Recentemente è uscito un libro dello storico Sergio Luzzatto, una delle poche voci autorevoli contro la presenza del crocifisso nelle aule scolastiche e nello spazio pubblico. Le sue argomentazione appaiono però molto deboli e sicuramente originali, ma evidentemente decontestualizzate. C’è spazio anche per qualche insulto a Natalia Ginzburg, al presidente Napolitano, a scrittori, santi, giornalisti e ministri favorevoli al crocifisso (Travaglio, Ferrara, Padre Pio ecc..) e allo stesso Gesù.
Marcello Veneziani, filosofo, scrittore ed editorialista de Il Giornale, risponde dalle colonne del suo quotidiano. Citiamo alcuni passi significativi: «A suo dire un muro bianco ci darebbe un’Italia migliore. Conosciamo da oltre due secoli come sono stati riempiti i muri bianchi, spogliati da quel simbolo d’amore e civiltà: sogni totalitari e persecuzioni giacobine, utopie sanguinose e deliri di onnipotenza, tecnologia contro l’umano ed egoismi bestiali. Senza i simboli che ci ricordano la nostra umanità, la nostra carità e la connessione con le nostre origini, siamo in balìa del nulla, del vuoto o del peggio. Tutte le nostre città parlano di quella fede: rimuoviamo palazzi, piazze, chiese e opere d’arte cristiane? Eppure quelli sono i nostri civilissimi argini alla barbarie interna ed esterna che avanza. Perché non dovremmo esporre, mica imporre, un simbolo alto della nostra civiltà? Il crocifisso sul muro non offende nessuno e a nessuno impone di essere credente». Il filosofo continua poi scardinando uno dei tanti luoghi comuni: «E’ vero, il crocifisso è stato usato anche per perseguitare i non credenti e condannare i Galilei e i Giordano Bruno; ma pure la libertà, l’uguaglianza e la fratellanza sono state usate per massacrare popoli e per condannare un chimico come Lavoiseur e un poeta come Andrè Chenier: le cancelliamo?». Conclude Veneziani ironizzando sulla proposta di Luzzatto, in preda a evidenti raptus odifreddiani e scientisti: «Luzzatto suggerisce di mettere nei luoghi pubblici la doppia elica del Dna, simbolo del genere umano. Ma sì, riduciamo l’uomo a un ingranaggio genetico, privo di anima e di storia, di vita vissuta e di memoria, di umanità e di simboli sacri. Anzi facciamo un monumento allo spermatozoo. Che volete, io preferisco la civiltà di Guareschi, col suo don Camillo che parlava con Cristo in croce e l’ateo Peppone che lo rispettava di nascosto».
Un’altra replica autorevole arriva da Il Sole 24 ore. Si tratta del poeta, opinionista e critico d’arte Davide Rondoni, editorialista di Avvenire e de Il Sole 24 ore: «Per la mia fede, stracciata e semplice che ci sia o no, Gesù esposto nelle aule di scuola non cambia niente. So dove inginocchiarmi di fronte a Lui. Ma a me, come italiano, fa piacere: significa che questo paese, dove da tutto il mondo vengono a vedere luoghi in buona parte legati alla storia e all’arte nate e sviluppate con il cristianesimo, è fatto non solo di istituzioni ma anche di anima e storia, di vita». Rondoni ricorda anche l’intervento del «suo» amico professor J. Weiler, insigne giurista ebreo di New York che ha difeso a Strasburgo il ricorso dell’Italia e d’altri paesi contro l’ingiunzione di togliere i crocefissi dai luoghi pubblici. «Weiler ha mostrato ai giudici che non è possibile in questo genere di faccende arrivare a un grado zero di problema. I simboli religiosi non vanno “laicizzati”, ma letti per il valore che hanno a riguardo della storia di un popolo. Cittadini britannici potranno sempre sentirsi offesi dal fatto che nel loro inno ci si rivolga a Dio. Eliminando tali parole si sentirebbero offesi i credenti. In ogni caso non si può negare il valore di tali parole per la storia di quel paese. Ogni segno porta con sé la necessità della comprensione e della tolleranza. Il muro bianco è solo negazione di ogni storia. Una civiltà che non dà luogo a segni condivisi – come è il crocifisso – è civiltà morta». Anche Rondoni cita la soluzione proposta da Luzzatto di appendere alle pareti la doppia elica, unico simbolo che ci accomunerebbe. Eppure, gli ricorda Rondoni, «non è proprio il Dna ci distingue? Dividendo i malati dai sani, i fortunati dagli imperfetti, i bassi dagli spilungoni…».