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Liberati da te stessa. Perditi, Nina.

Creato il 02 marzo 2011 da Presidenziali @Presidenziali
Liberati da te stessa. Perditi, Nina.Con Il Cigno Nero Aronofsky vince la più grande delle sfide, quella con se stesso. Il regista americano prolunga di una spanna un ellisse stilistico ancora indefinito interpretando il meglio del suo cinema. Puntando finalmente i piedi su qualcosa di chiaro e riconducibile ad una linea estetica onesta, porta al trionfo oltre che egli stesso, l'artefice visivo della sua creatura, una Natalie Portman straispirata, interprete d'eccezione crisantemica e volubile. Nina volto nuovo e prima ballerina del New York City Ballet si appresta nel difficile compito di interpretare il rifacimento del famoso coreografo Leroy (Vincent Cassel) de Il Lago dei Cigni. Nina è un essere fragile, caparbio e sofferente, la ballerina perfetta, in conflitto con se stessa e il cigno nero imprigionato al suo interno. La duttilità mimica e fisica della Portman con alle spalle 6 mesi di preparazione e la perdita di 10 kg subisce in toto la fascinazione estetica del regista trasportandoci coi suoi passi e le sue incertezze in un viaggio semi-onirico nel suo inferno paranoide. Aronofsky gli cuce appresso un mantello teso fatto di paure, colori cupi e specchi traditori avvalorando lo script di preziose pennellate macchiatamente horror. Prima ballerina ancor più di Nina, la telecamera a spalla graffia il corpo e lo spirito della Portman che tra sogno e realtà si dirige nelle zone d'ombra del suo essere, proiettando le proprie angosce sulla compagna rivale, la sensuale e opposta Lili (Mila Kunis), il naturale cigno nero. Materiale simbolico cosparso un po' ovunque, la bianca Nina con l'approssimarsi della Prima tenta un sofferto riavvicinamento con il suo thanatos nero, posseduta da una sessualità latente che sembra sbeffeggiarsi di lei, illudendola in più di un occasione. La storia è lineare, senza sbavature, elettrica e ostile. Aronofsky si gioca di fino le carte dell'estraniamento e della confusione lasciando che la Portman faccia il resto. Un montaggio sonoro eversivo si compenetra perfettamente con le aperture orchestrali cajcovskiane. Il risultato è una macchina degli incubi solida e sincronizzata, curata in ogni minimo particolare, misurata e spiazzante, che colpisce agli occhi come all'epidermide. Memorabili un paio di scene: il sogno iniziale, la fuga in discoteca con conseguente rientro a casa e gli ultimi venti minuti di gran galà con la Portman che sprigiona tutto il suo talento e si aggiudica l'Oscar un palmo sopra le concorrenti. Il film è un emozione stonata in crescendo, vivida e sensoriale come la sopraffina alchimia in cui tutti gli elementi sono magistralmente dosati. La ricerca della perfezione in un taoesco equilibrio à la occidentale che brucia ardore da un lato e deperisce candore all'opposto. Questo è vero cinema/pasticche. Addicted to druggy people.
voto: 8

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