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“... mi è toccato fare i conti con i ricordi, la mia città natale è ancora bellissima, ma ora come allora non sa mentire o non vuole, non a me. Negli anni 70 e nei primi anni 80 era politicamente e socialmente una "polveriera"... ma era anche un fermento continuo, un crocevia di azzardi intellettuali creativi, ci si prendevano delle responsabilità, si andava fieri ed a testa alta, niente di quel cuore era in vendita, nulla di tanto era corruttibile... mi è toccato fare i conti con i ricordi, con una gioventù persa ed irrecuperabile... è stata una veglia al capezzale della nostalgia.”Un mio amico (non solo virtuale), reggino di nascita e residente da anni in un’altra città calabrese, ha postato su Facebook questo stato, che ritengo possa essere preso a emblema del pensiero amaro che scaturisce dalla mente di chi, alla mia età, riflette sui comportamenti che caratterizzano i giovani di oggi, e non solo a Reggio. Solo una cosa mi permetto di puntualizzare, perché credo che non farlo possa dare adito a fraintendimenti: persa ed irrecuperabile non è “tutta” la gioventù, per fortuna, e la mia nostalgia non è in agonia, è viva e si fa sentire tutti i giorni, sempre di più. Non è solo l’età che avanza, seppur tale condizione sia importante; lo sconforto derivante dalla consapevolezza che quei tempi non torneranno mai più scardina il mio spesso criticato pragmatismo. Eravamo creativi, è vero; intraprendenti, altrettanto vero. Commettevamo stupidaggini incommensurabili, verissimo. Sbaglia solo chi fa, chi non fa non può sbagliare. Avevamo le idee chiare tutti i giorni, anche se a volte non erano quelle del giorno prima. E non era facile esternarle, non c’erano internet ed i social network. Per scambiare le idee dovevamo incontrarci, parlare, confrontarci. Eravamo fieri delle nostre idee, e quando le idee di qualcun altro non ci garbavano, non lo potevamo “bannare”, gli toglievamo il saluto (quello fisico, non il “poke”) a volte dopo una scazzottata pagando lo scotto di penalizzare la comitiva con la tensione che si creava. Ci prestavamo i libri tra di noi, oppure ce li concedeva la scuola in comodato gratuito a tempo. A scuola, fare una ricerca su un argomento voleva dire consultare altri testi, diversi da quelli in uso. Voleva dire impegnarsi, assemblare dati, filtrare notizie; voleva dire leggere! Eravamo artigiani, lavoravamo il pezzo a mano, senza macchinari e per questo quando il pezzo era finito era imperfetto, ma bellissimo e unico qualunque cosa fosse, seria o frivola. Quando compii 15 anni un mio zio mi regalò un abbonamento annuale ad uno dei settimanali d’informazione più importanti del momento, e l’anno dopo ripeté il regalo; ne fui felice. Non oso pensare a come sarebbe accolto adesso un regalo del genere. Spesso parlando con i giovani di oggi ripeto che sono fortunati, che io alla loro età non avevo i mezzi tecnologici di adesso. Avevo solo tanta voglia di sapere, un’immensa curiosità. In realtà chi è che, sapendo di potere ottenere all’occorrenza qualsiasi dato o informazione con una pressione su un tasto, si sentirebbe stimolato ad apprendere d’iniziativa? Ma quando mi capita di avere a che fare con un giovanotto che mentre mi ascolta (o finge di farlo) smanetta sul telefonino, penso che forse i fortunati eravamo noi, ma non lo sapevamo. Forse…. Tutto sommato, però qualcosa di quei tempi mi è rimasta: ho sempre le idee chiare, anche se a volte non sono quelle del giorno prima.
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