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Monte Argentario: la Quiete della Macchia Mediterranea e del Mare d’Inverno

Da Pixel3v

Monte Argentario: la Quiete della Macchia Mediterranea e del Mare d’Inverno

Dovessi descrivere con tre aggettivi questo fine settimana che io e Luca abbiammo trascorso presso il Monte Argentario, sarebbero sicuramente “selvaggio”,  “profumato” e “rilassante”. Selvaggio come le strade che abbiamo attraversato, selvaggio come la macchia mediterranea in cui ci siamo addentrati, selvaggio come il nostro itinerario, all’arrembaggio: ogni percorso che avevamo deciso di intraprendere finiva per forza per subire delle modifiche, che dipendessero o meno da noi.

Monte Argentario: la Quiete della Macchia Mediterranea e del Mare d’Inverno

Profumato come il mare quello vero, quello che sa di pesce fresco e di porto, profumato come il sottobosco umido d’autunno, profumato come i cibi genuini e cucinati (quasi sempre) con amore che abbiamo gustato.

Monte Argentario: la Quiete della Macchia Mediterranea e del Mare d’Inverno

Il fine settimana che io e Luca abbiamo appena trascorso nelle zone del Monte Argentario è stato però anche rilassante… Per quanto possa essere definito rilassante un itinerario pressante di cose da vedere e da provare, da assaggiare e da fotografare, considerando che le giornate, ahimè, alle 17,00 sono pressoché concluse. Eppure era per un certo verso distensivo trovarsi a passeggiare per borghi silenziosi, vuoti, direi “svuotati” dal caos estivo (il che ha anche i suoi contro, sia ben chiaro, tipo la miriade di posti chiusi per ferie

:(
), attraversare la palude (ehm, zanzare apparte) solo noi con le nostre macchine fotografiche e qualche gatto a seguito, esplorare rovine d’epoca romana avendo l’impressione di essere silenziosamente osservati soltanto da un sottobosco quanto mai vivo (e, probabilmente, anche da qualche cinghiale)… Ma andiamo con ordine.

Monte Argentario: la Quiete della Macchia Mediterranea e del Mare d’Inverno

Il nostro week end in quel del Monte è iniziato venerdì scorso, appena usciti da lavoro: un paio d’ore di macchina da Lucca e già eravamo ad Orbetello, dove pernottavamo. Il B&B Toni e Judi  ci attende proprio nella via centrale della città: lasciata l’auto sul lungomare basta addentrarsi nella ztl e, pochi passi dopo, al numero 112, uno stretto portone si apre davanti a noi invitandoci a salire due piani di ripide scale (al primo piano c’era un’estetista, se qualcuno fosse interessato…). La stanza che ci accoglie è un accumulo di cimeli e chincaglierie varie più o meno colorate e colorite; una foto del Che si erge maestosa su un muro (la signora è cubana); gli infissi sono tutti sui toni dell’azzurro. La nostra stanzetta, piccola ma pulita e calda, è invece dominata dai colori caldi, sui toni del rosso, arancione e giallo. Lasciate le nostre cose, il tempo di una rinfrescata e già partiamo alla ricerca di un posto dove cenare. La scelta ricade subito su I Pescatori, un ristorante organizzato a mo’ di sagra (si sceglie dal menu, pochi piatti, si paga alla cassa e ci si siede ad un tavolo) dalla cooperativa dei pescatori della laguna; oltre a gustare ottimi piatti a base di pesce di laguna, il cosiddetto “pesce povero” (pici alla bottarga, maltagliati al ragù di palamita, alici in mille modi, anguilla sfumata e marinata), possiamo acquistare anche dell’ottima bottarga (che, peraltro, è presidio Slow Food) e dei gustosi sughetti a base di palamita, spigola, orata o sugarello. Rifocillati da cotanta bontà ma stanchi dalla giornata lavorativa che ci lasciamo alle spalle, facciamo due passi sul lungomare e ce ne andiamo a lettino.

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Sabato mattina ci alziamo di buona lena, una colazione veloce (e miserina: giusto un cornetto con marmellata, caffè e/o latte, fette biscottate e un bicchierino di succo) ed uno sguardo rapido alla laguna illuminata dal sole, quindi partiamo alla volta della costa: procediamo verso nord-ovest, Porto Santo Stefano, ma non ci fermiamo e proseguiamo in auto scendendo a sud percorrendo la strada che costeggia tutto il lungomare roccioso. Ogni tanto una fermata è d’obbligo: il mare è incantevole, il panorama mozzafiato! Quel che non avevamo tenuto in conto, quasi raggiunto Porto Ercole, era il fatto che avremmo dovuto percorrere ben 4 km di strada completamente non asfaltata, sconnessa e piena di profonde buche (vi lascio immaginare com’era felice Luca di passare da lì con la sua Ypsilon…). Finito l’incubo, ritrovata la strada asfaltata, raggiungiamo Porto Ercole dove, dopo una breve passeggiata ed una visita alla Fortezza (solo esternamente perché era chiusa), ci fermiamo per il pranzo. Mi ero segnata un paio di posti davvero validi ma, si sa, le aspettative sono fatte per essere disattese: molti ristoranti erano in ferie, tra cui, per l’appunto, quelli che mi erano stati segnalati. Sconsolati ed affamati, dopo un’oretta di disperato vagare, entriamo al ristorante La Sirena: vista “quasi sul porto”, si mangia in veranda che fa caldino. I crostini al ragù di polpo non sono male, i miei spaghetti alla spigola pure (anche se secondo me c’era un che di panna che poteva benissimo essere evitato); gli spaghetti allo scoglio di Luca sono completamente slegati dal sugo che pare essere congelato; i calamari alla griglia sono accettabili. Insomma, niente di che, ma la spesa è stata comunque onesta.

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Prima che faccia buio risaliamo su fino alla Riserva Statale Duna Feniglia, la “lingua di terra” più a Sud tra le tre che collegano il Monte Argentario alla nostra penisola. Ci piacerebbe percorrerla tutta (sono 6 km) ma il noleggio di bici non si effettua, evidentemente, in questo periodo dell’anno (nonostante il clima mite), le zanzare mi stanno letteralmente uccidendo (non vi dico quante appinzature mi sono contata dal ginocchio in giù… E avevo pure i leggins!) e sta per fare buio… Facciamo due passi nella macchia spingendoci fino alla baia, quindi torniamo indietro e ripartiamo poco più a Sud, verso Ansedonia, a goderci il tramonto sulla scogliera della Tagliata Etrusca (un tempo area portuale romana – gli etruschi non c’entrano nulla! – della città di Cosa, della quale Ansedonia conserva ancora i resti) dove è visibile lo Spacco della Regina, una fenditura naturale della roccia. Ma il sole ormai si è spento: è l’ora della doccia e del riposino.

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La sera usciamo a cena in prossimità del Tombolo della Giannella, la lingua di terra più a Nord delle tre che collegano il promontorio dell’Argentario alla terraferma. Il locale dove avevamo pensato di cenare è al completo, ma Tripadvisor ci dà una grande mano suggerendoci dove gustare quello che si rivelerà essere il miglior pasto della vacanza: l’Oste Dispensa, lungo la provinciale della Giannella. Il fatto che il ristorante si trovi presso un albergo (l’Hotel Ambra) non deve farvi storcere il naso: in realtà questo posto è un preludio di pasta fatta in casa e pesce fresco, dove il profumo dei pesci di laguna appena pescati si sposa alla perfezione con la fantasia dello chef Stefano Sorci e con la genuinità dei piatti da lui stesso preparati ad arte. Ci lasciamo coccolare da uno dei tanti menu degustazione (consigliati, per poter assaggiare più portate possibili): nell’antipasto assaggi di baccalà con ceci, alici marinate con cipollotti, polentina con ragù di gattaccio, spuma di razza con cuore di sedano, pesce bandiera in carpione, alicette e calcinelli dorati: il cosiddetto “pesce povero” la fa da padrone ed è preparato splendidamente. A seguire spaghetti alla carbonara di mare con cozze e bottarga (divini), pici fatti in casa con vongole e gamberoni (delicatissimi), spigola e celeta alla griglia con verdurine (patate e carote) al forno. Per concludere, torta al cioccolato fondente e noci, torta con pere, pinoli e cannella e un bel sacchettino di biscottini fatti in casa dagli svariati gusti: una cena davvero favolosa, personale cordiale e discreto, locale silenzioso ed accogliente, chef davvero valido! Soddisfatti come e forse più della sera precedente torniamo in quel di Orbetello: se la sera precedente pareva che la città fosse morta, ci accorgiamo ben presto che di sabato sera le vie del centro pullulano di giovani… Ma chissà, noi forse non siamo più così giovani: scansiamo la folla e ce ne saliamo in camerina.

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La domenica mattina ci sveglia nebbiosa e bigia, ma per fortuna non piove. Facciamo colazione, quindi ci apprestiamo a raccogliere tutte le nostre cose, paghiamo e salutiamo i nostri “amici” del B&B. Percorriamo verso l’interno il ponte di Orbetello, quindi scendiamo a Sud di nuovo verso Ansedonia per visitare le rovine della città di Cosa, un tempo scalo marittimo degli antichi romani: soli nel verde degli ulivi, il profumo del sottobosco è inebriante, la vista dall’alto delle rovine scioccante, la presenza dei cinghiali (lo si intuisce dai cumuli di terra ampiamente smossa) inquietante! Torniamo verso il promontorio ed iniziamo a salire verso l’interno: le nuvole si fanno più fitte e la visibilità diminuisce. Riusciamo ancora a vedere il Convento dei Padri Passionisti, a metà della salita, ma una volta arrivati sulla cima del Monte Argentario a malapena si distinguono le imponenti antenne della RAI.

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Torniamo verso altezze più umane e ci dirigiamo verso Porto Santo Stefano, da dove partono i traghetti per il Giglio. Un paio di soste sulla spiaggia di Santa Liberata e presso quella dei Bagni di Domiziano (il mare è una tavola, e l’acqua è pure bella calda…), quindi cerchiamo un posto dove rifocillarci, rifacendoci per tempo onde evitare di ripetere l’esperienza del giorno precedente. Siamo in località Pozzarello, poco prima di Porto Santo Stefano: magari qui troviamo qualcosa di meno turistico, pensiamo. La Trattoria La Formica attrae la nostra attenzione: stabilimento balneare anni ’70, gente del posto, atmosfera familiare, locale alla buona; lo proviamo. Ben presto ci rendiamo conto che la pulizia non è di casa, qui, ma cerchiamo di non farcene un cruccio: speriamo solo di mangiare bene! E invece… Antipasto di mare risicato, polipetti duri come sassi, sicuramente preconfezionato. Aspettiamo un’ora per avere un piatto di pasta allo scoglio e quando arriva… La pasta è cruda dentro e bruciacchiata fuori, un paio di gamberoni neri sovrastano la matassa di spaghetti, che affoga in un sugo nero esattamente come i crostacei. Un vero schifo. Paghiamo il conto (ahimè) senza aver mangiato niente, augurando la peggiore fine al locale e chiedendoci come sia  possibile che esista al mondo qualcuno che si permette di servire un tale scempio, e ce ne andiamo alla volta di Porto Santo Stefano, alla ricerca di una pizza a taglio e di una sana birretta. E intanto, già cala il sole… Una breve visitina all’Acquario della laguna, e si riparte.

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Lungo la strada di ritorno verso casa ci allunghiamo per una deviazione a Roccastrada, piccolo borgo medievale a metà strada tra Grosseto e Siena; facciamo due passi, sorseggiamo un vino come aperitivo, quindi ci gustiamo una cena di tutto rispetto Dal Conte al Picio Matto, rifacendoci del pranzo: l’antipasto prevede salame, prosciutto toscano, un ottimo pecorino senese, crostino col cavolo nero, pappa al pomodoro, puntarelle con acciughe, involtino di zucchina grigliata ripiena di gorgonzola; di primo scegliamo i pici del conte (con radicchio, speck e pecorino romano) e quelli con salsiccia, pomodoro e pecorino (ma di pici, essendo la specialità, ce ne sono mille varianti, tutte buonissime); terminiamo con una crostata fatta in casa. L’atmosfera è rilassante e piacevole (eravamo davanti al caminetto), lo chef simpatico e competente, i prezzi davvero bassissimi per la qualità dei cibi. Parliamo un po’ di Lucca con la gentile signora che ci ha serviti, poi però è il momento di tornarci davvero, a Lucca… Stanchi ma felici, riprendiamo la strada di casa: inconvenienti a parte, ci siamo goduti questa breve fuga romantica al massimo, tra i profumi, i sapori e gli odori di un pezzo di Toscana che ancora non conoscevamo e che valeva davvero la pena scoprire. Potessimo, ci torneremmo anche domani.

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