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Le Storie di Monte Franoso: il Quadrumvirato congelato

Creato il 04 maggio 2013 da Laperonza

 

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Mentre a Roma il capo supremo del partito consumava la tragedia della sua inettitudine, traendo finalmente le conseguenze estreme dei suoi macroscopici errori politici (ma, tutto sommato, nemmeno tutti suoi, visto che di errori politici, in quel partito, se ne erano fatti in quantità da quasi vent’anni), a Monte Franoso era giunta l’ora della resa dei conti. Perché, vedete, lo stesso partito che a Roma chiedeva giustamente conto al Capo di una lunga serie di sconfitte venute dopo aver pregustato vittorie annunciate, a Monte Franoso coloro che avevano retto la sede locale per un trentennio senza interruzioni, gestendo, giostrando, giocando e facendo il buono e il cattivo tempo tanto da crearsi intorno un gruppo dirigente ritagliato su misura e mai in contrasto con il vertice, quel gruppetto di persone tanto avvezzo a non avere opposizione o così non avvezzo ad averne, finalmente ne aveva.

Il vertice della sezione locale del partito di Monte Franoso era, dovete saperlo, legato non solo dal credo politico ma da un fitto intrico di parentele dirette e acquisite e, cosa curiosa, pur non essendo tutti parenti tra loro in linea diretta, portavano tutti lo stesso cognome. Non erano tutti parenti diretti, dicevamo. Due erano fratelli, due erano genitore e progenie, ma tra i due e i due il sangue era diverso, almeno oggi, chissà in passato. Ma la parentela s’era ingegnata a cementare quello che già la fede politica aveva fatto più dell’omonimia per un reticolo di sposalizi e amicizie tanto che, oltre i quattro di cui sopra, tra mogli, mariti, cognati, amici e amici degli amici avevano subodorato il piacere di avere in mano tutta l’area politica di pertinenza anche attraverso controlli su enti, gruppi e associazioni. Che ne venisse loro in termini di tornaconto personale è oscuro a tutti, ma certamente la sensazione di possedere di fatto una bella fetta della società di Monte Franoso doveva essere più che appagante, nella loro ottica.

Questo bel sogno delirante di onnipotenza, suffragato dalla storia recente che li aveva visti, seppure con alti e bassi, sempre comunque all’apice della piramide politica dell’area di appartenenza, pur non producendo mai nulla di rilevante oltre le mura castellane, nella fase in cui a Roma si tiravano fuori i coltelli manco fossero le Idi di Marzo, a Monte Franoso non mancarono di scintillare le lame, specie tra alcuni giovani che, già da un po’, davano segni di insofferenza verso quello status quo apparentemente inamovibile. Così qualcuno, approfittando della crisi generale del Partito, strappò la tessera, molti alzarono la voce, la terra tremò e il quadrumvirato omonimo traballò non poco. Un quadrumviro si dimise seduta stante, il capo ufficiale (perché quello ufficioso era un altro, sempre omonimo) tentennò sul dimettersi o no.

A soccorrere la troika dei quattro venne la decisione nazionale di congelare il tutto e di andare a congresso. Il capo locale ufficiale, allora, infine si dimise congelando (per non essere da meno) contemporaneamente le dimissioni in attesa di vedere cosa sarebbe accaduto a Roma. La spiegazione ufficiale era che, in caso di dimissioni, si sarebbe dovuta convocare l’assemblea del partito locale ma, essendo previsto il Congresso Nazionale a breve per vedere che fare delle dimissioni del vertice romano, non avrebbe avuto senso convocare due assemblee, una per decidere il da farsi per Roma e una per decidere il da farsi per Monte Franoso.

Così, congelata ma per niente infreddolita, la cupola dei quattro omonimi guadagnò tempo per capire che fare e studiare una strategia per rintuzzare i coltelli dei giovani rampanti e di coloro che volevano cambiare qualcosa e per capire come mantenere quel controllo pluriennale per chissà ancora quanti anni. Come andò a finire? Ve lo dico tra un mese, due o tre, dipende da quando faranno il congresso a Roma.

Luca Craia


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