Magazine Diario personale
Quella sera Aldo guardò l’orologio alle 23.25, dopo lo riguardò alle 7.30 ma era già irrimediabilmente troppo tardi.
Cataldo detto Aldo, perché con un nome così non si può espatriare, tutte le sere trepidante aspettava l’appuntamento con la sua fidanzata e tutte le sere si recava dalla sua amata in via dell’incontrata 35, nome assai provvidenziale.
Lui, la fidanzata, il fratello della fidanzata e la mamma della fidanzata. Incontro a quattro. Pacchetto all Inclusive.
Erano tempi difficili per i fidanzati che dovevano mantenersi illibati sino al matrimonio. Gli anni del boom economico non coincidevano con gli anni del boom liberale, almeno al sud, nelle piccole realtà rurali di un’Italia anticamente lontana dal tempo preoccupata più dell’apparire e contarsi i passi piuttosto che del viversi.
Cacci i mani i ddà! Imperativa.
Quando Aldo provava a sfiorare la mano di Rosina detta Rosa, perché con un diminutivo così non si può che rimanere illibate, l’arcigna mamma da sotto al fazzoletto nero che teneva in testa lo rimetteva in riga e doveva subito ritornare al suo posto.
Quella sera Aldo meditò vendetta. Esasperato dall’occhio vigile della futura suocera decise di giocare in attacco con una contromossa inaspettata.
L’indomani passò dall’amico farmacista.
Chi c’a fare cu stè pasticche?
Fatti i fatti toi, dammille!
Il grado di confidenza tra i due e gli studi da infermiere fecero il resto.
E pasticche furono.
Aldo impiegò un’ora buona per convincere Rosa che quel sonnifero era innocuo, non sarebbe successo nulla di grave, avrebbero dormito come due angioletti e basta. Il fratello già dormiva di suo e alla madre di 130 Kg non sarebbero bastate due scatole. E chi l’avrebbe ammazzata quella con la stazza e la tigna che aveva?
Una sera avevano concordato che Aldo rimanesse a dormire in via dell’incontrata perché l’indomani sarebbero dovuti andare in città, lui, lei, il fratello e l’arcigna mamma, a comprare le bomboniere per l’imminente matrimonio, Aldo avrebbe dormito con il fratello e Rosa con la madre.
Dopo cena l’atteso caffè. Aldo in bagno tritò le compresse fine fine e la polverina la diede a Rosa raccomandandosi di distribuire l’equa dose nelle due tazzine. Nella sala da pranzo intanto la mamma arcigna lo fissava con aria di sfida mentre il fratello meditava di non prendere il caffè, proprio quella sera.
No, tu mo stu cafè tu pigli!
Ma…veramente..
Pignati stu cafèèè…! Imperativissimo.
Giuseppe non si oppose all’insistenza di Aldo, gli sembrava indemoniato e come tante altre volte abituato all’arcigno comando imperativo ubbidì.
Sorseggiato il caffè l’arcigna iniziò ad accusare pesantezza alla testa, vacillava come una canna al vento, il fazzoletto nero calava sugli occhi sempre di più, così finalmente decise, trascinandosi dietro dubbi, perplessità e Rosa, di andare a dormire.
Aldo e Giuseppe si sistemarono nella stanza più piccola, tanto per Aldo era una collocazione provvisoria, da lì a breve Rosina sarebbe stata sua. Fiero della contromossa si pregustava l’arcigna disdetta e la vittoria.
Ventitré e venticinque, a distanza di sessant’anni sono due numeri rimasti impressi nella memoria di Aldo, insieme a sette e trenta, che non è la dichiarazione dei redditi d’impresa, lì si gioca tutto in nero.
Quando riguardò l’orologio si rese conto che anche lui aveva bevuto quel caffè.
Aldo finì di raccontare la storia e ci fu una gran risata generale. Si era in tanti intorno a quel tavolo, amici, parenti, amici di amici. Il sole primaverile sul finire del tramonto ancora scaldava l’aria, un bicchiere di vino e tante vicende da narrare, di quando vibravano note senza che si suonasse musica e di quando la poesia aleggiava nell’attesa che un sogno spiccasse il volo.
di Maria Cappello
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