31 marzo 2014 • Interviste, Vetrina Cinema
La grande bellezza di Giorgio Pasotti è, come quella che svela il suo personaggio nel film di Sorrentino, quella meno evidente, quella più nascosta. È nella sua anima, nel suo entusiasmo, nella sua gentilezza e nella sua semplicità. E allora è difficile immaginarlo nel suo primo ruolo da cattivo. È arrivato adesso, con Nottetempo, l’opera prima di Francesco Prisco, un thriller dell’anima dove interpreta un poliziotto destinato a compiere scelte moralmente molto discutibili. Sarà strano vedere Giorgio in questi panni. Ma gli attori hanno bisogno di sfide. D’altra parte, anche Leonardo Di Caprio ha dato il meglio impersonando personaggi al limite della morale. E proprio Di Caprio è uno di quelli a cui Pasotti quest’anno avrebbe dato l’Oscar come miglior attore senza dubbi. Anche chi scrive è della stessa opinione. E così la simpatia per Giorgio Pasotti è scattata ancora più forte. Parlare con lui è come parlare con un amico che si conosce da sempre. E allora abbiamo colto la palla al balzo, parlando del suo ultimo film, ma anche de La grande bellezza di Sorrentino, dei suoi trascorsi con Muccino. E di un piccolo gioiello che amiamo molto, Dopo mezzanotte.
Che film è Nottetempo?
È un film che racconta l’incrocio di tre storie: quelle di un poliziotto che fa il rugbista per hobby, di una ragazza giovane e di un cabarettista sul viale del tramonto. Dopo un incidente stradale inizia l’incrociarsi di queste tre vite. Nel tempo di due notti racconta il susseguirsi di vari eventi. È un noir, una sorta di Drive.
Qual è il suo ruolo?
È quello del poliziotto. Sta tornando da Caserta a Bolzano, dove è nato. Nel suo viaggio comincia a essere seguito dagli altri due personaggi. È un rugbista, e come tale dovrebbe rappresentare valori etici e morali molto alti. Invece, a causa degli avvenimenti, ha una svolta molto negativa. È il primo cattivo dalla mia carriera.
Come si è preparato, fisicamente e psicologicamente?
Ero uno sportivo, ma molti anni fa. Per questo ruolo ho dovuto allenarmi tantissimo per diventare credibile come rugbista, visto che non ho propriamente la stazza… Ho fatto palestra per quasi tre mesi, diventando praticamente quadrato… Dal punto di vista psicologico è stato molto particolare. Mi era già capitato di fare, se non un cattivo, una persona scorretta, nel film di Eugenio Cappuccio Volevo solo dormirle addosso: ero uno che licenziava il personale. In quel film avevo avuto un minimo di avvicinamento a un personaggio al limite del repellente. Ma questo è un cattivo a tutto tondo, con una perfidia e una prepotenza da denuncia.
Cosa ricorda del momento in cui è stato scelto per La grande bellezza? Ha fatto un provino?
No, semplicemente Sorrentino mi ha proposto il ruolo e ho accettato di buon grado anche se era un ruolo piccolo. Piccolo ma importante: è quello a cui è assegnato il compito di aprire lo sguardo del pubblico sulla “grande bellezza”: ciò che lui intende per la vera grande bellezza di Roma, quella più sconosciuta, quella meno turistica, e soprattutto quella non fatta dalle persone che la abitano. È un personaggio particolare, e lo abbiamo costruito insieme, con questo look unico. È una sorta di giovane vecchio, un ragazzo claudicante, con il bastone.
Qual è il segreto del film?
Secondo me i segreti di un film sono quasi sempre legati alla sceneggiatura. Se uno script è bello il film corrisponderà a quella storia: non si può che migliorare. Con il talento di Paolo è migliorata una bella storia. Ho imparato che c’è una legge per cui è difficile rovinare una sceneggiatura bella, mentre se hai una sceneggiatura brutta puoi anche assoldare Spielberg e De Niro ma resterà una storia mediocre.
A proposito di Oscar, c’è qualcuno tra i vincitori o i nominati che l’ha colpita particolarmente?
Credo che ci sia un premio mancato, quello a Leonardo Di Caprio per The Wolf Of Wall Street: la sua interpretazione è qualcosa di unico, al limite dell’irripetibile. Ma gli americani tendono a premiare dei film che hanno un impatto sociale particolare, per pareggiare i sensi di colpa che hanno nei confronti di pagine oscure della loro storia. Non che l’interpretazione di Matthew McConaughey non fosse da Oscar, ma sicuramente quella di Di Caprio lo era di più. Nell’interpretazione di McConaughey sono stati premiati anche i suoi sforzi dal punto di vista fisico, ma la recitazione non è solo quello, è ben altro, è entrare in un personaggio e regalargli corde e colori assolutamente inaspettati. E Di Caprio è stato strabiliante, geniale, un istrione.
Tornando a un altro regista italiano amato in America: a lei cosa è rimasto dell’esperienza con Gabriele Muccino?
Io con lui ho esordito nella sua opera prima, l’ho accompagnato in quattro film. È un talento puro, cristallino. Molto diverso rispetto a Sorrentino: Paolo è più visionario, Gabriele è più istintivo, più legato ai sentimenti di pancia, sa raccontare i sentimenti più semplici delle persone come pochi. Sembra facile da fare, ma non lo è. È un talento puro. E la sua carriera americana lo dimostra: lì non ti fanno lavorare se non sei un talento. Devi essere ancora più bravo degli americani.
Nel caso ci fosse un terzo film dopo L’ultimo bacio e Baciami ancora, come vede il suo personaggio dieci anni dopo il secondo film?
È quello che davano per morto, ma paradossalmente, essendo uno che è passato per gli inferi, è quello che più di tutti si potrebbe salvare. In un ipotetico terzo film Adriano potrebbe aver capito quello che per lui è importante nella vita. Che poi è il segreto di ognuno di noi.
Muccino si era un po’ pentito del parrucchino scelto per Adriano. Lei che ne pensa?
Forse si è un po’ esagerato nel farne un personaggio distrutto dalla vita. Detto questo, io amo quando mi si dà la possibilità di trasformarmi completamente, di allontanarmi il più possibile da me stesso. Quindi questi sforzi che mi chiedono li faccio con piacere.
Che ricordo ha di Dopo mezzanotte?
Per me ha rappresentato un’ulteriore sfida: il mio personaggio era tutt’altro che semplice. Dar vita a una sorta di Buster Keaton moderno, già a dirlo mette paura. Ti chiedi proprio se sia possibile riuscirci. È un personaggio diversissimo da me, un personaggio surreale. Ma mi sembra di essere riuscito a dargli delle connotazioni realistiche: è un personaggio credibile. Dopo mezzanotte è un film raro perché è riuscito esattamente come Davide Ferrario lo aveva nella testa. È un film poetico, surreale, magico. È un film che ho amato tantissimo, è unico: non solo nel suo genere, è proprio unico in assoluto. In Italia raramente si realizzano film che hanno questa poesia, ma anche un linguaggio universalmente comprensibile. Tanto comprensibile che è stato venduto in quasi 130 paesi nel mondo.
di Maurizio Ermisino per Oggialcinema.net
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