Oggi vorrei parlarvi di quello che per me è una corretta alimentazione, salutare e consapevole, anche a seguito di confronti che ho avuto con amici, colleghi e conoscenti. Visto che ho molto da dire, spezzerò l’articolo in due parti: settimana prossima tratterò più approfonditamente la *qualità* alimentare, mentre oggi parlerò di *equilibrio* e di personalizzazione della dieta (intesa come stile alimentare, non come schema dimagrante).
La cosiddetta Scienza dell’alimentazione è una branca della Medicina e della Ricerca nata da pochissimi decenni: penso sia stato intorno agli anni Quaranta che gli studiosi hanno effettivamente cominciato a capire che il cibo può avere un effetto tangibile sulla salute – nel bene e nel male. La saggezza popolare, però, conosceva il potere terapeutico dell’alimentazione già da centinaia (migliaia!) di anni: pensiamo ai testi di Ippocrate, Paracelso, Galeno. Ai testi di Ayurveda e di Medicina cinese, nei quali non mancavano mai indicazioni dietetiche come parte integrante di una cura. O semplicemente alla nostra nonna, che bolliva le erbe amare in primavera, preparava brodo di gallina per l’influenza e il midollo per i dolori articolari, o che ci guardava di sottecchi quando bevevamo un bicchierone di latte in un periodo in cui eravamo afflitti da tosse persistente.
Da quando la scienza ufficiale ha cominciato ad approfondire i legami che uniscono cibo e salute, l’interesse è diventato sempre più specifico: se prima era “il mirtillo” a fare bene per la circolazione venosa, adesso è diventano “il flavonoide” contenuto nel mirtillo. Il passaggio dal macro al micro ha fatto la fortuna delle industrie di integratori, ben contente di poter isolare quelle esatte sostanze che autorevoli studi scientifici hanno decretato essere antiossidanti, antinfiammatorie, antitumorali, rinvigorenti (e aggiungete voi altri aggettivi). Qui avevo parlato di ciò che sarebbe bene sapere prima di fidarsi degli studi scientifici.
Con il passare del tempo e il proliferare degli studi si è quasi del tutto persa la cognizione di ciò da cui tutto è partito: il cibo. Il puro, semplice, naturale cibo.
L’alimento è diventato super-alimento, vuoi in positivo vuoi in negativo. Pensiamo alla fortuna avuta da ingredienti esotici come bacche di Goji, guaranà, matè. Pensiamo banalmente al latte: quand’ero piccola mia mamma era disperata perché il solo odore del latte mi metteva nausea, ma la pediatra insisteva nel dire che “senza latte lo scheletro non si forma”. A distanza di vent’anni, autorevoli medici e scienziati hanno sentenziato che il latte non è indispensabile alla crescita del bambino e alla formazione del suo scheletro: secondo me, senza scomodare i ricercatori, sarebbe stato sufficiente constatare che nel mondo esistono diverse popolazioni che non consumano latte e che non soffrono di rachitismo (patologia dovuta a malformazione ossea). Però, ci si è spinti anche oltre: “il latte impoverisce lo scheletro di minerali e predispone all’osteoporosi”. Fior fiore di generazioni cresciute a latte e biscotti sono destinate a una vecchiaia costellata di fratture?
Ho fatto l’esempio del latte, ma avrei potuto farne molti altri: alimenti o nutrienti che all’improvviso diventano mortali (il tam-tam sulle proteine animali), o all’opposto salvifiche (tè verde, bacche di Goji, spezie, soia).
Io stessa in passato ho sbagliato, mettendo sul banco degli imputati questo o quel alimento, senza considerare modalità, quantità e frequenza del consumo.
Com’è possibile che esista una tale contraddizione in quello che dovrebbe essere scientificamente provato, dunque certo ed insindacabile?
Ne avevo accennato nell’articolo che vi ho linkato poco sopra: è impossibile decretare se il consumo di determinati alimenti faccia bene o male, perché i fattori che concorrono a creare le condizioni di salute o di malattia sono talmente tante che isolare le conseguenze legate all’ingestione di *un* singolo alimento è pura fantascienza. Figuriamoci poi capire l’effetto che può avere *un* nutriente specifico contenuto in *un* alimento particolare.
Mi si chiede: “è vero che i semi di lino aiutano per le vampate in menopausa?”; “è vero che il caffè irrita l’intestino?”; “è vero che il pesce previene l’infarto?”.
E io vi chiedo: di che quantità stiamo parlando? Assunte quotidianamente? Quanti giorni a settimana? Abbinate a quali altri alimenti? Che tipo di cottura abbiamo usato? *e mille altre domande*
Capite, è impossibile isolare un fattore da tutti quelli cui è interconnesso. Quello che conta è lo stile di vita e l’alimentazione nel suo complesso.
Un alimento “sbagliato” assunto anche quotidianamente in un’alimentazione equilibrata non intossicherà il nostro corpo, così come un alimento iper salutare introdotto in una dieta caotica non proteggerà da alcuna malattia.
Mi sembra superfluo dirlo, ma in questo caso sto parlando di alimentazioni su soggetti sani. Non dobbiamo dimenticare che esistono tutta una serie di predisposizioni a patologie o sintomi specifici che possono essere facilmente corretti con un approccio dietoterapico specifico, che possa anche prevedere l’esclusione di certi alimenti: per rimanere sul banale, pensiamo all’esclusione di kiwi e semini in chi soffre di diverticolite; alla capacità di scatenare il mal di testa di cioccolato, formaggi stagionati o salsa di soia; al meteorismo causato dalla clorofilla della lattuga.
Questi sono esempi ben noti alla dietoterapia classica, ma esistono altre casistiche non supportate da studi scientifici a larga scala che tuttavia hanno un’efficacia molto marcata: in questi casi non c’è miglior testimone che il paziente che ha visto la regressione dei suoi sintomi grazie alla dieta. Penso ad esempio a chi ha eliminato latte e latticini ed ha avuto un netto miglioramento dell’asma, o a tutte quelle persone la cui psoriasi è nettamente migliorata (se non sparita) dopo essersi attenute ad un protocollo dietetico molto rigido ma più efficace di qualsiasi farmaco (grazie al lavoro di divulgazione e sensibilizzazione portato avanti dagli amministratori di questo gruppo, loro stessi ex-malati di psoriasi, che ringrazio per avermi permesso di citarli come esempio concreto in questo intervento).
Comunque, tralasciando divagazioni di sorta, arriviamo a parlare di stile alimentare. Sono in atto le più accese dispute tra fazioni opposte: chi difende a spada tratta le proteine animali e chi quelle vegetali, chi è fautore del digiuno intermittente e chi dei 5-6 mini-pasti al giorno, chi elimina il glutine e chi consiglia la pasta tutti i giorni.
Come per il singolo alimento, anche in questo caso è impossibile definire cosa faccia bene o cosa faccia male *in assoluto*, tolte ovviamente situazioni particolari di patologia o di diminuita tolleranza verso certi alimenti. Per ciascun modello alimentare si possono citare centinaia di persone che lo hanno adottato e che sono in perfetta salute: demonizzarne o esaltarne uno nello specifico sarebbe sbagliato. Perché?
Eccomi arrivata al nocciolo del mio articolo: i valori che per me sono imprescindibili in una dieta, intesa tanto come dieta dimagrante quanto come dieta curativa. O semplicemente come corretta alimentazione.
Sto parlando di personalizzazione e qualità di ciò che mangiamo.
Concludo quest’articolo parlando di personalizzazione, mentre nel successivo affronterò il problema della qualità alimentare.
Lo stile alimentare deve assecondare le necessità e le esigenze della persona. Posto il fatto che deve essere adeguata a soddisfare i suoi fabbisogni sotto ogni punto di vista, la dieta deve essere: fattibile, gustosa, adeguata.
Fattibile: sarebbe idealistico ma irreale pensare che ciascuno di noi abbia la possibilità di ritagliarsi almeno 30-40 minuti a pasto, colazione compresa, e che riesca sempre a mangiare a casa, usando alimenti cucinati con amore. Per motivi lavorativi spesso ci troviamo 5 giorni a settimana a mangiare fuori casa: possiamo ovviare portandoci la classica “schiscetta” senza ridurci ad entrare nelle tavole calde, ma non sarà sicuramente la stessa cosa che pranzare a casa. Esistono poi persone che fanno i turni, e che nell’arco di un mese hanno orari completamente sfalsati. Oppure professioni che obbligano soventemente a saltare il pranzo, o a convertirlo in uno snack. Oppure ancora persone che pur di fare sport vanno in palestra in pausa pranzo o all’ora di cena. In questi casi bisogna adattare la dieta alle diverse esigenze: fortunatamente il nostro corpo non è una macchina che si deve alimentare sempre e solo a orari precisi e con quantità immodificabili.
Bisogna però trovare il modello alimentare adatto a sé, e sano, cosa non semplice in un mondo dove è più facile risolvere un pasto al volo con una merendina confezionata piuttosto che con un’alternativa più salutare, equilibrando diversamente il resto della giornata qualora il pasto fosse davvero solo uno spuntino.
Gustosa: quello che ci si mette nel piatto deve piacere. Una dieta insipida, poco colorata, poco varia, poco appetitosa ci renderà esattamente così: insipidi, incolori, schematici e… tristi. Questo non è sostenuto da alcuno studio scientifico, ma ne sono profondamente convinta. Anche per esperienza personale, oltre che professionale. E se non condividete con me questo punto, potete passare oltre o chiudere il mio sito ;)
Rendere gustosa l’alimentazione è facile e divertente. Spesso è sufficiente usare più spezie ed erbe aromatiche: la zucca al forno con la curcuma cambierà sapore, il petto di pollo con lo zenzero sarà più gustoso, il branzino con il rosmarino sarà più appetitoso… Potete usare curry, paprika, cannella, noce moscata, rosmarino, basilico, timo, coriandolo, cumino, cardamomo… Ogni volta sarà un gusto diverso!
Adeguata. Al di là di ciò che è buono, ciò che piace e ciò che è possibile fare, ci sono certe situazioni nelle quali siamo noi a doverci adattare al cibo, e non il cibo a doversi adattare a noi.
Cosa voglio dire? Proviamo a domandarci: “come sto?”. In base alla risposta, avremo già un’idea se la nostra dieta sia adeguata o meno. Provo a farvi degli esempi.
Chi si sente costantemente letargico dopo il pranzo. Chi soffre di acidità di stomaco. Chi ha mal di pancia o transito intestinale accelerato, con scariche fino a 5-6 volte al giorno. Chi sta facendo diventare il controllo del cibo un pensiero ossessivo. Chi è sempre stanco a livello fisico. Chi ha abbuffate compulsive apparentemente immotivate, e non dovute a cause emotive. Ma anche condizioni più strettamente cliniche: ipercolesterolemia, ipertensione, acidi urici, aterosclerosi, pre-diabete, steatosi epatica…
Come accennato precedentemente, è possibile far regredire i sintomi (in questi casi non so se si possa parlare propriamente di ‘guarigione’) anche di patologie complesse come psoriasi, rettocolite ulcerosa, ovaio policistico, epilessia.
Senza sconfinare nel patologico -non è questo il fine del mio intervento- volevo solo farvi capire quanto un cambiamento delle proprie abitudini alimentari possa incidere sul proprio stato di salute.
Da un lato ci sono ancora molti interrogativi sul modo in cui la dieta possa essere causa di certe patologie: non esiste *un* colpevole, dal momento che è *lo stile di vita* ad essere insano e -di fatto- malato. Non sono “le proteine” o “gli zuccheri” o qualsiasi altro singolo fattore, ma il modo in cui essi si pongono nei rapporti gli uni con gli altri.
Dall’altro sappiamo che una corretta alimentazione può essere una cura, una terapia, un salvagente non farmacologico per una svariata gamma di sintomi.
Dal momento che ciascuno di noi è un essere unico e irripetibile, anche la nostra alimentazione non può essere preimpostata e standardizzata. L’importante è che abbia in sé un equilibrio, che può essere un equilibrio diverso rispetto a quello di nostro fratello, il nostro ragazzo, la nostra migliore amica.
Tuttavia non basta trovare il modello alimentare che ci fa star bene a livello soggettivo. E’ necessario anche tenere monitorati di tanto in tanto anche valori specifici per essere sicuri di non stare sbagliando: non possiamo ‘sentire’ che il colesterolo LDL è alto o che abbiamo bassi livelli di vitamina D o che le nostre riserve di ferro si stanno esaurendo.
Inoltre, dobbiamo tenere in enorme considerazione la qualità (e la varietà) del cibo, ma di questo parleremo settimana prossima. Solo un po’ di pazienza!