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Il dibattito, se questa parola ha ancora un serio senso, ha riguardato anche la pena da comminare a Breivik. C'è chi si è stupito che il codice penale di Oslo non preveda l'ergastolo, ma attribuisca una reclusione massima di 21 anni (in realtà ciò non toglie che chi continui a costituire un pericolo pubblico rimanga in custiodia, ma sì, né ergastolo né tantomeno pena capitale). Altri si sono stupiti del fatto che ce se ne stupisca.L'*apice* è stato probabilmente raggiunto da Repubblica online, che nella stessa homepage è riuscita a pubblicare sia un'inchiesta sullo stato incivile delle carceri italiane sia un video, commentato con toni da Libero, sulla "prigione a 5 stelle" dove forse verrà posto l'omicida di Utoya. Lo spettro è ubiquo.
A chi prova a ragionare con calma si getta in faccia l'accusa di provare simpatia per l'attentatore e di non avere pietà per le vittime.
Al di là della domanda base (se brandire le vittime come una spada sia una forma di pietà), penso che, tutto sommato, è un bene che ci sia la legge - non così com'è, non perché rimanga così, ma che ci siano delle regole che valgono per tutti, questo dico. Una vasta letteratura, anche filosofica, lavora opportunamente sui pericoli connessi alla legge, sulla sua implicita violenza, sul suo essere anche una soglia che accoglie tra le maglie delle sue garanzie alcuni e lascia fuori altri (i fuori e senza legge appunto).
C'è da chiedersi, però, anche, quanto sarebbe auspicabile un sistema in cui, di volta in volta, sono la pietà e la simpatia, la rabbia e la vendetta a decidere la misura di una pena e non la giustizia.da TEMPI FRU FRU http://www.tempifrufru.blogspot.com
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