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"Le Benevole" di Jonathan Littell

Creato il 30 aprile 2012 da Bens
Niente di ciò che state per leggere vi piacerà.
Negli anni '60, dopo la cattura di Adolf Eichmann, Hannah Ardent scrisse un resoconto sul processo del gerarca nazista, tenutosi in Israele, pubblicato sul New York Times con il titolo "La banalità del male". La Ardent centrò in pieno il bersaglio nella sua disquisizione sociologica e psicologia del male, in cui riconosceva ai nazisti una patina di normalità umana, molto lontana dall'idea dantesca di mostro infernale. La Ardent, però, sbrodolò nel qualunquismo al momento di trarre le conclusioni. Sostenere che i nazisti non fossero in grado di distinguere il bene dal male e che le loro facoltà di giudizio fossero annebbiate dalla corruzione del discernimento, non aiuta noi a capire la Storia e men che meno ci gratifica con onestà intellettuale. Ecco perché "Le Benevole" è un romanzo coraggioso che in un paesino svitato come l'Italia sarebbe stato tacciato di revisionismo storico. Affermare che i nazisti fossero cattivi, punto e basta, e che il resto del mondo fosse buono, punto e basta, è pura dittatura della vittoria. Fa comodo credere che una persona crudele vada giudicata indipendentemente dal proprio passato, che sia ingiustificabile e indifendibile, e che in questa non possa esistere la minima spinta verso il bello e il buono. Questo fa comodo a noi, perché nessuno è pronto a fare i conti con l'orribile verità che il bene e il male siano concetti, fantasiosi e chimerici per certi versi, ma assolutamente relativi. Non nascondiamoci dietro alla convinzione che nelle manifestazioni della più efferata violenza non esistano motivi: un motivo c'è sempre, giusto o sbagliato è indifferente, perché rimane comunque un motivo umano, e per estensione imperfetto. La maggior parte dei nazisti non era un folle squadrone di ingegneri di morte e se noi continuiamo a immaginarli così è per colpa dei "vincitori" e di tutta una tradizione devota alla memoria delle vittime. Che tali rimangono. Ma sostenere che il male (in senso generale) sia solamente folle e corrotto, sminuisce anche la vittima in sé. Se con chiarezza ideologica i nazisti sostenevano l'inferiorità razziale di ebrei, zingari, omosessuali e chi più ne ha più ne metta, con altrettanta chiarezza scientifica si sarebbe dimostrato il contrario. Ogni ideologia ha bisogno di un nemico da combattere, ogni razzismo è simile, che sia verticale in termini di razza, od orizzontale, in termini di classe. Un nazista che sparava ad un ebreo, il più delle volte, era un padre che tornato a casa, accarezzava la testa del figlio e faceva l'amore con la propria moglie. E' di questo che dovremmo aver paura e che dovremmo riconoscere: il bene e il male, il giusto e lo sbagliato, si mischiano e si legano nella persona che sceglie di seguire determinate regole morali. Opinabili e discutibili, ma se prelevate e depauperate da giudizi di cuore, perfettamente logiche.
Vogliamo parlare degli americani che, spinti dai soliti sentimenti democratici venivano a salvarci ma che allo stesso tempo impedivano ai loro neri di entrare in libertà nei negozi e di ricevere l'istruzione scolastica di chiunque altro? Oppure vogliamo parlare dei partigiani che finita la guerra liquidavano schiere di fascisti con processi sommari e illegali, negando a questi gli stessi diritti fondamentali per cui tanto era stato combattuto? Erano "solo" fascisti, direte voi. E quegli altri erano "solo" ebrei, vi risponderei io. Dove sta la differenza? I fascisti erano meno innocenti degli ebrei? Credete davvero che ad una persona ideologicamente indottrinata interessi il livello di purezza e bontà del nemico preso come singolo individuo? Il nemico diventa un feticcio, un credo, e la corruzione avviene nel momento in cui un'ideologia (di qualunque colore e matrice) ammetta, nel proprio programma politico, l'eliminazione fisica dell'Altro. Il resto è la conseguenza meccanica di quello in cui scegliamo di credere. Cosa ci ha insegnato la Storia? Ci ha insegnato che le spinte sionistiche degli ebrei contemporanei possano venire, paradossalmente, ritenute pseudo-fasciste? Che con melodie retoriche si festeggi ancora il 25 Aprile, fingendo che abbia un senso e che non puzzi di stantio? Le guerre non si vincono, si perdono e basta. Cosa fingiamo di ricordare? Cosa fingiamo di difendere? La verità è che non abbiamo mai voluto essere liberi.

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