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La terra è rotonda come un'arancia

Creato il 18 aprile 2014 da Giorgiocaccamo
Sì, d'accordo, il ghiaccio. E poi il colonnello Buendía, gli zingari, la magia. Un romanzo che sembra quasi obbligatorio aver letto (per la cronaca, io lo lessi ai tempi del liceo in un'edizione un po' malandata che trovai alla biblioteca di Modica). Si parla, ovviamente, di Cent'anni di solitudine. Dico "ovviamente" perché, nel mondo un po' distorto della comunicazione e del giornalismo italiano, pare che tutti abbiano un conto in sospeso con Gabriel García Márquez. In senso positivo.
La terra è rotonda come un'aranciaIl fatto è che quell'incipit così famoso, che se la gioca con Omero in quanto a citazioni, è appunto sulla bocca di tutti, anche e soprattutto di chi probabilmente quel libro non lo ha mai letto. Così, appena il vecchio Gabo è morto, i "coccodrilli" (cioè i necrologi vip in archivio) già pronti nelle redazioni dei nostri giornali, ma anche all'estero, hanno ripreso quella prima memorabile pagina. Della quale, però, io amo ricordare, se proprio è necessario, la "rivelazione" finale. José Arcadio Buendìa scoprì, e svelò solennemente ai suoi bambini, che «la terra è rotonda come un'arancia». Musica per le orecchie di un adolescente siciliano, devo ammettere.
Ma se c'è un vero motivo per cui su questo blog, il giorno dopo la morte del grande Gabo, sento l'esigenza di scrivere qualcosa, è per via di un altro magico rivoluzionario, artista di parole e di immagini. Mauro Rostagno. Che non era siciliano di nascita, ma aveva scelto la Trinacria come sua patria d'elezione. Non era nato nell'Isola, ma lì è "cresciuto" e ha lasciato un segno e per quella terra si è sacrificato.
La terra è rotonda come un'aranciaPrima di finire a Trapani, prima di fondare Saman e prima di proporre il giornalismo d'inchiesta e di denuncia come misura terapeutica, e ancora prima di diventare Sanatano in India, Rostagno era stato a Milano l'animatore di Macondo. Sì, Macondo, proprio come il villaggio fantastico, magicamente realistico e realisticamente magico del romanzo di Márquez. Macondo, a Milano, era un locale alternativo, come poteva essere alternativa una proposta culturale a fine anni Settanta. Aperto il 29 ottobre 1977, chiuso il 22 febbraio 1978. Breve vita, ma intensa. Di mezzo c'era la solita accusa di spaccio di droga. La stessa che in qualche modo fu tirata fuori nel 1988 quando fu ammazzato Mauro.
Io non so come era la Macondo milanese di Rostagno e dei suoi compagni, posso solo immaginarlo. E non so come era, o come poteva essere interpretata, l'India di quegli anni. Dunque non so perché il sociologo barbuto e vestito di bianco a un certo punto scelse la Sicilia per proseguire le sue battaglie di civiltà. Non lo so e probabilmente non è neanche importante saperlo. Quello che conta è che il nome di Mauro Rostagno sia entrato nel nostro patrimonio. Purtroppo con una fine violenta che lui non meritava e che forse ci fa capire quanto poco noi meritassimo lui. Detto questo, la morte dell'uomo che inventò Macondo arriva a poche ore dalla richiesta dei pm di dare l'ergastolo a due responsabili della morte di quell'altro uomo, quello che re-inventò Macondo.
Mi mancano tutti e due. Dov'è Macondo?
P.S. Tempo fa, un fotografo palermitano, Fausto Giaccone, ha costruito un bellissimo reportage dalla Colombia, ripercorrendo i luoghi di Gabo e del suo villaggio immaginario e reale. Giaccone, guarda le coincidenze, è anche l'autore di '68 altrove, mostra che raccontava come in quell'anno non ci fu solo la contestazione. Nel catalogo dell'esposizione organizzata a Caltagirone nel 2010-2011 spiccava anche questa frase di Mauro Rostagno: «Noi non vogliamo trovare un posto in questa società ma creare una società in cui valga la pena trovare un posto».

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