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LUI&LEI.; In fondo ci assomigliamo pure.

Creato il 23 gennaio 2012 da Nina

LUI&LEI.; In fondo ci assomigliamo pure.
E' un post difficile da scrivere questo per me, ma voglio provarci. Perché scendere in profondità e mettere in luce aspetti così intimi può essere imbarazzante - e anche indecente. Ma condividiamo percorsi simili e la certezza che tutti, prima o poi, ci siamo ritrovati a vivere qualcosa del genere, mi dà la forza di proseguire. Le riflessioni nate con l'ultimo post mi hanno portata a considerare la questione da una prospettiva più allargata, oltre gli stereotipi di genere e le distinzioni di sesso. Forse è vero, non conta chi dei due sia infertile e non conta per due semplice motivi: Il primo lo avete già evidenziato voi, l'infertilità è un problema della coppia;Il secondo invece è frutto della mia personale esperienza, i bisogni, nell'uomo e nella donna, si assomigliano. In questi giorni mi sto accorgendo che ho bisogno di fare il punto della situazione, perché ci sono stati molti cambiamenti, nella mia vita e altri stanno per avvenire. Perché sento sempre più la necessita di andare oltre per conquistare un senso dello stare insieme diverso e sento anche che piano piano mi ci sto avvicinando.
Ricordo che quando abbiamo scoperto - all'inizio dell'anno scorso - la mia infertilità, mi sono ritrovata difronte a un muro di piombo, che non avevo previsto. Ricordo il crollo del mio mondo - il nostro mondo - così come lo avevo conosciuto fino a quel momento. E immaginato anche. E sognato. La fine di quel che credevo possibile. Era necessario ripartire da zero, allineare le nuove scoperte, le nuove verità, ridargli una forma diversa, che avesse un senso per noi. E credevo anche di doverlo fare in fretta, subito, immediatamente. Perché la testa mi diceva che se desideravo davvero un figlio il minimo che potessi fare fosse mettermi in moto, all'istante. Il tempo di reazione era la misura di quel desiderio. Della serie chiudo un capitolo e passo a quello successivo. Ma non poteva funzionare, non così, non per me almeno.Ho compreso che era di calma che avevo bisogno, spazio e silenzio per poter metabolizzare la botta, digerire la nuova realtà ed elaborare il lutto: quello del sogno di dare la vita in modo naturale.Esistono dei tempi fisiologici, ognuno ha i suoi e dovremmo rispettarli, rispettarci.Ringrazio quel momento di illuminazione che mi ha fatto comprendere che non era una battaglia quella che stavo combattendo con tanta tenacia, che forse quell'avvenimento arrivava per mettermi di fronte a me stessa, alla nostra relazione, in un altro modo. E così ho deposto le armi e ho lasciato che le cose seguissero il loro corso per un po'. Ho leccato le ferite, ho lasciato che il tempo le guarisse e le rimarginasse.Ammiro la determinazione, ma allo stesso modo non dimentico che è necessario assecondare anche la parte che soffre, che chiede di essere accolta e ascoltata.C'è un tempo per tutto e per me i mesi immediatamente dopo l'isteroblabla non erano certo quelli giusti per catapultare il mio corpo incerto e insicuro - e il mio spirito dolorante - nel vortice di esami e cure. Perché in quel momento non avrebbero fatto altro che mettermi di nuovo di fronte al mio problema, al mio difetto, alle mie mancanze. Volevo ricaricarmi, ne avevo bisogno, riacquistare sicurezza, scoprire le mie risorse, quel che sono e che avrei continuato ad essere anche senza una parte consistente di me. Io non riuscivo a fare l'amore, senza uno scopo, senza un obiettivo alto e condiviso come quello della procreazione. Mi sentivo una donna a metà, minata nel suo intimo. Qualcosa era arrivato con la forza di una bomba a distruggere tutto quel che avevo pensato di me, l'immagine che mi ero costruita negli anni, fin dall'infanzia. E con lei mi abbandonavano, anche, la mia femminilità, la mia sensualità, il sentirmi forte e sicura in un corpo funzionante, perfetto, che riceve la vita e poi la restituisce nella sua forma più bella e compiuta.Sono stati mesi duri, anche aridi per certi aspetti, ero scollegata dal mio corpo, non volevo sentirlo, non volevo che qualcosa dall'esterno arrivasse a ricordarmi quel che non potevo o non riuscivo a fare. Ero in lotta, dentro di me, rifiutavo il mio corpo, mi sentivo tradita. Volevo tornare a sentirmi normale, a percepirmi normale
Ci vuole tempo per ritrovare un nuovo equilibrio, per ristabilire la pace e l'armonia tra l'interno e l'esterno.E così ho rallentato, ho cercato un alleato in Lui e l'ho trovato. Gli ho chiesto di non farmi pressioni, di attendere, insieme a me, il mio rifiorire. La mia femminilità languiva lì dentro, da qualche parte, volevo mi aiutasse a non avere paura, che mi trasmettesse la fiducia nel fatto che sarebbe tornata. Che ce l'avrei fatta, indipendentemente dalla mia capacità procreativa. Sapevo che voleva quel figlio quanto me, ma saperlo mi faceva sentire ancora più inutile. L'aiuto più grande è stata la sua pazienza, il suo non forzare le cose, il suo accogliere quel poco che riuscivo a dare e agire come se fosse il tutto, perché in fondo lo era, in quel momento per me era il massimo. Non mi ha mai chiesto di fare quella telefonata al centro di PMA (che per altro ancora non ho fatto), mi ha solo detto che qualunque cosa avessi scelto di fare, Lui mi avrebbe incoraggiata e sostenuta. Mai una volta l'ho visto impaziente, mai una volta ho avuto la sensazione che, dal suo punto di vista, io stessi perdendo del tempo prezioso. Spesso mi chiedo se sarei stata capace di fare altrettanto.
Poi la primavera è tornata, mi sono riappropriata di me e del mio potenziale, lavorando ad un nuovo equilibrio di coppia. E nel punto esatto in cui ero certa di trovarlo ad attendermi, Lui non c'era.Non riusciva a fare l'amore con me. Non ne aveva voglia, era stanco, distratto, disinteressato quasi. Non riuscivo a farmene una ragione io, laddove stupidamente avevo creduto che il problema, mio e mio soltanto, non avrebbe certo minato le sue di certezze.Ci sono voluti  giorni di discussioni, di rabbia gridata, di indifferenza, di silenzi e frustrazione per capire che anche in Lui si agitavano cose enormi a cui, da solo, non riusciva a dare un nome. Ed è arrivato il MIO momento, quello in cui dovevo e potevo essere io il sostegno, la parte forte tra i due.C'è stato un passaggio di testimone, ma nulla è indolore o automatico, anche se raccontando sembra esserci una consequenzialità, una causalità che non era prevedibile mentre l'uragano era in atto.Ho scoperto che mentre Lui era impegnato ad ascoltare, assecondare, comprendere me, non aveva avuto modo e tempo di affrontare il suo di lutto. Né io avevo considerato questo aspetto.Lui era concentrato sul mio dolore e questo gli consentiva di non ascoltare o vedere il suo.Anche Lui aveva dei sogni, anche lui credeva nella magia dell'incontro dei corpi. Anche Lui aveva dei desideri, genuini e delicati. Che aveva difeso con le unghie e i denti,  a cui si era aggrappato con tutte le forze, anche quando la verità ci era piombata addosso. Anche Lui li ha dovuti salutare, dirgli addio, ma a differenza di me lo ha dovuto fare in fretta, senza potersi concedere il lusso della fragilità, dell'incertezza. Senza poterci piangere un po' su. Senza darsi il giusto tempo. Perché c'ero io e il mio dolore, più forte di tutto il resto. Io, per Lui, ero la priorità.A posteriori si può intuire come questo sia una errore, fatto in buona fede, certo, ma un errore. E in questo avete ragione: accade perché il nostro è un percorso di coppia, prima di tutto, ma come l'esperienza ci insegna, la coppia è fatta di due individui. Anche Lui avrebbe avuto bisogno di assecondare i suoi tempi, fare le cose coi suoi ritmi, riconoscersi uno stato d'emergenza nuovo, dare spazio ad esigenze e bisogni che necessitavano calma e tempo per essere scoperti. In questo lo avrebbe aiutato mettere dei paletti, segnare il confine tra ME e LUI, così da ricavarsi degli angoli di rigenerazione e ascolto intimo. Ma quando ci sei dentro è l'istinto e l'amore che ti guidano.Ed è stato qui che ho ricevuto, da Lui, da un uomo, la più grande lezione di vita. Un giorno, mentre annaspavo nei dubbi e nella confusione, Lui mi ha detto queste semplici parole:
- Io ho bisogno delle stesse cose di cui hai bisogno tu -Perciò, con questo enorme tesoro di consapevolezza tra le mani, ho restituito a Lui il dono inestimabile che aveva fatto a me: ho atteso, accanto a Lui, che tornasse a fiorire. Ho aspettato, ma senza aspettarmi nulla, che  la sicurezza in se stesso, l'autostima, la convinzione tornassero ad abitarlo. Ho cercato, ogni volta che potevo, di farlo sentire amato e accettato. Gli ho lasciato la libertà di gestire spazi e tempi, come meglio credeva. Mi sono fidata di Lui, certa del fatto che Lui sa cosa è meglio per se stesso.
Sono stata sciocca e ottusa, oggi lo so: mi ha fatto comodo pensare e credere che essendo un uomo fosse depositario di una forza e di una imperturbabilità di fronte a certi avvenimenti, che noi donne non abbiamo.Ho scoperto invece un uomo diviso, spezzato, che non riusciva ad accettare l'evidenza dei fatti, una semplice ma insostenibile verità: NON posso mettere incinta la donna che amo. Ti vedo soffrire e mi sento impotente.Come donna ho faticato a comprendere come potesse arrivare a pensare una cosa del genere, considerato che la diversamente fertile sono io. Abbiamo molto da imparare dagli uomini, per questo ultimamente ho l'abitudine di chiedere.  Mi ha perciò spiegato che ha a che fare con la sensazione di potere. L'uomo possiede un'energia potente che è capace di generare la vita. La consapevolezza di avere questo potere è un motore fortissimo, che alimenta - anche inconsciamente - il loro rapporto con la sessualità e il desiderio. Sapere di avere questa possibilità, di poter decidere se e come utilizzarla, li fa sentire forti, maschi, vivi. In poche parole una lezione su una aspetto, forse il più intimo, del concetto di virilità.Che in fondo siamo animali, non scordiamolo. L'istinto, soprattutto nelle questioni sessuali, vince su tutto il resto.E aivoglia a razionalizzare, a ricordargli che Lui continua ad averlo questo potere, che la difettosa sono io, a nulla serve e per un semplice motivo: quando sia ama si spartisce tutto. La mia infertilità è la sua. Su questo non ci piove. Allora non lo capivo come adesso, ma il bisogno più forte per me, in certi momenti, è proprio quello di non percepirmi come quella che ha problemi, ma di rapportarmi a me, di comportarmi, come chi ha le stesse chance di chiunque altra, le stesse risorse, le stesse possibilità. Questo fa davvero la differenza. E lo stesso è per l'uomo. Il modo in cui l'altro ci guarda, ciò che ci chiede, determina il modo in cui noi percepiamo noi stessi.Le implicazioni sono sottili e a volte non immediatamente visibili, scoperte di questo tipo compromettono il rapporto che abbiamo con noi stessi, la nostra identità di donne e uomini, il rapporto con la sessualità. Con la vita.In una relazione seria fare l'amore sottintende un potenziale condiviso. Un potere che ci avvicina a Dio, perché ci rende capaci di contribuire alla creazione. E' un motore che agisce sotto la soglia della coscienza, che ci spinge a fare certe scelte, a sacrificare la nostra libertà. E' un istinto incontrollabile.Quando viene meno, quando una fredda diagnosi decreta che questa funzione primaria non può essere assolta dalla coppia, conta poco di chi sia la causa. La sfida da quel momento sarà enorme. La vita di coppia ha un percorso che si svolge, identico nelle funzioni principali, da quando esiste l'uomo. Donne e uomini come noi sono la frattura, la crepa. Quel che stiamo facendo è riconquistarci uno spazio. Ma farlo richiede fatica e dubbi e confusione perché il percorso non è tracciato, perché l'essere umano, privato delle sue certezze biologiche, certezze che lo definiscono e lo strutturano dalla notte dei tempi, perde consistenza e determinazione. Perde l'obiettivo, lo scopo, come l'atleta squalificato che non può prendere parte alla gara che si svolge in campo, ma è costretto a restare seduto, in panchina e guardare gli altri misurarsi con i propri limiti, mettersi in gioco per superarli e conquistare i loro sogni. Forse poi per un uomo questo aspetto è ancora più avvilente per le ragioni di cui sopra.
Recuperare uno stato naturale delle cose, continuare a sentirti parte del ciclo della vita quando ne sei stato escluso, non è cosa da poco. Reinventarti un senso che vada oltre il fine della riproduzione. Fare l'amore per il piacere di farlo, laddove la passione, inconsapevolmente, è strettamente legata al potere di generare la vita.Ritrovare un'istintualità, una complicità forse più profonda, più sottile è altamente trasgressivo, per come la vedo io: è ribellione, è uscire da un meccanismo che ci incasella in definizioni in cui, per forza di cose, noi non possiamo rientrare. Ma quando ce la fai, quando costruisci pezzetto dopo pezzetto un castello solo con la forza delle tue e delle sue braccia e lo ammiri, nella sua (im)perfezione puoi renderti finalmente conto di quel che insieme siete riusciti a conquistare: il vostro futuro. Le basi - solide e forti - della vostra felicità.
LUI&LEI.; In fondo ci assomigliamo pure.

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