Davanti alle persecuzioni si nota spesso che i laicisti più militanti usano due pesi e due misure: sono i primi a denunciare la crudeltà delle repressioni effettuate dai cristiani contro gli appartenenti alle altre religioni come ai tempi dell’inquisizione, delle crociate o della persecuzione dei pagani; ma sono pure i primi a minimizzare o, in certi casi negare, i crimini quando le vittime sono cristiane. Uno di questi casi riguarda ad esempio, la guerra civile spagnola. Per parecchio tempo infatti la guerra di Spagna è stata avvolta dal mito di un generale che tentava di sovvertire la repubblica legittimamente eletta e di una Chiesa che si mostrò fin da subito accondiscendente nei suoi confronti. La persecuzione che subì nei territori dominati dai repubblicani, fu quindi dovuta al suo essersi schierata a fianco dei ribelli. La verità storica, però, è alquanto diversa.
Già prima dello scoppio del conflitto, la Chiesa fu sottoposta a una vera e propria persecuzione. Infatti, dalla vittoria del Fronte Popolare del 16 febbraio del ’36 allo scoppio della rivolta avvenuta a luglio, centinaia di chiese ed edifici appartenenti alla Chiesa vennero distrutti o confiscati, in alcune provincie venne vietata o limitata la celebrazione del culto, ad esempio, proibendo il suono delle campane o le processioni, furono frequenti gli episodi di profanazione dell’Eucarestia, diciassette sacerdoti vennero assassinati e molti altri aggrediti. Quando avvenne la sollevazione, la Chiesa non prese parte ”all’alziamento”. Contrariamente al mito, Francisco Franco non intervenne per difendere i cattolici. Nei programmi iniziali dei ribelli non vi era alcuna motivazione religiosa. Il comandante della Giunta di Difesa Nazionale, Miguel Cabanellas, era massone e lo stesso Francisco Franco non aveva dato segni di fervore religioso tanto che uno dei suoi slogan in Marocco era “niente donne, niente messe”. Il generale cercava, inoltre, il sostegno della Germania nazista, la cui ideologia verrà condannata dal papa Pio XI nell’enciclica Mit brennender sorge e la cui lettura in Spagna verrà proibita dal caudillo (Bartolomé Bennasar, La guerra di Spagna, Torino 2006 pp. 309-315).
Al contrario, la Chiesa manifestò diffidenza verso la rivolta: l’incaricato degli affari della Santa Sede a Madrid, monsignor Silvio Sericano, espresse il 21 luglio «il veemente desiderio che la normalità (fosse) ristabilita al più presto» e durante la guerra il Vaticano continuò a riconoscere la repubblica sebbene nessuna delle due parti in lotta avesse una rappresentanza e negò l’accredito all’inviato dei nazionalisti (cosa che fece infastidire molto Franco che tergiversò non poco prima di annullare la legislazione anticlericale repubblicana). Tuttavia, fin da subito, si susseguirono violenze anticlericali persino peggiori di quelle commesse dai giacobini durante la rivoluzione francese: nel mese di luglio furono uccisi 861 sacerdoti, in agosto 2077, le morti continuarono in autunno seppur in numero inferiore e nel 1937 calarono sensibilmente senza mai però interrompersi del tutto. Inoltre, venne bandita ogni forma di culto e le chiese furono distrutte o trasformate in stalle, magazzini o rifugi. Questa persecuzione non fu “legale”, ma venne effettuata da “comités revolucionarios” sostenuti dalle forze politiche ossia dagli anarchici, dai comunisti e dai socialisti rivoluzionari (cfr. A. Riccardi, “Il secolo del martirio”, Milano 2000 pp.335-347).
Bisogna aggiungere che il governo repubblicano fece ben poco per fermare le violenze e anzi, si rifiutò di condannare pubblicamente le atrocità anticlericali nonostante i ripetuti appelli vaticani. Tardivamente, il governo nominerà il ministro cattolico basco Manuel de Irujo che propose il ripristino della libertà di culto, ma la sua proposta incontrò la resistenza dei suoi colleghi e la diffidenza di alcuni settori ecclesiastici che vi scorsero una manovra propagandistica (Alfonso Botti, Una indagine mancata sulle ragioni dell’odio, “il Manifesto” 28 ottobre 2007).
Anche di fronte a queste atrocità, il Vaticano mostrò cautela nell’avvicinarsi al regime dei nazionalisti e rifiutò la richiesta di Franco di condannare apertamente i baschi per l’appoggio alla repubblica, al contrario protestò per l’uccisione di preti baschi da parte delle sue truppe e si disse afflitto per le possibili derive franchiste (intendendo con ciò probabilmente il suo avvicinamento a Hitler, cfr. H. Thomas, Storia della guerra civile spagnola, Torino 1963 pp. 380-381). Pur essendo cattolici, i baschi si erano infatti schierati con la repubblica, che aveva concesso loro uno statuto di autonomia e ciò permise di evitare nei loro territori le violenze antireligiose che si ebbero nelle altre zone dominate dai repubblicani. Il Vaticano cercherà quindi di mediare una pace separata con il governo basco, che pur di mantenere l’autonomia ed evitare i massacri derivanti dalla sconfitta, era pronto a consegnare la corona del loro stato ai Savoia. I servizi segreti repubblicani, però, intercettarono una lettera del segretario di stato Pacelli ai membri del governo basco in cui si accennava alla nascita di un loro stato autonomo e indipendente. La vicenda raggiunse così la stampa internazionale e ne venne a conoscenza lo stesso Franco e il progetto naufragò (A. Petacco, Viva la muerte!, Milano 2006 pp. 154-155).
In risposta alle violenze contro il clero, sempre più preti e vescovi cominciarono a schierarsi dalla parte dei ribelli, spesso assumendo toni da crociata. Il documento più importante a tal proposito fu la lettera collettiva pubblicata dalla quasi totalità dei vescovi il 1 luglio del 1937. In essa si descrivevano i soprusi e le discriminazioni subite dalla Chiesa fin dal 1931, si denunciava il pericolo di un complotto volto a portare al potere il comunismo (che si scoprì, in realtà, basato su documenti falsi anche se il pericolo di una rivoluzione comunista era tutt’altro che irrealistico), confutava l’idea che la Chiesa avesse attirato su di sé la persecuzione e assicurava il proprio appoggio ai nazionalisti. Anche il Vaticano, seppur lontano dal concedere un sostegno incondizionato a Franco cominciò a correggere la propria linea di condotta quando le sorti della guerra cominciarono a volgersi in favore dei nazionalisti fino a riconoscere il loro governo nel maggio del ’38, dopo che ebbe revocato la legislazione anticlericale e dopo che già molte nazioni avevano ormai riconosciuto il nuovo stato. La Santa Sede non diede comunque un’approvazione assoluta perché tra i membri più estremisti della Falange vi erano non pochi anticlericali e non cessò la sua opera a favore dei perseguitati per alleviare le sofferenze della guerra (domande di grazia per i prigionieri, richiesta di sospendere i bombardamenti nelle città, inviti alla tregua, ecc.). Interventi che molte volte rimassero inascoltati. Lo stesso discorso di Pio XII dell’aprile del ’39 in cui si congratulava per la vittoria, venne epurato perché contente passi in cui si auspicava clemenza per i vinti. (M. Burleigh, In nome di Dio, Bergamo 2007 pp. 362-363).
Non è inesatto, in definitiva, affermare che fu la politica repubblicana ad alienarsi la Chiesa tollerando (o persino incoraggiando) una feroce persecuzione anticristiana. Politica, che oltre ad essere criminale, fu anche controproducente perché permise al caudillo di dare una giustificazione morale alla rivolta e inimicò la massa dei cattolici che cominciò a vedere nella vittoria dei ribelli la sola possibilità di salvezza. Come ebbe infatti ad osservare all’epoca il prete catalano Carles Cardò: «Uno dei partiti bellici, ci ammazza; l’altro ci difende (…) Chi può stupirsi che quei perseguitati, che sfuggirono per poco alla morte, scegliessero l’altro campo?»