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La legge elettorale che non c’è

Creato il 17 settembre 2012 da Tnepd

La legge elettorale che non c’è

“Se votare servisse a qualcosa,

non ce lo lascerebbero fare”

Mark Twain

La legge elettorale che non c’èPremessa

Dato che si comincia a parlare di riforma della legge elettorale, è molto trendy rinfrescare l’argomento anche qui. Di elezioni avevo già trattato in un paio di capitoli di questo old wise ma c’è qualcuno che merita una risposta migliore.

Post

Va detto subito che la legge elettorale è uno strumento potentissimo, è un nodo essenziale nella definizione del grado di democrazia di un sistema statale. Potrei arrivare a dire che è proprio la legge più importante di tutte. Non a caso in quel di Roma se la fanno e se la disfano senza chiedere mai nulla a noialtri servi della gleba.

Perché è così importante? Perché è lo strumento che realizza la rappresentatività democratica.

Sappiamo che democrazia significa “governo del popolo” ma sappiamo anche che di democrazie compiute a questo mondo non ne esistono. Quelle che siamo abituati a chiamare democrazie sono in realtà oligarchie mascherate, non è un segreto, oggigiorno non esiste alcuna democrazia reale sul nostro pianeta, se mai è esistita.

Una democrazia perfettamente compiuta è quella in cui ogni cittadino dice la sua su tutto e partecipa ad ogni decisione. La si può chiamare democrazia diretta a piena partecipazione e la sua legge elettorale è nulla, non c’è. Nessuno elegge nessuno perché tutti possono partecipare alla votazione di ogni legge. In questo caso-limite non è necessario stabilire uno strumento che realizzi la rappresentatività democratica perché essa è connaturata al sistema. In una scala da 0 a 100, in una democrazia diretta, la rappresentatività è pari a 100. Io mi rappresento perfettamente, il rapporto tra me ed il mio voto è 1 a 1, ossia 100%. Se tutti votano su ogni progetto di legge, allora la democrazia è, oltre che diretta, anche perfettamente compiuta. Se la pensiamo su un’isola abitata da un centinaio di persone, non è poi tanto utopica.

Spero di essere stato esauriente in questa prima definizione, nel prosieguo sarò più conciso.

Poiché una democrazia diretta, con tutta la buona volontà, in genere non è realizzabile – e forse con la gente che c’è in giro nemmeno auspicabile – in Italia come altrove si è dovuto affrontare il problema della rappresentatività democratica, ossia di come ridurre il numero degli ‘addetti alla produzione delle leggi’ da 60 milioni ad una quantità di persone che possa riunirsi agevolmente e le cui attività non pesino sulla collettività più di quanto le rendano servizio. Siamo nel campo della pura teoria e mi rendo conto che è difficile visualizzare concetti così tersi quando nella mente scorrono i primi piani dei tagliagole che gozzovigliano in Parlamento da decenni, ma facciamo uno sforzo.

La legge elettorale che non c’èQuindi, come passare da 60 milioni a 1.000? Facendo le elezioni. E qui scatta il problema della legge elettorale perché è lei a stabilire il grado di rappresentatività, ossia di democrazia, di uno Stato. Non sono le leggi che finiscono nei codici, le finanziarie e nemmeno, udite udite, la Costituzione; tutte queste, a seconda della legge elettorale, si possono cambiare in un baleno o rendere immodificabili ad libitum. Perciò ribadisco che la legge elettorale è a mio parere la più importante di tutte, perché se è farlocca, allora anche tutto il resto lo è. E lo è.

Messoci il cuore in pace e convenuto che una democrazia diretta, men che meno compiuta, è irrealizzabile, vien da sé che la miglior legge elettorale è quella che realizza la miglior rappresentatività possibile tra ‘popolo elettore’ ed ‘eletti addetti a rappresentarlo’.

Per ragioni meramente statistiche, che prescindono dalla buona o cattiva indole degli attori, il grado di rappresentatività è direttamente proporzionale al numero degli eletti ed inversamente proporzionale al numero degli elettori. In una nazione di 100 milioni di abitanti che eleggono 1000 rappresentanti, il rapporto è di 1:100.000, ossia lo 0,001%; in una nazione di 10 milioni di abitanti che eleggono 10.000 rappresentanti, il rapporto è di 1:1.000, ossia lo 0,1%. Drammaticamente meglio, nel suo piccolo.

In Italia, esimendoci dal tenere in considerazione le elezioni di comuni, province e regioni nel computo della rappresentatività democratica, il rapporto è all’incirca di 1:60.000. Certo, se i parlamentari fossero il doppio sarebbe meglio, due volte meglio, ma visto quanto mangiano…

La legge elettorale che non c’èE proprio per questa ragione i loro (e nostri) padroni li lasciano mangiare, per convincere i servi della gleba (noi) che di cialtroni a Roma meno ce n’è meglio è. In realtà, in un contesto normale, è esattamente il contrario: maggiore è il numero dei rappresentanti, maggiore è il grado di rappresentatività. Va sottolineato altesì che un maggior numero di parlamentari è utile persino in un ambiente viziato da corruttele in quanto rende meno agevole l’operato dei corruttori, o comunque li costringe a spendere molto di più.

Ciò che in ogni caso balza all’occhio è che, passando da una democrazia diretta ad una democrazia elettorale, il livello di rappresentatività reale crolla vertiginosamente già soltanto per ragioni statistiche poiché, anche supponendo che ogni eletto faccia il massimo per essere coerente con le istanze dei suoi elettori, gli è impossibile tradurle tutte in una sola voce. La democrazia rappresentativa porta con sé, inevitabilmente, una sensibile approssimazione nella realizzazione della volontà del popolo. Funzione della legge elettorale è appunto quella di stabilire il grado di questa approssimazione.

Vediamo cosa si potrebbe fare, animati dalle migliori intenzioni, in un mondo diverso dal nostro.

Anzitutto si potrebbe stabilire quale sia il maggior numero di rappresentanti possibile ed al contempo conveniente. A mio parere il migliaio che abbiamo in Italia è una buona quantità benché, fosse per me, li triplicherei, abolirei la doppia camera che così com’è non serve a una mazza e ridurrei i poteri dello Stato centrale a quelle quattro bazzecole che adesso non fa, ossia la tutela della sovranità nazionale, del territorio, dei cittadini e l’emissione di moneta.

Comunque sia, dobbiamo stabilire le procedure che consentono di avere in Parlamento le 1.000 persone che meglio rappresentano gli altri 60 milioni. Può sembrare incredibile, ma c’è poco da discuterne. Il sistema elettorale che permette una maggiore rappresentatività è quello proporzionale, a collegio unico ed accesso libero, ossia quello in cui chiunque può candidarsi e chiunque può votare per qualsiasi candidato.

La legge elettorale che non c’èSe la democrazia diretta, in una nazione di 60 milioni di cittadini, è una pretesa utopica, il sistema appena descritto non lo è affatto. Cosa lo impedisce? Nulla, soprattutto nell’era della comunicazione globale e del MySQL (si scrive così?).

“Eh sì, ciao! E se si candidano in 2 milioni?”

Fantastico! Un grazioso sito internet ed un discreto motore di ricerca interno sarebbero tutta la piattaforma necessaria a consentire un’adeguata selezione dei candidati al resto della popolazione.

 

“Pierino, cliccami quelli che sono contro l’accanimento terapeutico per favore”

“Sì nonna, ne restano 800.000, ma non chiamarmi Pierino”

“Adesso, tra questi, quelli che hanno dei figli”

“Ne restano 100.000”

“Adesso quelli contro la vivisezione per favore”

“50.000”

“Quelli a favore della liberalizzazione delle canne?”

“Nonna!”

“Fallo, Pierino, se no non vado più al parco a comperarla per tutti e due.”

“Ma non chiamarmi Pierino, perdiana nonna, ho trent’anni!”

“Quanti?”

“Trenta”

“No, quanti ne rimangono?”

“2.000”

“Contrari ai matrimoni dei culattoni?”

“500”

“Contrari al nucleare?”

La legge elettorale che non c’è“300”

“Destrimani?”

“290”

“Meno di quarant’anni?”

“8”

“Grazie, Pierino, stampami la scheda di questi otto e passami la lente.”

“Non chiamarmi Pierino – santa miseria, nonna – mi chiamo Arturo!”

Non ditemi che è complicato. Questo è il massimo a cui possiamo ambire in una nazione molto popolosa, poter scegliere tanti rappresentanti tra tanti candidati. Ovviamente non ci è dato di farlo, nonostante la tecnologia lo permetta già da un po’.

A mio parere, senza peli sulla lingua, una democrazia dovrebbe fondarsi prima sulla legge elettorale che sulla carta costitutiva. La legge elettorale, data la sua assoluta incomparabile importanza nello stabilire il grado democratico di uno Stato, dovrebbe essere quella testé descritta, ossia quella oggettivamente più efficace a rappresentare la volontà popolare entro i limiti che la tecnica impone. Essa, a maggior ragione, dovrebbe essere assolutamente immune da modifiche parlamentari e ridiscutibile soltanto su base referendaria. Il referendum, in effetti, si pone a mezza via tra la democrazia diretta e quella rappresentativa ed è un ottimo strumento di consultazione popolare. Una legge nata da un referendum ha molto più peso di una legge nata da una votazione parlamentare, almeno nell’isola che non c’è.

La legge elettorale che non c’èConclusioni

Qui da noi nell’isola che c’è, come di certo il lettore avrà notato, avviene l’esatto contrario di quanto finora descritto, punto per punto.

Anzitutto la reale importanza della legge elettorale viene celata ai più. Non si è mai visto nessuno, al tg, dire al popolo che essa è il fondamento principale su cui poggia tutto il resto. Ti dicono che è importante quanto basta a convincerti che è complicata e che è meglio se ci pensano loro.

Anziché essere l’àncora inamovibile che protegge la nazione dalle tempeste politiche, essa viene elaborata, rivista, raffazzonata, rimestata, piallata, sdrucita e sodomizzata nei corridoi del potere alla vigilia di ogni tornata elettorale ed infine presentata al popolo bue in seconda serata come “la meglio soluzione che si poteva trovare, tipo il modello della tapioca che fanno così anche all’estero come Antani in Francia anche per il presidente.”

I mezzibusti televisivi si trastullano blaterando di cose che non sanno e di cui nemmeno si dovrebbe discutere: di maggioritario, di doppio turno e di altre mille inezie insignificanti se l’accesso alla candidatura non è aperto e la scelta concessa all’elettore è al massimo tra una decina di opzioni. E che opzioni!

Detto ciò, mi si consenta alla fine di questo post lungo e noioso di spronare chi è giunto fin qui a non limitarsi alla constatazione che questa faccenda della legge elettorale andrebbe corretta perché è chiaro, per non dire lampante, che ci stanno fottendo di traverso da generazioni. Mi si consenta di sottolineare che, se già è mortificante rendersi conto di vivere in una società piena di trappole, ancor più doloroso è ammettere che chi ne è al corrente non ci aiuta a riconoscerle e a tutelarci. Queste cose nessuno le dice. Muti stanno, i politicanti, i giornalisti, i magistrati, i militari e i cardinali, figuriamoci. Si badi, non è un caso o una svista, non è un errore o una dimenticanza. A certi livelli queste cose le sanno ma non aprono bocca. Tutti!

La legge elettorale che non c’èInsomma, l’omertà su questo tema non è un compromesso accettabile come non lo sono le scie chimiche, le logge, le lobbies, i potentati extranazionali, le omissioni giornalistiche, l’incertezza del diritto, lo spoglio delle sovranità nazionali, l’indebitamento pubblico, i servizi segreti, i monopoli, i privilegi di casta e il resto del merdaio in cui, ricordiamocelo, siamo tutti – volenti o nolenti – immersi fino al colon.

E’ associazione a delinquere continuata finalizzata all’abuso di potere e all’estorsione, un cumulo di delitti gravissimi. In più, ovviamente ci sono l’aggravante cospirativa e la circonvenzione d’incapace. Insomma, come si suol dire, è roba che non dovrebbe succedere nemmeno nel Terzo Mondo. E invece è così dappertutto, da millenni.

E’ il paradigma corrente.

Soluzioni possibili? Sì, mettersi una mano davanti e l’altra dietro e tirare a campare.

Buonasera.


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