da qui
Vengo a piangere a Loreto le lacrime che a Roma ricaccio sempre dentro, perché ogni volta c’è qualcuno o qualcosa a cui pensare. Qui mi commuovo quando e come voglio: davanti alla Madonna o al Santissimo protetto da una specie di sipario, dove entrano piccioni a tradimento, sulla strada verso la terrazza azzurra di Sirolo o lungo le curve in saliscendi che portano faticosamente a Recanati. Visto tra le lacrime, il mondo è un’altra cosa: risponde alle attese, è plasmato, metro per metro, dai desideri più profondi. Quando appare la siepe di Leopardi, sento che al di là di essa c’è il tuo volto, la piega del sorriso che canzonava la serietà eccessiva dietro cui mi trinceravo. Dalla balaustra scura di Sirolo non si vedono navi, e neanche vele: c’è troppo vento. Eppure, se piango, le imbarcazioni salpano dal cuore, la tempesta estiva scompiglia gli angoli del tempo, tutto è nuovo oltre la siepe che chiamavo morte, e invece mi permette di vederti.