Incredibile, gli è scappata anche a Bujumbura. Faccio un salto nella sala dei computer lasciando mia moglie al bar e al mio ritorno scopro che le si è appiccicato un italiano. Cominciamo a parlare e dopo un po’ il tizio dice: “La NASA ha pubblicato delle nuove foto per dimostrare che lo sbarco sulla Luna non è stato un falso, ma molti miei connazionali continuano a credere alla teoria del complotto. Mi vergogno di essere italiano.”
Sembra la frase preferita degli italiani. Basta niente che gli scappa. Pare che aspettino soltanto l’occasione per dirla. Devono avere un terribile complesso d’inferiorità e questo mi dà i brividi. Perché, se gli italiani si sentono inferiori, che cosa dovremmo dire noi rwandesi? Noi non abbiamo civilizzato il mondo due volte, prima con Roma e poi con Firenze. Non abbiamo imposto la nostra cultura e la nostra lingua. Non possiamo andare a New York, a Copenaghen, a Monaco di Baviera, a Londra, a Parigi, a Vienna, a Praga, a Sydney e vedere tre quarti della città costruito nello stile del nostro paese. Al mondo non c’è una città decente che non abbia una copia della cupola di San Pietro, dell’Arco di Costantino, del Pantheon, di Palazzo Pitti, di Palazzo Strozzi, della Loggia dei Pazzi, del Campidoglio, della Capraia, di palazzo Farnese, della Loggia dei Lanzi, del Ponte dei Sospiri, del campanile di San Marco. Perfino il presidente degli Stati Uniti abita in una villa palladiana. Potete andare dappertutto e sentirvi a casa vostra. Mentre noi al massimo potremmo esportare le nyakasi, le case di paglia che costituiscono la nostra architettura tradizionale. Potremmo esportare anche la civiltà della vacca e magari Umuganda, l’ultimo sabato del mese consacrato al volontariato sociale. Forse non valgono il Rinascimento, ma siamo ugualmente fieri di essere rwandesi. Certamente più di quanto gli italiani siano fieri di essere italiani.
Dragor