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La sindrome del lillipuziano

Da Femminileplurale

La sindrome del lillipuzianoSul ruolo dei nuovi media in politica si è detto molto nelle ultime settimane. La cosa curiosa è che le espressioni più lusinghiere vengono proprio da media tradizionali. Nadia Urbinati ritiene che Twitter e Facebook aggirino «il silenzio censorio delle reti televisive», Gramellini vede la vittoria di cittadini «armati di computer e schede elettorali», Curzio Maltese dice che «basta passare qualche ora sulle reti Mediaset per guardare in faccia la fine del berlusconismo», Belpoliti sancisce che «Twitter, il Davide informatico, ha sconfitto il Golia dei network televisivi». Infine Ezio Mauro saluta la nascita di una «ribellione diffusa e consapevole».

Tanto entusiasmo insospettisce. Un cambiamento degli strumenti della politica è sufficiente a creare un cambiamento nei contenuti della politica? Perché è di questo che avremmo bisogno.

La supremazia televisiva di cui si è avvantaggiato Berlusconi nell’ultimo ventennio – grazie a un conflitto d’interessi mai risolto da nessun governo, certo non di centrodestra ma nemmeno di centrosinistra – sta perdendo forza perché la cosiddetta “comunicazione diffusa” è in grado di aggirare un potere mediatico che fino a pochi anni fa poteva scegliere cosa veniva visto e cosa veniva gettato nell’oblio. Certo il centrodestra, ossia la parte politica che più si è avvantaggiata di questa situazione, deve ancora capire le nuove condizioni. L’ultimo esempio in ordine di tempo è Brunetta: dopo che il video in cui insultava i precari che tentavano di fargli una domanda, il ministro ha messo online un video in cui spacciava una versione dei fatti non solo drammatizzata (a suo vantaggio, ovviamente) ma soprattutto falsa, al grido di «adesso faccio io la controinformazione» (sic). Sbugiardarlo è stato facile, ovviamente in tempo reale (se non l’avete già fatto, vale la pena vedere la satira dell’Unità).

La figuraccia di questo ometto ci racconta prima di tutto quanto le persone di potere siano abituate a essere coloro i quali prendono la decisione definitiva riguardo a che cosa debba essere oscurato e che cosa debba diventare la versione ufficiale. La tanto declamata capacità comunicativa del centrodestra, e del suo capo in particolare, sarebbe dunque una mera capacità manipolatoria, capacità che non ha avuto eguali per mezzi e risorse a disposizione, ma che ora viene sconfitta da tanti piccoli informatori lillipuziani, buoni e veritieri, che cinguettano condividendo contenuti online e inchiodando il perfido gigante televisivo al suolo. Abbiamo così voglia di credere a una favola?

La sindrome del lillipuziano
È vero che c’è un certo sollievo. Come osserva Michele Serra commentando la ridicola serata di Porta a Porta dedicata all’omicidio di Avetrana dopo (e nonostante) l’esito del referendum del 12-13 giugno:

«la vera notizia (non buona per Vespa) è che questo oggettivo oscuramento, prima di una campagna elettorale nazionale, poi dei suoi esiti, fino a un paio di mesi fa ci sarebbe apparso gravissimo e irrimediabile. [...] Oggi, alla luce dei fatti, e che fatti, ci sentiamo un po’ meno derubati e un po’ meno preoccupati. Informazione e formazione delle opinioni (l’approfondimento) hanno acquisito un’autonomia, una velocità e una estensione (sto parlando ovviamente della rete) che hanno inciso profondamente nei due recenti e sconvolgenti eventi politici, le amministrative e i referendum»

Perciò la capacità manipolatoria dell’informazione che ha caratterizzato il centrodestra sembra essere sorpassata. In sintesi, non c’è bisogno che il Tg1 passi gli insulti di Brunetta alla precaria: ce li passiamo noi online. La tv non è più la regina, ora c’è internet.

Ma internet è solo uno strumento. Piccoli informatori lillipuziani possono non essere né buoni né veritieri. Possono fare disinformazione o, come minimo, non fare informazione. Amina Araf, la blogger siriana lesbica che in realtà non è mai esistita, dimostra che Internet non rende automatica la verità. E, soprattutto, Internet non rende automatica la politica. Non è un caso che tutti gli avvenimenti che vengono letti come dimostrazioni dell’efficacia politica dei you media siano manifestazioni ad alto contenuto sociale ma a basso contenuto politico: la manifestazione delle donne del 13 febbraio è stata un’importante manifestazione culturale ma non aveva scopi politici concreti. I referendum non sono stati una vittoria del comunismo e della decrescita felice: se è vero che un elettore del centrodestra su due è andato a votare non c’è stato nessun progetto politico concreto che abbia dato alla vittoria referendaria la valenza di un mandato popolare per un nuovo modello di sviluppo economico. Sono i soliti liberisti, sono solo stufi di un maniaco sessuale corrotto al governo. Infine le amministrative sono state vittorie importantissime ma, appunto, sono da leggere e da capire al livello locale: ne è la dimostrazione che a livello nazionale siamo ancora nel caos.

Internet è uno strumento da non sopravvalutare. Uno strumento non è un fine e, soprattutto, non è un contenuto: non possiamo confondere la possibilità di comunicare un contenuto con il contenuto stesso. Le “relazioni” online non possono sostituire quelle offline che sono, semplicemente, quelle reali: le rivendicazioni concrete – che sono innanzitutto politiche, legislative, culturali, scolastiche, sanitarie – non possono essere scambiate con la loro comunicazione. Non si può confondere internet con la rivoluzione. La comunicazione online non ci porterà da sé al futuro che vogliamo. Prima di comunicarli, è necessario elaborare i contenuti. Il rischio è trovarsi nella situazione in cui potremo dire tutto, e non avere niente da dire.


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