Incredibilmente, il lavoro con l’ex direttore continua a languire sulla scrivania del computer. Ieri, quando ha telefonato per chiedermi come si concatenano le gabbie di testo in XPress 8, ha detto che il cliente lo sta ancora valutando e che la decisione passa dal responsabile marketing al direttore per l’Italia: "Ma stai tranquillo, vedrai che, secondo me, ce lo portiamo a casa".
Sarà, ma quando le cose cominciano a ritardare non è un buon segno. in questi ambienti pensarci sopra significa: "Non siamo per niente convinti, ma abbiamo fretta. Che facciamo? Cerchiamo qualcun altro, ci facciamo fare un’altra proposta, o lasciamo perdere tutto quanto?".
Proprio mentre parlavo al cellulare, sul fisso ha chiamato F., un art director che ha fatto coppia fissa per anni con l'ex direttore, lavorativamente parlando s’intende.
È un peccato dover vivere nell’anonimato, perché sarebbe da vedere: tale e quale a Carl Marx ma molto più magro. Intercalando con un fondamentalmente ogni tre parole, ci ha offerto la concreta speranza di impaginare un nuovo giornale per un’organizzazione umanitaria. Un lavoro di un anno, dodici numeri da centoventi pagine, una buona prospettiva economica (la stessa offerta del mafiosetto pelato, solo che per lui avrei dovuto impaginare tre bimestrali, annunci di email marketing, inviti, diplomi, annual e compagnia bella). Quindi si tratta di una proposta molto allettante, perché permetterebbe a L. di mollare il part-time e seguire questo progetto senz’altro più remunerativo, e a me di arrotondare con lavori anche saltuari.
Ma per ora sono solo promesse, e con le promesse non ci si campa. La parola vale poco e niente e, fino a che non si firma un pezzo di carta, o si incassa un anticipo, le cose possono sfumare come la puzza di una scorreggia.
Mi vantavo di avere il dono, o se preferite, la maledizione (ho citato Monk, lo so), di capire le persone al volo. Mi basta poco, qualche incontro, a volte anche cinque minuti, per rendermi conto con chi ho a che fare. Il carattere, le idiosincrasie, i modi di essere, soprattutto quelli a cui sono allergico.
Raramente sbaglio, e ci riesco benissimo sia con gli adulti che con i bambini.
Come in Io e Annie di Woody Allen, nel quale i compagni di scuola del suo alter ego prevedevano con naturalezza e serietà quale sarebbe stata la loro professione futura. Per esempio, una bambina diceva come niente fosse: "Io batto il centro" e un’altro: "Io, prima ero eroinomane, ora sono morfinomane" e via dicendo.
Quello che invece non sono bravo a capire è quando le persone dicono una cosa intendendone un’altra. Oppure quando un "sì" significa "no", un "forse", "scordatelo" e un "ci mettiamo d’accordo", "se vuoi questo lavoro mi devi allungare la stecca".
Leggere tra le righe, diceva mia madre, e io mi maceravo perché, nella mia ingenuità, pensavo che le parole significassero quello che effettivamente esprimevano. Allora cominciava la paranoia di capire se, dietro la frase più semplice, si nascondesse qualche messaggio che non riuscivo a comprendere, oppure significasse semplicemente ciò che esprimeva.
Oggi è ancora così: se qualcuno mi dice che ho fatto un buon lavoro, io ci credo, se mi dicono: "magari ci vediamo per un caffè", io penso davvero che abbiano piacere di bere un caffè con me.
Invece il mondo gira diversamente e, spesso, chi fa un complimento ti vuole fregare, mentre quell’altro, che ti trattava con freddezza, non voleva scoprire troppo presto le sue carte.
Ma perché tutta questa manfrina? Perché F. (o se preferite il fratello magro di Carl Marx), di solito così sulle sue e così moralmente retto, ha cominciato a parlare male dell’ex direttore, mettendomi in guardia verso certe sue abitudini non proprio piacevoli. Per esempio dice che a luglio l’ha fatto lavorare come una bestia per presentare un progetto e, fondamentalmente, non si è ancora capito come è andato a finire. Che ha il vizio di far lavorare le persone a iniziative che non si capisce da dove partano, o se, e da chi, siano state richieste e che, molto spesso, finiscono in niente.
"Tanto per lui che vuoi che sia? Scrive quattro titoli, taglia un pezzo e, con un’ora di lavoro, se l’è cavata. Tu invece ti devi inventare un progetto grafico, preparare un certo numero di pagine campione, fare aggiustamenti vari, perderci giorni e giorni e poi, fondamentalmente, rischi che non se ne fa nulla”.
Cazzo! Se le cose stanno così non siamo messi bene. In effetti avevo il dubbio che l’ex direttore, ancora giovane e già in pensione, avesse qualche problema nell’affrontare una vita senza lavoro.
Mi spiego meglio: per uno che è sempre stato abituato a comandare, dirigere giornali importanti, essere ascoltato e rispettato, intervistato dalla tv e vedersi passare sotto al naso le meglio gnocche in circolazione, non dev’essere tanto facile mettersi in disparte e fare la tranquilla vita del pensionato. In effetti credo abbia un po’ la preoccupazione di dimostrare che è ancora uno in gamba, uno che produce e che si dà da fare. Uno che, se vuole proporre un qualche tipo di iniziativa editoriale a uno stronzo come Linus, e quello nemmeno gli risponde, gli girano i coglioni e non poco.
Adesso mi ritrovo con lo stesso problema di quando ero bambino, ovvero leggere tra le righe di tutte queste persone che parlano parlano, ma che fin’ora non mi hanno fatto guadagnare un solo euro.
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