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Lettera contro la violenza di una giovane fuggita all'estero. Ma le proteste stanno per ricominciare...

Creato il 18 dicembre 2010 da David Incamicia @FuoriOndaBlog
Lettera contro la violenza di una giovane fuggita all'estero. Ma le proteste stanno per ricominciare...
di David Incamicia
"Andare via non è la risposta. Ma non ne ho altre. Vorrei che ci fosse un altro modo". Paola ha 26 anni, si è laureata il 12 dicembre 2008 e poi è partita. Ha viaggiato e ha trovato amore, casa e un lavoro rispettabile e ben pagato altrove: in Svizzera. Da lì ha assistito, lo scorso 14 dicembre, alla rissa in parlamento e alle violenze nelle strade di Roma. "Un giorno buio", ha scritto in una lettera privata alla sua ex professoressa di filosofia del liceo. Una lettera con cui racconta il suo orgoglio e la sua disperazione: "I partiti non ci vogliono o ci vogliono solo per usarci. Ma la violenza non serve. E ai ventenni che mi chiedono, come mi chiedo io, cosa fare per cambiare le cose, rispondo: andatevene!".
Una lettera subito ripresa su Facebook, che ha già acceso forti discussioni: chi le dice che è troppo facile scappare; chi invece ritiene che sia uno sfogo pieno di verità. Proprio mentre studenti, precari e ricercatori annunciano il ritorno nelle piazze da lunedì 20 dicembre, quando la riforma Gelmini approderà al Senato per la sua approvazione definitiva, per una nuova settimana di passione.
Ecco alcuni fra gli appuntamenti di protesta in programma:
Mobilitazione delle Università - Il 21 dicembre sindacati e associazioni di docenti e ricercatori hanno indetto la Giornata di mobilitazione di tutti gli atenei. "Le nostre Organizzazioni, inascoltate, hanno espresso da tempo precise critiche e precise proposte e hanno chiesto al governo e al Parlamento di aprire finalmente un vero confronto con il mondo universitario. - si legge nel comunicato - Per questo, per il metodo con il quale si vuole imporre imporre la riforma, chiediamo a tutte le componenti universitarie di intensificare la protesta".
Sciopero della fame - Anche gli studenti hanno deciso di far sentire la propria voce e protestare perché se "con la cultura non si mangia", allora "per la cultura non mangiamo". E' questo, infatti, lo slogan scelto dagli studenti del Gruppo DisOrientali della ex facoltà di Studi orientali della Sapienza di Roma, che dal 16 dicembre ha iniziato lo sciopero della fame che si protrarrà fino al giorno della votazione del ddl Gelmini al Senato. "Tale gesto - spiegano gli studenti sul loro blog, che racconta in forma di diario le fasi della protesta - è l'ultimo drastico tentativo pensato per rilanciare la protesta nei confronti di un governo cieco, sordo e riluttante verso qualsiasi forma di dialogo, buono solo a trincerarsi dietro la retorica della crisi e di fatto ignorandola, o meglio, ignorando chi davvero la subisce. Da parte nostra c'è rabbia e indignazione: la volontà ferrea di difendere il nostro diritto al futuro diventandone i fautori diretti, senza deleghe e senza paure".
E poi, appunto, ci saranno ancora le piazze:
Roma - Con lo slogan "la nostra fiducia non è in vendita", i giovani romani torneranno mercoledì per le strade della loro città "nonostante la certa approvazione del ddl Gelmini", scrivono sul sito Ateneinrivolta. "La posta in palio per gli studenti è alta. Dopo martedì (il giorno degli scontri) non torneremo indietro, continueremo a costruire un'unione reale con tutti i conflitti sociali per mandare a casa questo governo", scrivono ancora nel comunicato.
Gli universitari hanno anche ribadito che "la rabbia e la determinazione esplose nel pomeriggio del 14 dicembre sono la diretta conseguenza dell’atteggiamento del governo, che ha deciso di passare sopra ogni istanza e spinta proveniente dai movimenti studenteschi, come da quelli dei lavoratori, dei comitati di Terzigno e dell’Aquila e di tutte le componenti sociali scese in piazza, comprandosi letteralmente la possibilità di continuare a governare questo paese".
Però precisano: "Black bloc, estremisti, violenti sono termini che non ci appartengono. Ci appartiene invece l'indignazione e l'esplosione di una rabbia sociale diffusa, l'ansia per il futuro e la voglia di continuare a costruirlo giorno dopo giorno".
Gli studenti, del resto, come ad esempio i rappresentanti di Uniriot - il Network delle "Facoltà ribelli", non accettano la lettura che è stata data dopo gli scontri di martedì scorso per accostare alle violenze una legittima protesta di studenti, precari, operai, impiegati e di altri segmenti frustrati della società.
Firenze - "Avanti con la lotta" anche negli atenei fiorentini. La nostra fiducia non l’avrete. Stanchi di abbassare la testa", si legge sul profilo Facebook della rete dei collettivi dell’Università di Firenze, che si incontreranno lunedì 20 dicembre per decidere le forme di protesta del successivo mercoledì.
Palermo - Scendono in piazza anche gli studenti di Palermo. Una decisione presa nel corso dell’assemblea svoltasi presso la facoltà di Lettere e Filosofia occupata da qualche giorno. La protesta prevede due concentramenti: quello universitario nell’ateneo e quello di piazza Castelnuovo per gli studenti medi.
Insomma, mentre la politica e la piazza continuano a interrogarsi sul perché quella che era stata annunciata come una manifestazione contro la riforma universitaria e contro il governo si sia trasformata in guerriglia urbana, al punto che il sottosegretario Mantovano ha proposto di estendere il Daspo (il divieto di accedere alle manifestazioni sportive) anche ai cortei in piazza, e in vista delle imminenti nuove manifestazioni di protesta, c'è chi come la giovane Paola si interroga sul futuro del nostro Paese e sulle alternative per la sua generazione.
Questa la sua lettera, pubblicata sul sito del Centro di ricerca in fenomenologia e scienze della persona dell'Università San Raffaele di Milano:   Buongiorno Prof!
Come sta? In questo giorno buio penso a lei, e ai tanti come lei che si stanno leccando le ferite, sempre più delusi.
Penso alle nostre discussioni, ai nostri "noi" a sedici anni, quando il voto non c’era, ma c’erano le discussioni, le litigate, e la piazza ad accogliere i nostri sfoghi.
Sono partita due anni fa. Il dodici dicembre duemilaotto mi sono presa quel centodieci e lode come fosse l’ultimo regalo che il mio paese poteva farmi e il ventidue dicembre prendevo un aereo che mi avrebbe portata altrove. Non sono più tornata. Ho viaggiato, ho visto pezzi di mondo, Australia, India, Medio Oriente. Ho scelto il mio piccolo giardino felice, qui, in Svizzera. Dove vivere una vita onesta sembra così magnificamente normale, banale addirittura. Finalmente.
Vivo qui, dove passeggiare con l’uomo che amo, che porta scritto sulla pelle un natale lontano, in un paese caldo e povero, non mi rende più suscettibile agli sguardi.
Vivo qui, dove ho un lavoro rispettabile e molto ben pagato, ottenuto alla presentazione di me stessa e di un curriculum, il mio personale sudario.
Vivo qui, dove i miei figli, mezzisangue, andranno a scuola con altri mezzisangue, testimoni e frutti di storie diverse dalle loro e dalle quali avranno tanto da imparare.
Vivo qui, dove chi mi circonda non sa pronunciare il mio nome, ma mi rispetta.
Vivo qui. Ma ieri ho pianto. E ho pianto perché sì, vivo qui, ma sono italiana. E fiera di esserlo. Non mi nascondo come tanti connazionali, che per evitare sorrisetti, prese per i fondelli o battute scontate, si dicono Ticinesi. E come biasimarli? Sarebbe tanto più facile. Io non sono ticinese, sono Italiana. Punto.
Ma non permetto a colleghi o conoscenti di offendermi in quanto tale, io sono, come qualcuno ha detto degli italiani "una nana, seduta sulla groppa di un gigante". Sono la figlia dei diritti conquistati col sangue, sono la figlia di Dante e di Leonardo. Sono la figlia di Cavour, dei partigiani, di Falcone e la sua scorta. Ieri piangevo per loro, per il sangue versato, per cosa poi? Per questo niente? Ho assistito ai discorsi alle Camere, hanno violentato un luogo per me sacro, un luogo dove dovrebbero sedere i migliori. E invece… Invece siede il niente, il nulla. Non solo persone prive di qualsiasi pensiero strutturato, privi di valori per cui valga la pena spendersi, ma anche, mi scusi, dei "morti di fame" (e lo dico con il più grande rispetto per chi di fame ci muore davvero). Persone così disperate da poter appoggiare chi estingue loro il mutuo? Dire, "vendersi per il mutuo", sarebbe addirittura un complimento, considerato che per vendersi, per vendere un ideale, un’idea, bisognerebbe almeno averla. E crederci.
E mi arrabbio e ancora mi indigno. Ma non posso stupirmene: quella gente non l’ha votata nessuno, l’ha "nominata", nominata!, il partito. Come si nominano chessò, i senatori a vita (tra l’altro, perché nessuno si indigna al loro assenteismo in un giorno del genere, quando qualche testa sarebbe servita?). Un nominato da qualche unto del signore, nominato in nome di chissà quale pacchetto di voti (o peggio forse?), perché poi non dovrebbe rispondere al padrone o, trovandone uno di più conveniente, tradirlo?
Di che mi stupisco? Non mi stupisco dei parlamentari, non nutrivo nessuna aspettativa. Mi stupisco dell’uomo. In quanto tale. Mi stupisco del come amici e conoscenti postino commenti aberranti su facebook in questi giorni, tipo "ah ah, vi sta bene!", o peggio "alla faccia di chi voleva che cadesse. Lui non cade mai". Mi stupisco di me, come loro, trasformata in tifosa della politica, che vorrebbe vederli marcire di precarietà. Mi arrabbio per aver trasformato quello zon politikon che ero, in ultrà. Mi arrabbio nel vedermi appesa alla speranza di un Vendola qualunque, cosciente che un uomo di quel calibro non è altro che un altro Berlusconi. Vorrei poter credere alle idee e non agli uomini. Vorrei poter immaginare un’Italia diversa. Vorrei poter immaginare di voler tornare, un giorno.
Ma le idee viaggiano sopra agli uomini. E allora troviamoli! Ne conosco una manciata, che hanno provato come me a fare politica, ad entrare in un partito, a dar voce alle loro idee. Ma i partiti non vogliono idee, vogliono voti, vogliono appalti, vogliono altro.
Mi rattrista sentire mio fratello che, pensando di consolarmi, dice "paola, ma non starci male. Ci state più male voi all’estero che tutti noi qui", e quando dice "noi", intende lui e i suoi amici, che fino a ieri manifestavano contro il ddl Gelmini.
Bene.
Mio fratello partirà. Anche lui. Gli altri si allontaneranno dai partiti e dalla politica. Che ne sarà del paese del rinascimento? Quando rinascerà di nuovo?
La piazza non serve.
Il voto è una legittimazione di decisioni prese altrove.
I partiti non ci vogliono o ci vogliono per usarci.
La violenza non mi interessa.
Ai ventenni che mi chiedono, come mi chiedo io, cosa fare per cambiare le cose?, rispondo con una non risposta: andatevene! La risposta che loro chiedono a me non la conosco.
Chiudo con la mail che mio padre mi ha mandato ieri, a conta chiusa: "Ecco come si governa! B. insegna. Povero parlamento e povera Italia mia".
La abbraccio,
Paola
E' proprio vero: gli italiani migliori non abitano più qui...
Lettera contro la violenza di una giovane fuggita all'estero. Ma le proteste stanno per ricominciare...
Fonte: www.skytg24.it

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