In questi giorni, tanti giornali parlano del nuovo Ministro per l’Integrazione Cécile Kyenge a causa di alcuni dei obiettivi di questo ministero: la cittadinanza italiana ai ragazzi nati e cresciuti da genitori immigrati regolarmente soggiornanti in Italia. Oggi vi presentiamo una delle conseguenze di questa legge che non permette la cittadinanza italiana ai giovani delle seconde generazioni. Si tratta della testimonianza raccolta da Stefano Pasta per Corriere della Sera nella rubrica La Città Nuova.
Paradossi della nostra legge sulla cittadinanza: essere nata in Italia, averci vissuto per tutta la vita, chiamarsi come il ritratto italiano più famoso al mondo, ma dover ancora spiegare, con accento toscano, perché vuoi essere italiana. Succede a Monnalisa Ndoja, 18 anni, studentessa al liceo biologico di Siena e indecisa tra medicina e psicologia per il futuro. L’unica migrazione della sua vita? Dalla casa d’infanzia all’attuale da Uopini a Castellina, entrambe frazioni di Monteriggioni: ben 11 chilometri! I suoi genitori invece sono emigrati dall’Albania due anni prima della sua nascita, quando scelsero il nome della figlia da una canzone di Mango allora molto in voga, “Come Monna Lisa”.
Racconta: “Mi sento italiana? Certo, questa domanda mi fa quasi ridere! Senza rinnegare nulla delle mie origini, sono sempre vissuta in Italia.
Sono stata una sola volta in Albania, in vacanza, e, per me, ero all’estero Quando la gente mi chiede come mai ho un cognome strano, ci tengo sempre a specificare che i miei genitori sono nati in Albania, ma io sono nata qui”.
Ma quando la classe di Monnalisa è andata in gita a Berlino, la sua carta di identità non valeva come quella dei compagni:
“Non era valida per l’espatrio e quindi sono dovuta andare all’ambasciata di Roma per fare il passaporto albanese. Entrando, mi sono chiesta: ma io perché devo venire qui?”.
Il vero paradosso è arrivato spegnendo le 18 candeline: “Finalmente potevo chiedere la cittadinanza italiana, ma lo Stato mi ha risposto per ben due volte che la domanda non poteva essere accolta”.
Il motivo? “La mia iscrizione all’anagrafe è avvenuta tre anni dopo la nascita”.
Al momento del parto, sua madre era legalmente soggiornante in Italia per motivi di studio. Aveva tentato, prima ancora che Monnalisa nascesse, di iscriversi all’anagrafe ma la richiesta era stata respinta (illegittimamente e solo verbalmente…) perché, a detta del funzionario dell’anagrafe, il permesso per studio non consentiva di procedere all’iscrizione.
E così, per quel vecchio errore dell’impiegato, ora il ministero rifiuta la cittadinanza alla ragazza.
Peraltro, in contrasto con una recente sentenza della Corte d’Appello di Napoli, secondo la quale non possono imputarsi al minore gli inadempimenti dei genitori.
Monnalisa le ha tentate tutte: ha scritto personalmente al ministro Cancellieri e ha presentato vari documenti (permessi di soggiorno, libretto di vaccinazione, iscrizione sanitaria, ricevute di affitto) per dimostrare la continuità del suo soggiorno in Italia. Anche il sindaco di Monteriggioni ha scritto al Ministero in favore di Monnalisa. Niente da fare.
È da poco arrivato il secondo “no”, per “insussistenza dei presupposti”, un’espressione che suona come una parolaccia ma dà il senso dell’arretratezza della nostra legge: la cittadinanza dei diciottenni nati e cresciuti in Italia non è un diritto, ma una concessione dello Stato. Che infatti, come in questo caso, può scegliere di non concederla.
In una lettera aperta in cui racconta la sua storia, Monnalisa ha detto: “Mi sento una condannata per un reato che non ho commesso, per colpa di una legge ingiusta”. Il 4 aprile, oggi, è cerchiato sul suo calendario: non sono arrivate novità dal ministero, il sindaco di Monteriggioni e’ stato costretto a chiudere la pratica, confermando definitivamente che Monnalisa è “straniera a casa sua”.
Fonte: corriere.it