Mario Luzi e la diagnosi del Novecento, il secolo della controversia
“Le nuove paure”, questo è il viaggio affrontato da Mario Luzi, sotto la spinta delle domande incalzanti di Renzo Cassigoli, per disquisire su un secolo impegnativo ed imponente come il Novecento. Proprio questo secolo viene definito da Luzi “della controversia”, con gettiti di paure e di angosce che si riversano ancora sul ventunesimo secolo.
“Le nuove paure”, un libro che si presenta come una conversazione tra il “professore” Luzi e il giornalista Cassigoli, pubblicata in un’edizione ampliata nel 2005 da Passigli Editori, nello stesso anno della morte del poeta. La data di pubblicazione dell’opera non è da sottovalutare, dato che la tematica principale non riguarda soltanto gli eventi del Novecento ma, soprattutto, come questo secolo viene riletto alla luce dell’attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre. Chi meglio di un poeta che ha vissuto il cuore del XX secolo come Luzi può testimoniarci quante e quali paure questo ricordo ci inculca e ci lascia come una tragica eredità.
Mario Luzi è nato proprio in una data cruciale, il 1914, per poi lasciare il segno nella cultura ermetica, stringendo amicizie con Carlo Bo, Piero Bigongiari, Alessandro Parronchi, Leone Traverso e Oreste Macrì. Luzi ha collaborato con diverse riviste e si è reso celebre autore di raccolte poetiche come Un brindisi e Quaderno gotico (1946), Primizie del desertoe Studio su Mallarmè (1952) solo per citare qualche esempio. Per il novantesimo compleanno, nel 2004, è stato nominato senatore a vita dal Presidente Carlo Azeglio Ciampi e, anche in qualità del nuovo ruolo rivestito, ci ha giovato con le sue opinioni e le sue avvertenze sul tempo che incalza e minaccia.
I temi affrontati sono dei più disparati: la speranza, l’utopia, il bene e il male, il liberalismo e il liberismo, i fondamentalismi, il futuro dell’Europa ecc… in un continuo confronto tra presente e passato. La prospettiva mediata da Mario Luzi, ovviamente, è quella di un uomo di fede e di un intellettuale, una dimensione profonda che spiega pazientemente il suo punto di vista all’intervistatore, come si farebbe in un rapporto formativo tra maestro e allievo.
Innanzitutto Cassigoli si preoccupa di disquisire sull’impellente tema della tecnologia che avanza e che addirittura sovrasta l’uomo stesso che l’ha creata. Il timore principale che emerge dal dialogo dei due interlocutori è che l’emergente decollo tecnologico non sia accompagnato da una preparazione mentale, etica e morale da parte dell’uomo moderno.
L’intervistato naturalmente ammette gli enormi progressi ottenuti dagli Stati nazionali che hanno garantito un innegabile benessere, ma “rispetto ai valori intrinseci, morali, etici, non c’è una progressione adeguata e parallela con quello che definiamo sviluppo. E così ci troviamo in questo sbilanciamento…“. Proprio lo sbilanciamento più evidente si osserva tra l’incommensurabile potere dei paesi del nord dell’emisfero contro la sudditanza del sud, le cui risorse sono pienamente gestite e manipolate da interessi che non badano al cittadino e neanche agli interessi della politica, bensì a quelli dell’economia. Quanto sembrano veritiere ,ma anche crudelmente utopistiche, le parole di Ernesto Balducci: “Gli aiuti al Terzo mondo sono solo una scelta moralistica se non si ha presente che la soluzione sta in una scelta politica, che ne implica un’altra culturale capace di mettere in discussione il modello di società del Nord e di costruire un nuovo ordine economico internazionale”. Quindi il Novecento non solo ha seminato lutti, stragi e violenza indelebili, ma ha fatto germogliare nelle nuove generazioni il seme del male. Siamo figli ignari, inconsapevoli di ereditare una vita quasi programmata dalle strategie dell’Occidente, dalle ‘sue’ priorità che spesso non coincidono con quelle dell’umanità.
Nell’ardua e intraprendente interpretazione del poeta praticamente l’attentato alle Torri Gemelle si può persino leggere come una reazione all’eccessiva opulenza dell’Occidente. Una reazione esplicitamente errata ma pur sempre un segnale di disapprovazione per le mosse politiche di una fetta di mondo eccessivamente egemone e tiranno. Come osserva Luzi “lo scempio delle due Torri colpisce per la sua ferocia ma dovremmo anche essere colpiti dalla morte di centinaia di migliaia di bambini provocata da dodici anni d’embargo in Iraq o dalla fame, dalla sete, o dall’Aids in Africa…”.
Purtroppo il grido di dolore dell’Occidente si amplifica o si azzittisce a seconda delle nostre prospettive sicuramente non oggettive, non imparziali. Dovremmo ammettere di essere fortemente influenzati da una visione dettata non solo dal profit degli Usa o dell’Europa ma, per giunta, dalla mediazione dei media sempre più palesemente soggiogati ora da un partito, ora da un altro. Le news sull’attualità non ci sono mai giunte cristalline e genuine così come si sono effettivamente verificate. Ed ecco perché ci scandalizziamo di più per la morte delle vittime innocenti dell’11 settembre piuttosto che dei numeri impressionanti di bambini strozzati ogni giorno dal male dell’Aids. Provocare una morte è sempre e comunque un gesto contro natura, un atto da condannare. L’uomo non può soppesare il valore della morte, ogni creatura soffocata è un’immensa perdita per l’umanità. Il cittadino moderno, consapevole di questo, dovrebbe agire, muoversi, essere dinamico, almeno per provare a cambiare l’ordine delle cose, almeno per smuovere il sistema. Purtroppo è noto il silenzio delle vittime, da un certo punto di vista comprensibile se non giustificabile, considerando anche che certi innocenti non possono più gridare il loro dolore. Con una sentenza sagace, il professore ammonisce che è ben più grave sia il silenzio dei colpevoli, un silenzio voluto, sperato, escogitato pur di dare priorità all’egoismo e all’indifferenza allo stato puro.
Nella sezione intitolata il “Buco nero”, Renzo Cassigoli sembra proiettarsi sulla stessa cresta d’onda del maestro, affermando che “oggi a dominare (…) è soprattutto il potere economico e militare prima che politico”. Di questo è un chiaro esempio la caccia al tesoro per il possesso del petrolio. Ma che cos’è questo “buco nero”? È la crisi dell’umanità! È da questo postulato che parte la crisi economica e di conseguenza il terrorismo, i giochi di alzo e ribasso della Borsa, la globalizzazione dettata dalle leggi della finanza e del potere.
In un così tragico panorama le parole consolatorie tipo utopia e speranza sembrano un’oasi nel deserto eppure, proprio nei tempi più duri, proprio come fa la ginestra di Leopardi, è qui e ora che bisogna tornare all’unità e alla “social catena”. L’utopia, diversamente dall’indifferenza, si affaccia su una dimensione temporale determinante, il futuro, e si preoccupa anche del destino dei figli dei figli. Su questo punto, giustamente, Mario Luzi vuole fare una precisazione, tenendoci a porre un limite invalicabile tra il futurismo e la propensione al futuro. Solo il secondo atteggiamento sa fare tesoro degli insegnamenti e degli errori della storia umana. Solo questo orizzonte non disprezza ciò che faticosamente abbiamo conquistato, ad esempio con la Costituzione del ’48 che rischia di giorno in giorno di essere soppesata da certi interessi personali.
Una soluzione c’è, anche se non definitiva – perché tutto è provvisorio e camaleontico nel sistema di pensiero di Luzi – . La soluzione è essere moderni piuttosto che contemporanei, il che significa avere un profondo e affidabile senso critico dei mutamenti, una lucidità capace di assimilare anche la drammaticità e, appunto, le paure del vecchio secolo. Per questo Leopardi e Baudelaire sono moderni e noi, uomini tecnologici, siamo invece ciechi, perché contemporanei e privi del senso della trasformazione. Il dramma vero è che siamo incapaci di seguire la “legge morale che è dentro di noi”, per dirla con le parole di Immanuel Kant. Siamo troppo impegnati a seguire i bisogni inventati dalla pubblicità e, più addietro, dalle logiche delle multinazionali che ci hanno addomesticato a curarci più delle cose che delle persone. Le nuove paure non possono che aumentare se non siamo più disposti a quella forza e a quel coraggio che solo l’affetto umano può infondere. È dall’uomo che bisogna ricominciare, non dalla tecnologia che è soltanto uno dei tanti strumenti a nostra disposizione.Per il poeta intervistato, cultura e politica non si dovrebbero mai separare perché la prima sarebbe l’arbitro della coscienza della seconda, perché gli scrittori dovrebbero essere i saggi del governo e questo non vuol dire per forza essere di parte o di sinistra. Poesia e storia sono sempre andate a braccetto, perché il poeta non può che desumere le sue teorie polemizzando il suo tempo per farne una dimensione atemporale ma pur sempre estratta dal presente. Così come gli scrittori sono guidati dalla coscienza morale, dall’assillare continuo del dubbio e dell’incertezza, anche gli scienziati dovrebbero porsi certe problematiche. Per Luzi, il pericolo è che l’ingegno degli scienziati diventi un’arma micidiale e incontrastabile dei potenti, per questo sarebbe opportuno che le menti scientifiche costituiscano una sorta di comitato per difendersi da eventuali strumentalizzazioni.
Dunque, la mente umana può essere ancora un’arma vincente contro l’abbandono ai soprusi contemporanei. L’ingegno è da difendere in qualsiasi sua manifestazione, scientifica o umanistica. Pertanto la poesia non è affatto un fronzolo inutile, un qualcosa con cui non si mangia, è quella parola che permette la sopravvivenza della speranza che trasforma la vita in un verso. Infatti la poesia è “il contrario della disquisizione razionale ed omologante”, è ribelle e avversa al conformismo. Mai come nella lingua italiana affonda il verso del poeta perché la nostra lingua, così colma di sfumature, è una delle poche ad adattarsi alla complessità del presente.
Le nuove paure non generano soltanto chiusura in se stessi, insicurezza e vittimismo ma, purtroppo, anche la violenza come improponibile forma di difesa. E già, la violenza sta entrando a far parte del linguaggio comune degli europei, il che ci trova impreparati sicuramente perché abbiamo esageratamente idealizzato l’Europa. Per questo Camus lamenta il sorgere di una destra xenofoba e razzista in una presunta ed irreale Europa modernizzata. “Una destra estrema che fa leva sulla paura e sul disorientamento politico di grandi masse popolari”. Ed ecco qui la sentenza di condanna verso il falso mito dell’Europa che è impaurita e “negando i diritti agli altri, finisce per negarli a se stessa” . Quindi da un occhio acuto e attento si intravede l’amarezza del disincanto per aver creduto ad una storia che non convince più, che non inganna più.Queste non sono parole buttate al vento, ma desunte dalla constatazione di una storia che ci scorre accanto e di cui invece dovremmo far parte. Al contrario, però, subiamo ancora la “dittatura della maggioranza” come ci ricorda Alexis de Tocqueville. Con tono seriamente turbato, Luzi mette a nudo i suoi timori. “Non vorrei che, una volta demolita la Costituzione, gli italiani dovessero svegliarsi in un Paese nel quale sono cittadini al momento del voto e sudditi tra una elezione e un’altra” . È sufficiente quest’ultima frase luziana per comprendere quanto sia profondo l’abisso delle nuove paure di questo terribile “secolo della controversia”.