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Molti anni fa alla stazione di Milano...

Creato il 24 gennaio 2012 da Dragor

Gare milan   In un giorno imprecisato del secolo scorso, joven y lleno de ilusiones come si dice in Spagna, il giovane Dragor sbarcava nella stazione di Milano e si chiedeva se non fosse capitato in una scenografia di Nabucco.  Dopo avere ammirato l’orgia di cavalli alati, leoni e mascheroni che nemmeno nel palazzo di Hammurabi,  si guardava intorno cercando la cosa più prosaica del mondo: un banale carrello per trasportare i bagagli. Dopo una lunga ricerca tirandosi dietro la mezza tonnellata di effetti personali che gli servivano per il soggiorno nella capitale lombarda, doveva arrendersi alla sconcertante realtà: non ce n’erano. Ma fedele alla sua natura, il giovane Dragor rifiutava di arrendersi senza combattere.  Così, con i bagagli e tutto, andava all’ufficio delle informazioni e faceva quarantacinque minuti di coda  per rivolgere all’annoiata impiegata la fatale domanda: “Perché non ci sono i carrelli?” “Eh?” biascicava l’impiegata. “Ma sì, dappertutto ci sono i carrelli. Perché qui non ce ne sono?” “Perché… perché…” farfugliava l’impiegata. E il giovane Dragor si sarebbe dovuto accontentare di quella non-spiegazione se il tizio che gli stava dietro non lo avesse soccorso. “Glielo dico io perché non ci sono i carrelli. Perché la cooperativa dei facchini non li vuole.” “Come sarebbe a dire ‘non li vuole’?” “Sarebbe a dire che vuole difendere il posto di lavoro dei facchini e impedisce che si mettano dei carrelli a disposizione dei viaggiatori.” “Così, se ho capito bene, per un interesse particolare si calpesta l’interesse generale?”, chiedeva il giovane Dragor che già allora manifestava una rara capacità di sintesi. “Proprio così” confermava il tizio con aria soddisfatta. Il giovane Dragor non resisteva alla tentazione di commentare con l’umorismo sarcastico che in seguito sarebbe diventato il suo marchio di fabbrica:  “Ma sì, per difendere gli interessi dei cavalli proibiamo l’automobile.”

   Poi il giovane Dragor andava al deposito di bagagli per lasciare la mezza tonnellata in attesa di una schiarita sul fronte dei trasporti. E qui aveva un’altra sorpresa:  una coda lunga alcune decine di metri che si perdeva in un’oscura caverna nella quale s’intravedevano contorte impalcature di legno traboccanti di masserizie.  “Ma porca puttana” sbottava (va detto che il giovane Dragor usava espressioni che oggi si vergogna perfino di pensare), “perché non c’è un deposito automatico come in ogni paese civile?” Ancora una volta, attirato dal suo linguaggio pittoresco e dalla legittimità della domanda, lo soccorreva un compagno di coda. “Perché la cooperativa dei custodi di bagagli non lo vuole.” “E perché non lo vuole?’ “Per difendere il posto di lavoro dei custodi di bagagli.”

   Dopo 2 ore, munito soltanto di una borsa con il nécessaire per la notte, il giovane  Dragor scendeva in quella parte del mausoleo assiro-babilonese che si chiamava “galleria delle carrozze”, con tutte le intenzioni di prendere un taxi. Sarebbe stato un gioco da bambini se fra lui e i taxi non ci fossero stati 300 metri di coda e se i taxi fossero arrivati con una frequenza inferiore ai 15 minuti. “Ma porca…” sbottava di nuovo,  “perché non ci sono taxi?” Ancora una volta lo soccorreva un suo vicino di coda. “Perché sono pochi.” “E perché sono pochi?” “Perché la cooperativa dei tassisti non vuole la concorrenza.”

  Fu allora che nella fertile mente dragoriana sbocciò la Teoria delle Mafie. L’Italia non è controllata soltanto della mafia siciliana e da quella vaticana, ma da tante piccole mafie. Ognuna di loro fa il proprio interesse contro quello generale. Si chiamano cooperative, sindacati, albi professionali, associazioni di categoria, partiti, per non dire gilde, confraternite,  logge, cosche, corporazioni, cartelli e trust. La loro bestie nere si chiamano Concorrenza e Selezione. Tengono l’Italia in ostaggio, imponendo prezzi alti e servizi scadenti. E i cittadini devono pagare il pizzo. 

  Dragor


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