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Matteo 20,1-15, l'articolo 18 di Dio.

Da Gio65 @giovanniparigi

http://www.newz.it/wp-content/uploads/2011/09/corteo-sciopero-cgil-2.jpgCon questo post inauguro una nuova sezione del blog, una nuova categoria: Riflessioni. L’intento è scrivere le mie considerazioni sulle parabole del Vangelo. Lo farò in modo semplice, perché il tono esegetico non è nelle mie corde, nelle mie possibilità.

Di Matteo 20,7 mi ha sempre colpito un fatto: perché quegli operai non sono stati ingaggiati da nessuno? Forse che non c’era lavoro per tutti? Non credo sia così perché la parabola è orientata nel descrivere la giustizia divina, spesso in contrasto con quella umana, talvolta addirittura di scandalo.

Per capire il non scritto di questa parabola, leggiamo lo scritto.

  
1
 «Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all'alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna.2 Accordatosi con loro per un denaro al giorno, li mandò nella sua vigna.3 Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano sulla piazza disoccupati4 e disse loro: Andate anche voi nella mia vigna; quello che è giusto ve lo darò. Ed essi andarono.5 Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre e fece altrettanto.6 Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano là e disse loro: Perché ve ne state qui tutto il giorno oziosi?7 Gli risposero: Perché nessuno ci ha presi a giornata. Ed egli disse loro: Andate anche voi nella mia vigna…”

Il versetto 7, riportato in grassetto, a mio parere è la chiave di tutto. Esso schiude il pensiero di Dio proprio con quanto non ci dice, cioè il motivo della loro esclusione, del loro non essere stati assunti da nessuno.

Se consideriamo quanto accade oggi, possiamo capire quanto accadeva anche ieri: si assumono solo gli operai abili, quelli capaci di giustificare il loro salario con il lavoro. Per gli altri non c’è posto, non c’è domanda: ciechi, zoppi, menomati e, perché no, ubriaconi, non li vuole nessuno, neanche oggi, tanto che esistono leggi che obbligano ad assumerli. Nessuno, ieri come allora, penserebbe alla loro sfortuna, perchè  ciò che ha sempre disciplinato il mercato del lavoro è la logica della resa: tot di salario=tot di ore di lavoro. Per quelli che per condizione fisica ciò è impossibile rimane solo un’umiliante attesa. Anzi, se dovessero essere valutati secondo la logica della domanda e offerta di lavoro essi non avrebbero speranza: nessuno butta il proprio denaro. Nel mondo del lavoro non c’è spazio per i bisognosi, non c’è spazio per la Misericordia. La sfortuna di non essere abili al lavoro non apre il cuore di chi domanda lavoro, ma è invece motivo di esclusione.

Ecco allora che in questa parabola la logica di Dio-ma sarebbe più giusto dire il cuore di Dio-ribalta le cose umane e laddove tiranneggiava il profitto o il do ut des subentra una giustizia misericordiosa che ha cura anche del derelitto. Tutto questo ci porta a dire che se dipendesse dall’uomo tutto si ridurrebbe a calcolo, a profitto. L’altro sarebbe solo uno strumento che ha l’obbligo di essere efficiente se "acquistato". Fortunatamente questa parabola ci dimostra che Dio non ragiona così, ma che è capace di accollarsi gli ultimi nonostante la loro invalidità. Ciò per una sola ora e allo stesso, pattuito salario dei sani. Tutto per bontà, la quale ispira pure criteri retributivi. Infatti il salario che il padrone della vigna corrisponde non fa differenza tra chi ha preso il caldo della giornata e chi ha lavorato una sola ora, perché quest’ultimi , io credo, non siano umiliati. Dio riconosce la condizione d’invalidi in cui si trovano costretti gli ultimi operai, ma non calcola, non tiene conto che loro hanno lavorato di meno e forse peggio; Dio rompe gli schemi umani esercitando non il calcolo, ma la misericordia. Al fare solito umano ciò è di scandalo: anche oggi i proprietari direbbero: ”Agendo così, come si tira avanti un’azienda, una fabbrica?”, mentre gli operai abili rivendicherebbero, come nella parabola, un diverso trattamento salariale perché diverso è il carico e la qualità del loro lavoro, senza pensare che la loro condizione di sani è una condizione, in fondo, di privilegio e di potere contrattuale. Il fare di Dio insomma accumunerebbe datori di lavoro e forza lavoro, perché entrambi convinti che Dio sbaglia, che non è con la misericordia che si governa il mondo del lavoro.

Sì, è la parabola della giustizia di Dio per questo se presa nella sua essenza, se interpretata la sua trama è e sarà di scandalo a molti, proprietari od operai che siano.


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