di Federica Castellana
Il mese di settembre si è rivelato particolarmente positivo per l’Europa e per la moneta unica. Nel giro di pochi giorni la Banca Centrale Europea di Mario Draghi ha varato lo “scudo anti-spread”, grazie al quale potrà procedere all’acquisto illimitato di bond nazionali dai Paesi in difficoltà; la Corte costituzionale tedesca ha dato il via libera – con alcune condizioni – al nuovo fondo salva-Stati (ESM); il Presidente della Commissione europea Barroso ha rilanciato i progetti di unione bancaria e di federazione europea durante il discorso sullo stato dell’UE tenuto al Parlamento di Strasburgo. Buone notizie sono arrivate anche dai Paesi Bassi, dove le elezioni anticipate di mercoledì 12 settembre hanno decretato il successo dei partiti moderati europeisti e il ridimensionamento delle correnti euroscettiche più radicali che avevano infiammato i toni della campagna elettorale.
La crisi mondiale infatti non ha risparmiato nemmeno la prospera Olanda, quinta economia europea ed uno dei pochi Paesi che può vantare ancora una tripla A, quindi il giudizio massimo, nelle controverse analisi delle agenzie di rating sull’affidabilità finanziaria. Ultimamente (dati 2011) la sua performance economica è stata modesta, in crescita dell’1,3%, con il tasso di disoccupazione al 5%, il debito pubblico che rappresenta circa il 67% del PIL ed una preoccupante bolla immobiliare (l’indebitamento privato, destinato soprattutto a mutui per la casa è tra i più elevati in Europa). Nell’ultimo decennio il Paese dei tulipani è stato caratterizzato anche da una forte instabilità politica, dovuta principalmente al sistema partitico frammentato e all’ascesa di formazioni estremiste sia a destra che a sinistra. Lo stesso appuntamento elettorale tenutosi di recente ha seguito la crisi di governo della scorsa primavera, quando l’esecutivo di centrodestra, in carica dal 2010 e guidato dal liberalconservatore Mark Rutte, aveva perso il sostegno dell’alleato dell’ultradestra Geert Wilders proprio su una manovra di 16 miliardi di euro volta a riportare il deficit di bilancio entro la soglia del 3% del PIL, come richiesto dalle ferree regole dell’Eurozona.
Un referendum sull’Europa
La campagna elettorale si è sviluppata da subito intorno a tematiche di stampo europeo, con i vari partiti dell’articolato scenario politico olandese a caccia di voti ed un elettorato disorientato fino all’ultimo giorno, preoccupato più per il lavoro, il welfare e la fiscalità che per i rapporti con l’UE. Hanno puntato apertamente sull’euroscetticismo i principali movimenti radicali, a destra il partito xenofobo-antislamico (PVV) di Wilders e a sinistra il partito socialista (SP) dell’ex maoista Emile Roemer, ciascuno impegnato nella propria crociata populista: i primi contro l’Euro e i Paesi indisciplinati del Mediterraneo e i secondi contro il neoliberismo sfrenato di dirigenti e lobbisti europei. Le due maggiori forze moderate, invece, hanno confermato un sostanziale allineamento alle politiche di Bruxelles: entrambe favorevoli al Fiscal Compact e al risanamento del bilancio nazionale entro il 2013, ma con approcci differenti che ricordano il confronto in corso tra Berlino e Parigi. Infatti il partito liberalconservatore (VVD) del Premier uscente Rutte è più vicino all’europeismo della Cancelliera Merkel, basato sul rigore dei conti pubblici da attuare con una certa rapidità e contrario ad ulteriori aiuti alla Grecia. Diversamente, i laburisti (PVDA) guidati dall’“uomo nuovo” Diederik Samsom si rifanno al modello del Presidente Hollande: la crescita come motore dell’economia europea, un’austerity necessaria ma graduale che tuteli il welfare e l’occupazione e il salvataggio dei Paesi indebitati, fondamentale per la tenuta del progetto europeo.
Le elezioni del 12 settembre hanno rinnovato con sistema proporzionale puro i 150 seggi della Camera bassa olandese (la “Tweede Kamer”, che legifera in maniera esclusiva): vi hanno partecipato 21 liste e circa il 74% di votanti sui 13 milioni di aventi diritto. Dalle urne sono usciti vincitori i grandi partiti moderati ed europeisti, mentre le frange euroscettiche sono state marginalizzate. Secondo i risultati finali, i liberalconservatori (VVD) di Rutte hanno ottenuto 41 seggi (ne avevano 31) e i laburisti (PVDA) di Samsom ne hanno conquistati 39 (ne avevano 30). Invece l’estrema destra (PVV) di Wilders è crollata da 24 a 15 e i socialisti (SP) di Roemer si sono dovuti accontentare dei 15 scranni che già avevano. Al centro, i cristiano-democratici (CDA) sono scivolati da 21 a 13 seggi, penalizzati dalla precedente alleanza con Wilders nel governo caduto in aprile, mentre i socialdemocratici pro-euro del movimento D66 sono passati da 10 a 12. Tra le altre formazioni, considerevole il calo della Sinistra Verde (GL) che ha perso 7 scranni (da 10 a 3).
Grazie al vantaggio – sebbene minimo – riportato dal suo partito, a breve Rutte dovrebbe ricevere dalla Regina Beatrice l’incarico di costituire il nuovo Esecutivo. Al momento, lo scenario più probabile è la formazione di una “coalizione viola” tra i due maggiori partiti che unisca il blu dei liberalconservatori al rosso dei laburisti: insieme questi possono contare su un’ampia maggioranza parlamentare (80 seggi su 150) e anche sull’eventuale appoggio del D66 in qualità di “junior partner”. D’altronde l’Olanda è strutturalmente portata (ed abituata) a simili coalizioni ed entrambi i leader vincitori, Rutte e Samsom, si sono già dichiarati pronti a un possibile governo liberal-laburista di chiara impronta filoeuropea che guidi il Paese fuori dalla crisi. Tuttavia, viste le divergenze politiche, il compromesso non sarà così facile da raggiungere e le fasi di consultazione e trattativa potrebbero protrarsi per almeno un paio di mesi.
Realismo olandese
Nel complesso, il risultato delle urne è stato tanto netto quanto inaspettato. I timori di una deriva euroscettica sono stati alimentati – forse troppo – dai sondaggi e da circostanze anteriori come il successo del PVV di Wilders nelle elezioni del 2010 e il famigerato ‘no’ alla Costituzione europea nel referendum del 2005. Timori scongiurati invece da diversi fattori: innanzitutto l’ascesa del carismatico leader laburista Samsom, quarantenne fisico nucleare con un passato da militante ecologista, brillante e risoluto, nonché abile comunicatore nei dibattiti televisivi. Con il suo programma di europeismo ed austerità sostenibili e una campagna porta a porta in stile Obama (senza disdegnare spot intimisti da reality show), Samsom è riuscito a rilanciare il suo partito e a sottrarre consensi al focoso socialista Roemer. Gli elettori del centrodestra hanno poi scelto di rinnovare la propria fiducia al Premier uscente Rutte: 45 anni, ex manager di Unilever e Calvé, preparato, coerente e unico riferimento credibile nell’ambito liberalconservatore. Da parte sua, Wilders – già responsabile di aver fatto cadere il governo – ha nei fatti perso la scommessa antieuropea: i toni chiassosi e i continui richiami all’uscita di Amsterdam dall’UE e dall’Euro sono sembrati eccessivi anche ad un’opinione pubblica spesso scontenta degli ingenti fondi trasferiti ai Paesi a rischio default.
In realtà l’esito elettorale rispecchia la scelta precisa e razionale di un Paese pragmatico che in un momento delicato ha reputato più convenienti la stabilità interna e l’integrazione europea rispetto alla disgregazione e all’isolamento. Piccoli ma produttivi e dinamici, i Paesi Bassi sono da sempre dediti al commercio internazionale e al settore dei servizi in genere (trasporti, banche, assicurazioni) che contribuisce per più del 70% alla formazione del PIL; i maggiori partner d’affari sono soprattutto economie dell’UE quali Germania, Belgio, Francia, Italia e Regno Unito. Di conseguenza, gli Olandesi sanno bene di essere strettamente legati all’Europa e di aver bisogno del suo mercato comune e della sua moneta unica per rilanciare la propria posizione.
Tra l’altro, proprio in un Paese fondatore e cruciale per lo sviluppo dell’UE la conferma dell’integrazione a spese dei populismi euroscettici è sicuramente un segnale positivo e anche l’attenzione notevole riservata a questa tornata elettorale dimostra come le questioni europee stiano guadagnando sempre più centralità all’interno dei dibattiti politici nazionali. È già accaduto nelle recenti elezioni in Francia e in Grecia e presumibilmente accadrà a breve anche in Finlandia (dove si voterà per le amministrative a fine ottobre), in Germania e in Italia (che voteranno entrambe per le politiche nel 2013).
* Federica Castellana è Dottoressa in in Scienze Politiche, Relazioni Internazionali e Studi Europei (Università di Bari)