Magazine Diario personale

Le (poco) nobili gesta di “uno di noi”

Da Giovanecarinaedisoccupata @NonnaSo

Da qualche tempo leggo sui Facebook, Twitter, e compagnia bella, della “marachella” combinata da uno di noi.
Uno di noi chi? vi chiederete. uno di noi disoccupati?
Ma si, anche. Ma uno di quelli, disoccupati o “pococcupati”, che fanno 2 o 3 lavori, che si arrabattano a cercare qua e la di reintrodursi nel mondo del lavoro, che si abbassano – e non è questione di esser choosy, ma di dire le cose come stanno: le condizioni che pongono oggi per restare nel mondo del lavoro sono a dir poco avvilenti, e quindi si: ci ABBASSIAMO ad accettarle- a fare qualche lavoro o lavoretto, immancabilmente “su parola”.

rabbia

Uno di quelli che quindi immancabilmente finiscono per essere pagati e ripagati da altre parole, e promesse sparse al vento. Di contratti ormai neanche a parlarne, sono più rari degli unicorni questi viziosi pezzi di carta, e sappiamo bene che se non è la norma è almeno la regola che prima di stipulare un contratto si debba passar una lunga teoria di colloqui, incontri, chiacchiere viso a viso, poi dei periodi di prova, poi dei periodi in cui “se tu mi dimostri che vali forse io ti pago”, persino periodi in cui “tu prima portami il risultato e poi vediamo”.

E alla fine, ma solo se si è molto molto fortunati (o molto molto paraculati), arriva Polly, alias il contrattino a progetto.

Che, mica speravate in una assunzione a tempo determinato, o addirittura un tempo indeterminato.. ma che siete, scemi? Nei vari periodi di apprendistato e prove quelli come noi provano di avere fame, molta fame, e di essere disposti atuto. Di saper lavorare senza regole nè confini, ma NON di saper lavorare entro i confini precisi della legalità, chè per quello ci voglion le palle sotto eh, e mesi e mesi di apprendistato ancora, eh, giovani sbarbini sognatori!

Dicevamo: che cosa ha combinato questo “uno di noi”, evidentemente stanco di soprusi e vessazioni, di promesse da marinaio, di prese per il naso e per il c… di sentirsi dire “ora no”, magar, o “adesso non ce li ho i soldi, abbi pazienza”, dall’imprenditore che gli aveva commissionato poco più di 1000€di lavoro?

Ha oscurato il sito al sudetto imprenditore, sostituendgli l’home page aziendale con una bella schermata che recitava nome, cognome, entità dello “scoperto”: una denuncia in piena non-regola.. una vera e propria figura di palta. Da entrambe le parti!

Si, perchè se è vero che in moltissimi hanno lodato l’esempio dell’”eroe nazionale” che non c’è stato, a continuare a farsi mettere i piedi in testa, a qualcuno – me per prima – resta comunque la perplessità sul gesto di stizza.

Insomma, ne abbiamo conosciuta tutti, di gente così, e di regola non sarebbe nemmeno difficile fare “selezione all’ingresso”, riconoscendo subito il tipo di persona che si ha davanti ad un colloquio, o dopo i primi scambi lavorativi, no? E allora perchè ancora si riesce ad arrivare a questi estremi?

E’ la gente che ci frega o siamo noi, che consapevolmente o meno, ci facciamo fregare?

Io giuro, gente, che questo me lo chiedo tutte le notti,  e nel mio caso propendo per la seconda ipotesi, poichè sono talmente buona che alla fine sono… troppo buona. Ma sto cercando di cambiare eh, anche io nel mio piccolo, e senza eclatanze come il giovine di cui stavamo parlando (a cui fra un attimo trneremo). Insomma: la fiducia è ormai merce rara, e dopo aver preso fregature a manciate io stessa non me la sento di dirvi “andate e fidatevi”.

Siate onesti, trasparenti, e concreti, e pretendete onestà, trasparenza, e concretezza anche nel vostro interlocutore, quello si. Ma se vi fidate, fidatevi fino ad un certo punto: in amore e in guerra è tutto lecito, ma il lavoro è lavoro.
E la fame, fame.

E quindi diffidate, diffidate prontamente della propensione alla chiacchiera che ormai si fa tratto distintivodell’imprenditore-fuffa medio: la propensione alla chiacchiera senza risultato, l’incapacità di fissare obiettivi, rispettare scadenze, dare priorità o destinare il giusto budget alle attività dovrebbe essere il primo campanello d’allarme per povera gente come noi, costretta a buttarsi senza rete sul mercato del lavoro, tenando di raccatare qualche contratto volante, se non proprio una posizione fissa e legalmente retribuita all’interno di un’azienda.

Quando parliamo con qualcuno che ci propone un interessantissimo progetto, pretendiamo di vedere i numeri, di discutere le opzioni, di stilare un piano d’azione. Non fidiamoci del quaquaraqua che ci dice “i numeri? sono solo numeri, dettagli.. andiamo avanti, e tutto magicamente…” magicamente una beata cippa! Magicamente ci siamo ritrovati un paese in brache calate, e io dico e sostengo che è ANCHE per la faciloneria!

Il secondo campanello d’allarme: la mancanza di volontà ad integrarci o regolarizzarci per il nostro lavoro in azienda, i continui rimandi e la vaghezza di intenti, i vari “Dovresti aprirti la partita IVA perchè io non ti posso assumere” o il “ci mettiamo a posto in un altro modo perchè adesso la mia azienda non può destinare budget…”, e persino la presunzione di saper quantificare e qualificare il nostro lavoro meglio di noi, dovrebbero metterci le ali ai piedi peggio che l’addensarsi delle nubi all’orizzonte in un giorno in cui abbiamo dimenticato l’ombrello.

Diverso è il caso di quelli che proprio non ce la fanno, che il lavoro va così male che non ce n’è per nessuno, di quelli che a loro volta attendono pagamenti mai arrivati, magari dalle più note istituzioni pubbliche che hanno commissionato lavori per cui i soldi stanziati si sono – misteriosamente – volatilizati. Ma benchè sia forte il sentimento di comprensione, non me la sento di non comprendere anche le motivazioni del giovane: la vita è dura per tutti, e anche noi si deve mangiare.

E tuttavia, non me la sento io per prima di osannare l’azione dell’incauto giovane, proprio non me la sento.
La denuncia sociale è giusta, anzi doverosa, il tutelarsi farsi rispettare anche… ma il violare noi per primi le regole del “buon vivere” (non quieto, mai quieto!) non trvo che porti a nulla di buono, se non infiammre gli animi e si, anche distoglierli da quello che è il problema principale.

Che ci sono modi e tempi per farsi valere, e nemmeno un moto di rabbia o disperazione può o deve giustificare atti così estremi, ma che nessuno è più disposto ad aspettare, e comincia a farsi largo in tutti l’idea di “farci giustizia da soli”. Che ci sono delle istituzioni che dovrebbero essere preposte a tutelarci, ma che non solo non sentiamo più che ci tutelano, ma in cui non siamo più nemmeno disposti a credere.

Che 1000€ non sono il problema, ma DIVENTANO il problema, e quelle 1000€ stesse ci fanno buttare dalla finestra la professionalità, trasformandoci in piccoli terroristi incazzosi, pronti a mettere a ferro e fuoco il mondo, in nome di una disperazione che ormai non ha nemmeno più nome. Che anche tutto questo agitarci, muoverci, farci incazzare, ci fa solo agitare muovere e incazzare di più, ma non ci risolve IL problema.

Il problema è che dove ti giri ci sono porte chiuse, che non c’è lavoro, che ci sono tanti disperati e tanti pronti a approfittarsene, ma pochi disposti ad investire per uscire dalla crisi. Il problema è che c’è tanta chiacchiera ma poco risultato, tanta rabbia mal incanalata e sfruttata per fare controinformazione, resistenza, controcrescita. E tutti noi glielo lasciamo fare, in un modo o nell’altro, anche alimentando il circolo vizioso della protesta fine a sè stessa, che non porta da nessun altra parte.

Il problema è che l’unico messaggio che vedo passare anche in questo esempio è: aspetta la manna dal cielo, prima o poi (questo governo, questo o quel politico, le istituzioni) risolveranno la crisi… e se nessuno fa niente e sei stanco, ammazzati, o fatti giustizia da solo.

E allora io a questo dico di no, o almeno ci provo, a essere differente: mi tutelo da prima, mi tutelo da me, ma non mi faccio giustizia da sola, perchè chi è causa del suo male pianga sè stesso… me lo dice sempre il mio nonno. E lui di cose, ne sa…

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