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Giorni impotenti, questi, giorni di un'attesa che placherà il dolore senza lasciare consolazione.
Ci si chiede: ha senso faticare, costruire? quando poi tutto si sgretola e sfugge al controllo? Non posso sottrarmi a queste domande, non posso dare una sbrigativa risposta new age che mescola caso, tai chi e senso di accettazione.
Non posso perché sono viva, prima di tutto, e perché c'è Giulia.
L'ho "costruita", la stiamo costruendo, in qualche modo. In bilico, cerchiamo di accozzare il meglio che possiamo fare, in un gioco continuo di equilibri tra programmazione e entropia, entusiasmi e frustrazione, intenzioni e indole. Sperimentiamo in continuazione i limiti del pensiero e della volontà.
Quando arriva lo scoraggiamento, ecco la risposta della Bionda:
Eccolo, il balsamo. Non pensare troppo - vero Mela? - non pensare e abbandonarsi alle sensazioni superficiali, sensoriali. Quelle che ci fanno scoprire il mondo con meraviglia, proprio come i neonati, quelle che delineano i nostri confini in rapporto all'ambiente esterno.
Non tutte le esperienze sono rigeneranti come quel getto di acqua gelata. C'è la superficie ruvida delle cose, che ci ferisce e ci modifica. Ci sono situazioni che guardiamo esterrefatti, immaginando l'oltre e accettando che lo sguardo o i filtri delle possibili rappresentazioni generino fraintendimento, smarrimento.
Come ho già scritto in un altro contesto, scelgo la superficialità, scelgo strade su cui camminare senza meta per placare l'angoscia. Mi faccio stordire dallo scorrere delle storie che sfioro. Non-c'è-tempo.
Non pensare (troppo) e andare incontro agli altri, all'ambiente...
Con Camilla raccogliamo immagini in un tumbl. Pali, tralicci, moderne torri di babele, muri scrostati, presenze, tag, ambizioni. Quanto affanno per lasciare segnali del proprio passaggio, quanta noncuranza anche. C'è bellezza in tutte quelle sovrastrutture destinate a crollare, c'è bellezza perché spesso c'è stata intenzione, una ricerca di logica e utilità. C'è bellezza - però - anche nel disfacimento e nell'abbandono, perché i manufatti si fondono all'ambiente in un reciproco modificarsi. Anche l'artificiale diventa organico in un nuovo respiro e viene piano piano sgranato e assorbito. Questa, anche questa, è vita.
Siamo liberi in un ingranaggio che si frantumerà e diventerà altro. Improvvisamente mi trovo nella fantascienza, io che non la leggerei nemmeno sotto tortura.
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