La carta e il territorio: un’autobiografia della stanchezza
di Alessandro Cartoni
Tenuto conto del sistema socio-economico in vigore, tenuto conto soprattutto dei nostri presupposti filosofici è evidente che l’essere umano si precipita verso una catastrofe a breve scadenza, e in condizioni atroci, ci siamo già. La conseguenza logica dell’individualismo è l’omicidio e l’infelicità
Così Houellebecq sintetizzava il suo punto di vista teorico in un’antica intervista ad Art Press nel 1995. Oggi, a quindici anni di distanza con la vittoria del Goncourt per il suo ultimo romanzo La carta e il territorio (2010, trad. it. Bompiani), l’autore de Le particelle elementari, è sicuramente il più importante scrittore francese contemporaneo. E si può anche aggiungere che la sua ricerca teorico-letteraria non ha mai smesso di incarnare quel lontano presupposto fino a trasformarsi in ossessione pura attraverso uno stile che si fa cosa, scabro, allucinato, sarcastico, ma sempre padrone di se stesso.
Nei suoi libri da Estensione del dominio della lotta, a Piattaforma, fino a La possibilità di un’isola, pur cambiando le ambientazioni, i personaggi e il quadro storico delle vicende, è rimasta costante l’analisi degli effetti spirituali, sociali, individuali ed economici del tardo capitalismo.
Che si tratti della figura di un tecnico informatico, di un programmatore, oppure di un artista, questo Jed Martin, protagonista del nuovo romanzo, il personaggio archetipo di Houellebecq è un individuo solo, che vive agiatamente ma che si guarda esistere e per il quale in fondo la vita stessa non contiene nessuna attrattiva.
Il plot esilissimo della vicenda de La carta e il territorio ci fa entrare dalla finestra nei meandri del mondo dell’arte contemporanea ma allo stesso tempo ci pone di fronte allo specchio autobiografico dello scrittore Houellebecq. Non a caso è Jed Martin che dopo aver prodotto una serie di opere fotografiche sulle cartine Michelin chiede a Houellebecq uno scritto teorico di presentazione.
Dopo il successo e il ritorno alla pittura, Jed progetta l’idea di una serie di ritratti sui mestieri e così intercetta nuovamente la figura di Houellebecq come “scrittore” da rappresentare in un quadro ad olio. Negli incontri tra i due artisti forse c’è la parte migliore del libro che si trasforma lentamente in una sorta di confessione allo specchio per entrambi.
“un quadro…” disse pensosamente Houellebecq. “A ogni modo ho delle pareti per appenderlo . E’ la sola cosa che abbia veramente, nella mia vita pareti”
Lo scrittore rappresenta se stesso come una “vecchia tartaruga”, come un uomo malato e ossessionato dalla solitudine, come un individuo che si è volutamente sottratto da ogni attività utile e la cui passione sono il vino, soprattutto il vino cileno e i salumi. Eppure quest’uomo in piena deriva, forse proprio a causa della deriva di cui è parte, si rivela ancora capace di uno sguardo lucido e cristallino sul mondo.
“Anche noi siamo dei prodotti…” proseguì, “dei prodotti culturali. Anche noi verremo colpiti da obsolescenza. Il funzionamento del dispositivo è identico – a parte che non c’è di solito alcun miglioramento tecnico o funzionale evidente; rimane solo l’esigenza di novità allo stato puro”
“Ma non è nulla, non è nulla” proseguì con leggerezza.
Come si vede rispetto ai personaggi sofferenti dei romanzi precedenti qui c’è una nuova personalità che si fa strada: un uomo stanco e disilluso che non tenta e non desidera, che si sottrae costantemente e “vuole essere lasciato in pace” e che traduce la sua visione del mondo in una specie di “grande bianco” come il “nulla ricco di immense possibilità del pensiero buddista“.
Dopo la magistrale mise en abime della feroce uccisione dello scrittore, la narrazione torna a occuparsi di Jed Martin e dell’ultima parte della sua vita. Come Houellebecq, Martin si ritira in sordina senza smettere di lavorare ma con sempre meno desiderio di partecipare all’esistenza.
La ricchezza lo aveva investito all’improvviso come una pioggia di scintille, liberato da ogni giogo finanziario, si rese conto che avrebbe lasciato adesso quel mondo di cui non aveva mai fatto veramente parte; i suoi rapporti già poco numerosi si sarebbero esauriti uno alla volta, sarebbe stato nella vita come lo era adesso nell’abitacolo dalle rifiniture perfette della sua Audi Allroad A6: tranquillo e senza gioia definitivamente neutro
In un crescendo fatto di distacco e indifferenza assistiamo al progressivo spegnimento dell’esistenza di Jed Martin. Dopo aver saputo del suicidio assistito del padre, l’artista si trasferisce nella vecchia casa dei nonni nella Creuse. L’ultima opera che ci lascia è però simbolo di un originale punto di vista sul mondo e sulla storia del genere umano. Si tratta in effetti dell’esemplificazione “del carattere perituro e transitorio” della storia. Pupazzetti stile Playmobil sono dispersi in una città del domani dai caratteri astratti e futuristici. Tuttavia non si tratta qui del trionfo dei manufatti artificiali né della vittoria del mondo nuovo su quello antico, ma al contrario del progressivo annientamento generalizzato della specie umana.
Poi tutto si placa, non ci sono altro che erbe agitate dal vento. Il trionfo della vegetazione è totale.
In un’intervista a Valère Staraselski del 1996 Houellebecq aveva confessato:
Questi problemi possono sembrare esageratamente intellettuali; credo tuttavia che abbiano a poco a poco, enormi conseguenze concrete. Se non succede nulla in questo campo, la civiltà occidentale, a mio avviso, non ha nessuna possibilità di sopravvivere.