Il 1° aprile scorso sul sito «Practical Ethics» dell’Università di Oxford è stato pubblicato un articolo dal filosofo Simon Rippon nel quale si rivelavano i contenuti di uno studio neuroscientifico rivoluzionario, attraverso il quale usando un nuovo tipo di scanner cerebrale sarebbe stato possibile localizzare con precisione, nella corteccia prefrontale, la sede del libero arbitrio, permettendoci di determinare con chiarezza i processi causali che conducono alle azioni libere.
A leggere i commenti ricevuti, pochi ci sono cascati. Si trattava infatti di un simpatico “pesce d’Aprile”. Ma a chi era rivolta questa burla? Lo ha spiegato lo stesso filosofo di Oxford, affermando di aver voluto prendere per il naso gli esaltati “new atheists”, come Sam Harris e Jerry Coyne (e mettiamoci pure Richard Dawkins), secondo i quali le neuroscienze sono lo strumento della verità suprema attraverso cui si può dimostrare l’inesistenza del libero arbitrio (e quindi, secondo i loro “ragionamenti”, l’inesistenza di Dio). Una concezione, quella della onnipotenza delle neuroscienze, che Rippon ha liquidato come «ridicola e confusa», perché, ha spiegato, il libero arbitrio è un profondo problema. essenzialmente filosofico.
Il filosofo Mario De Caro, docente presso l’Università Roma Tre, ha però voluto precisare che «è vero che il problema del libero arbitrio non può essere risolto dalle sole neuroscienze; ma le neuroscienze possono comunque portare un contributo molto importante alla chiarificazione del problema». Ha ricordato poi che «non pochi neuro-entusiasti argomentano che il libero arbitrio è un’illusione in quanto tutte le nostre azioni sono causalmente determinate da eventi cerebrali. Peccato che moltissimi filosofi, i cosiddetti “compatibilisti” (come Leibniz, Locke, Hume o Dennett), abbiano argomentato che la causalità deterministica non impedisce affatto il libero arbitrio, anzi ne è condizione di possibilità [...]. Per mostrare che il libero arbitrio non esiste, allora, non basta provare che le nostre azioni sono determinate neurofisiologicamente; bisogna anche confutare la concezione compatibilistica del libero arbitrio». Ricordiamo che De Caro, nell’interessante libro “Siamo davvero liberi” (Codice 2010), ha avuto anche modo di sconfessare l’idea che le spiegazioni evoluzioniste (attraverso la psicologia evolutiva) possano spiegare l’origine della moralità, sottolineando l’irriducibilità dell’uomo rispetto all’animale (approfondiremo però in futuro).
Tornando al sito web dell’Università di Oxford, è interessante notare come il filosofo anti-teista Harris (autore di un recente libro, già recensito su questo sito) è spesso preso di mira, in modo molto negativo. Sempre Rippon, nel 2010, recensiva un suo lavoro con il quale l’amico di Dawkins voleva sostenere che la scienza può determinare ciò che è moralmente giusto o sbagliato. Rippon definisce questo atteggiamento, ovviamente, come “scientista” e “fallacie”, impegnandosi a dimostrarne il perché. Nel novembre scorso è stato lo psicologo Brian Earp ad interessarsi degli argomenti del controverso leader dell’ateismo scientifico. Lo ha fatto con molta ironia, a tratti imbarazzato dalla tesi centrale di Harris, ovvero (ancora una volta) la presunta capacità della scienza di determinare la correttezza o meno dei valori umani: «Ciò che realmente Harris fa nel suo libro -nemmeno molto bene-», ha scritto Earp, «è il semplice e vecchio laico ragionamento sulla morale, affermando di stare usando la scienza per decidere cosa è bene e cosa è male. Che Harris sia veramente così ingenuo [...] pare incredibile, e così io sospetto che lui stia esagerando per vendere più copie del libro. Provo vergogna per lui».