togliere il sole delle alpi, non capisco perché debba essere tolto, evidentemente è una violenza, questa non è un Italia arrabbiata ma, incazzata, perché è un Italia ingiusta, i cittadini non sono contenti con una Roma ladrona e non si può imporre un gesto ai cittadini, con quale scopo si tolgono i simboli”? L’aspetto preoccupante, del sentimento che attraversa queste parole è la totale mancanza di obbiettività, ancora una volta si dimostra come lo squallido interesse di bottega prevalga sempre su quello più generale, sia nei contenuti che nella sostanza. Con questo tipo di registro si è permesso al ministro leghista, Umberto Bossi, di definire i cittadini Romani come dei Porci (Suini, Maiali, Scrofe) senza vedere alcuna reazione da parte della politica né tantomeno che alcun provvedimento disciplinare fosse preso nei loro confronti. Non mi meraviglio della volgarità espressa da Umberto Bossi che nella sua brillante carriera politica si è sempre contraddistinto con atteggiamenti incivili e volgari. Rammento ancora quel suo dichiarare che lo aveva sempre duro, oppure esibire il dito medio alzandolo ben tre centimetri sopra il cielo, per non parlare del consiglio dato ad una signora Veneziana di buttare la sua sventolante bandiera italiana nel gabinetto della propria abitazione e ancora la minaccia ventilata di intraprendere la secessione (guerra civile) mediante un esercito costituito da milioni di padani pronti a combattere, fino alla morte, per ottenere l’indipendenza della Padania.Trovo veramente pericolose e allarmanti queste idee diffuse ormai da tempo e che una volta venivano minimizzate come folkloristiche perché, utilizzano una terminologia istituzionale al fine di propagandare manifestazioni e ideologie fuori dalle norme e aprono la via ad una nuova fase, incerta e nebulosa, favorendo una politica di isolamento e di discriminazione, che inevitabilmente acuisce il diffondersi di una cultura di clan invece che di unità. Pertanto diventa necessario riflettere bene sui potenziali effetti di disgregazione che può avere una riforma federalista affrettata. Credo che la gran parte di loro, tra l’altro, non sappia neanche che cosa voglia dire secessione, ma trasformi un pensiero in un pericoloso surrogato della carente identità nazionale.
L’italianità che ci auspichiamo è quella di massa, unita da grande speranza, evitiamo gli attacchi al risorgimento (pallido tentativo di mettere nel fango personaggi importanti che hanno fatto la nostra storia), dobbiamo al contrario andare avanti in qualità di popolo moderno che guarda alla globalizzazione senza dimenticare o rinnegare il proprio passato e che esso venga non solo riconosciuto ma festeggiato, celebrato, perché in quegli ideali, in quel sangue e in quelle speranze, in quell’epopea incandescente della Repubblica Romana, che pure ha costituito uno dei momenti più alti dell’ avventura risorgimentale, si misura il
nostro esser liberi , l’ Italia dei coraggiosi, dei sognatori e degli uomini democratici.Nelle parole di Mameli la poesia era azione, i versi non erano solo parole e allora recuperiamo il senso delle parole e usiamole per inforndere la volontà di coesione al sentimento nazionale , solo così si potrà rendere funzionante questo nostro Stato. Le parole sono un atto di verità. Ogni abitante del nord o del sud che ha consumato la sua inquietudine e i suoi sogni nelle vie di una città, sa che le appartiene, è parte di essa come un palazzo, una chiesa, una veduta. Pensateci, signori leghisti, quando bruciate un simbolo o quando diffondete idee disgreganti e magari passate davanti alla tomba di Mameli, sul Gianicolo, e davanti al ricordo del leggendario protagonistia di quei novanta giorni di rivoluzione e libertà, riflettete.
“Le genti d’Italia son tutte una sola…” Goffredo Mameli (morto a 22 anni, uno dei capi del movimento democratico, tra i politici più lucidi del suo tempo, animatore della rivolta popolare in tutta Italia.)