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La ristrutturazione e ‘a pendenz’

Da Gynepraio @valeria_fiore

Non conta che sia la seconda volta che mi approccio all’infinita trafila delle carte, delle firme, dei bonifici. Non ha rilevanza nemmeno che lo stia facendo con entusiasmo, energia, amore, consapevole di lavorare per un mondo migliore, in cui le mie scarpe e borse ottengano degna collocazione, la mia ossessione per le iniziali trovi sfogo in una libreria ordinata alfabeticamente e che insomma tutte le frustrazioni e i desideri accumulati su Pinterest siano opportunamente incanalati. La ristrutturazione di casa mette a dura prova.

Forse se anziché innamorarci di un rudere disabitato da 30 anni nonché privo di WC e riscaldamento ci fossimo buttati su un camera&cucina in classe energetica A, ci saremmo risparmiati una nutrita serie di grane. Ma sono le condizioni peggiori a rendere le cose straordinarie, no?

Non siamo partiti benissimo, infatti. Durante il primo incontro, voi-sapete-chi ha esordito con grande diplomazia dicendo al mediatore immobiliare che il valore dell’appartamento da lui stimato era basato su “statistiche deliranti di quei suoi giornaletti“, dove con giornaletti si riferiva ai prestigiosissimi annuari redatti dalla FIAIP che il poveretto si portava appresso come la Bibbia del testimoni di Geova. L’agente si è un tantino risentito e ci ha invitati ad andare a cagare a cercarci un’altra casa, alchè voi-sapete-chi ha rincarato e l’ha sfidato con un “Ne riparliamo tra sei mesi quando il cartello sarà ancora lì“. Il giorno dopo ho abilmente ricomposto la controversia con mille moine (“Signora, permetta che glielo dica, io preferisco parlare con lei che con suo marito”, “Non è mio marito”, “Ecco, in tal caso ci pensi bene prima di sposarsi”).

Ce l’ho fatta ma, come sempre accade a me, è stata una vittoria di Pirro.

“Hai parlato con Leslie Nielsen?” (voi-sapete-chi è abile nel gioco delle somiglianze)
“Sì, era un po’ risentito ma ha detto che proverà a far passare la nostra proposta”
“Allora, facciamo che tu segui la burocrazia”
“No, scusa, spiegami il criterio in base a quale a me tocca lammerda”.
“E’ che tu sei più brava a parlare con quella gente lì”.
“No, scusa, spiegami chi sarebbe quella gente lì.”
“Ma sì, la banca, l’agenzia, l’amministratore di condominio, il notaio”
“Ma certo, i vigili urbani, l’anagrafe, tua madre, Dio. Capisco. E tu?”
“Io seguirò la ristrutturazione.”
“Guarda che sono rudi lavoratori manuali, potrebbe essere complesso. Devi stargli addosso”.
“Tranquilla, me la sento”

Il nostro direttore lavori si chiama Michele ed è un caro amico di mio padre, iperattivo nonostante abbia 80 anni di cui 60 vissuti tra il Piemonte e la Francia. I suoi figli sono nati qui, mangia la bagna cauda, il suo nipotino gioca nei pulcini del Toro. Nonostante ciò, sembra arrivato ieri sera col rapido Taranto-Ancona perché mantiene intatto l’accento foggiano più stretto e puro che abbia mai sentito, nonché un dizionario composto di termini speciali: ‘a cabin’ (=il grazioso locale che adibiremo ad armadio), ‘o studiol’ (=la stanza in cui voi-sapete-chi si rintanerà a lavorare), ‘a stanzett’ del bebè (=l’ambiente in cui dormirà la nostra futura prole), ‘a caloria (=il piacevole tepore sprigionato dalle serpentine a pavimento), ‘a condenz’ (=la fastidiosa umidità prodotta dagli split del condizionamento).

“Senti, mi ha chiamato Michele delle Murge (sui nicknames andiamo fortissimo) e mi ha detto che hanno quasi finit’ di shfashar’”
“Quindi hanno praticamente concluso la demolizione”
“E ha aggiunto che lunedì iniziano a mettere i tubb’
“Bello! Vuol dire che iniziano a posare il riscaldamento a pavimento”
“Poi ha detto che ci deve parlare prima di creare ‘a pendenz’”
“Ottimo, significa che dobbiamo decidere la posizione dei water”
“Ma allora sai tutto! Sei bravissima, parli le lingue! Si vede che hai studiato all’estero!”
“Grazie amore”
“Allora lo senti tu, e gli spieghi bene dove mettere i cessi, eh?”
“Avevamo detto che la ristrutturazione era compito tuo”
“Sì, ma è amico di tuo padre, magari con te s’intende meglio”
“E questo ora cosa c’entra? Qual è il problema?”
“No, mi dispiace, ma… E’ che io proprio non capisco”
“Però se io seguo la ristrutturazione, finisce che tu non fai niente e non è giusto”.
“Non è vero che non faccio niente! Anzi, farò cose molto importanti”
“Tipo?”
“Io scelgo i colori”

ristrutturazione

Espressione fissa di voi-sapete-chi in cantiere

 


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