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La questione parrebbe apparentemente di lana caprina, tut...
Creato il 05 dicembre 2013 da LostileliberoLa questione parrebbe apparentemente di lana caprina, tuttavia, chi dovrebbe un domani reggere le sorti di un Paese intero, ululando tra le altre cose ai riformismi e alle rottamazioni, non sembra essere nemmeno capace di rinnovare la propria precipua terminologia politica. Chi fa della comunicazione col “mondo” il proprio unico veicolo verso il successo, dovrebbe infatti sapere che non bisogna perdersi nelle futili quisquilie di contenuto, al vulgus infatti le questioni sottili non interessano, egli vuole la praticità, “i problemi reali della gente”, ovvero la pancia piena.
E’ anche il caso paradigmatico della Convention del Pd, che richiama alla memoria significazioni che nulla hanno a che vedere con la spicciola retorica democratica. Ogni uomo di sinistra, o più genericamente ognuno che abbia frequentato gli scranni di una qualsiasi scuola dell’obbligo, dovrebbe sapere cos’è la Convention Nationale, l’assemblea esecutiva e legislativa che, durante la Rivoluzione, venne chiamata a dare alla Francia una nuova costituzione repubblicana. Una Convenzione, caratterizzata numericamente da paludi e simili che, a dirla tutta, non rievoca ricordi di cui andare particolarmente fieri, né reminiscenze tali da sentire l’urgenza di una sua, seppur scanzonata, rievocazione: tra le altre cose, si macchiò del genocidio dei realisti in Vandea (150.000 morti su una popolazione complessiva di 600.000 persone), ghigliottinò Luigi XVI e fece “costituzioni” che durarono pochissimo tempo. Il Pd, anche nelle “quisquilie” che peraltro lo sostanziano, non ne pensa una giusta. Eppure, malgrado i finti bisticci che, soli, hanno il potere di rianimare quel partito, la Convenzione sembra servire indirettamente un assist per comprendere, in profondità, quale sia l’essenziale contributo fornito dallo stesso Pd alla vita civile del Bel Paese. Si potrebbe anzi sentenziare, al netto di tutti coloro che hanno bisogno di cronache fresche solo per camparci sopra, che il Pd sia esclusivamente “convenzione”: organizzano una convenzione per mettersi d’accordo tra di loro, rinunciando così, a priori, ad una qualsiasi verità, ché il compromesso convenuto è anzitutto la tomba di ogni sana veritas. L’uomo di partito crede alla verità ma non la cerca, la stabilisce nella consultazione coi suoi sodali, egualmente solidali al proprio orizzonte convenuto, e poi giocano anche a fare il contrario: si dicono diversi tra gruppi per vivacizzare l’omogeneità del nulla. E così non ci sono mai apprezzabili differenze reali, ma solo finte differenze necessarie. Se fossero infatti vere le differenze che emergono tra candidati, perché sono finiti in uno stesso “nuovo” partito? Non contenti di questa prima risultanza trovano che il loro orizzonte non abbracci però quello dell’intera polis e così fanno un’altra convenzione col popolo - della serie: “diteci ciò di cui avete bisogno” - ed ancora, nel bisogno latente di uniformare ogni diversità al partito, ne fanno magari un’altra pure coi propri alleati di governo. E così il partito diventa idealmente il tutto, la normalizzazione mediata di ogni singolarità.
Mosca ne La classe politica annota a tal proposito: “cento che agiscano sempre di concerto gli uni con gli altri trionferanno su mille presi uno a uno che non avranno alcun accordo tra loro”. Il voto non è quindi uguale, quello dei “convenzionati” si somma, mentre il voto dei singoli viene disperso (il fenomeno dell’astensione non fa altro che supportare tale congettura: non si tratta semplicemente di disaffezione politica, l’elettore “consapevole” sa, che a differenza del passato in cui il voto di scambio, l’assistenzialismo e il clientelarismo politico davano “da mangiare” un po’ a tutti, oggi quel voto non gli porta più in tasca niente). Forse la partecipazione "mediocratica" si riduce allora in una “circonvenzione” d’incapace? Questo apparato che decide per te – così puoi startene bello comodo a farti gli affaracci tuoi -, essendo una parte che si è arrogata però il diritto di rappresentare tutti, evidenzia l’autentico humus di cui si nutre qualsiasi meccanismo fintamente democratico: l’assenza totale di personalità! Per dirla col suggerimento di Saint-Marc Girardin: “cerchiamo d’essere mediocri”. Una mediocrità diffusa, fattasi oggi sistema, che già un contemporaneo di Pericle avvertì come pericolosa: “dovunque sulla faccia della terra i migliori sono nemici della democrazia”. E’ il molliccio regno della convenzione, in cui ci si mette d’accordo per essere tutti uniformi, medi, stabili e marmorizzati ognuno nel proprio ruolo, con diverse mansioni pur nella comune decisione di diventare tutti uguali nell’essere funzione e non senso, strumento e non individuo.
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