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Mr. Sandman

Creato il 06 gennaio 2011 da Elgraeco @HellGraeco
Mr. Sandman

6 Gennaio 2013

I pettegolezzi aumentano man mano che la società recede.
Erica mi ha confidato di aver sentito dire che nelle iniezioni che il Centro Medico distribuisce ai residenti della SZ013 non c’è un antivirale, ma qualcos’altro.
Cosa sia, nessuno lo sa dire con certezza. Ma intanto la voce si diffonde. E con essa il sospetto e il germe della violenza.
Un antivirale comunque è inutile contro il prione. Sembra, però, che mantenersi in perfetta salute sia un buon sistema per abbassare le probabilità di contagio. Sembra…
Zooey è sotto flebo. La febbre altissima. Torna cosciente, ma non lucida, solo per qualche momento, poi ricade in un sonno che sa di morte. Sono agitatissimo.
Erica lo sa, e sa anche che è superfluo dirmi di non darlo a vedere. Gli Alloggi di Quarantena al Centro Medico sono lì per coloro che danno segni di squilibrio: sospetta infezione.
Anche se dubito abbiano ancora tanto spazio libero. Tra pazzi, ipocondriaci ed esaltati, c’è sovraffollamento. Le strutture progettate per far fronte all’emergenza non hanno tenuto conto dell’emotività umana. E quelli che si immolano non mancano mai.
Due di notte. Ho guidato fino al Centro di Westbourne Park Road, a Notting Hill. Accanto a me Erica, la cui presenza comincia a darmi conforto, almeno un po’. Richard sul sedile di dietro.
I cittadini americani hanno ancora un pochino d’influenza, specie se possessori della tessera nera. È stato lui a dire che a Notting avremmo trovato più disponibilità.
Durante il tragitto, tutti siamo stati attratti da una vetrina illuminata a giorno, che spiccava rispetto alle altre buie e con le serrande abbassate. Una galleria d’arte. Albert Einstein, giallo, che fa la linguaccia. Opera di un artista italo-americano. Anche Zooey è interessata ad acquistare una sua elaborazione. Dicono che faccia rilassare. Non è serenità, però, quella che vedo sul volto di Erica e su quello di Richard, dallo specchietto retrovisore.

Rallento e accosto. Ai lati auto parcheggiate, sul marciapiede alla mia destra decine di persone in fila, rasente al muro, mascherina sulla bocca e infreddolite. Alcuni si scaldano bevendo dai thermos. Riesco a vedere i riccioli di vapore uscire dai contenitori appena aperti.
Oltre l’illuminazione stradale, la Croce Azzurra del Centro è accesa. Risplende.
Davanti all’ingresso due militari in mimetica e armi spianate. Sulla piazzetta alberata al di là della strada, ambulanze e tende di supporto, alimentate da generatori rumorosi, anche quelle affollate.
Più in là, davanti a noi, un furgone blindato dell’esercito. Lì vicino altri militari intenti a chiacchierare. Anche loro con la mascherina.
Alla nostra sinistra accosta una seconda auto. Due uomini e una donna scendono in fretta trascinandosi dietro una ragazza. L’afferrano da entrambe le braccia. Questa scalcia e si dimena. E urla. Urla come non ho mai sentito. In pigiama, coi piedi nudi, nonostante il freddo. All’angolo della bocca, saliva schiumosa e muco. Noto anche che uno dei due uomini che la trattiene ha una fasciatura sulla mano, macchiata di rosso.
Restiamo in auto. La gente lì intorno si irrigidisce e inizia ad allontanarsi.
Quasi subito, il tempo che il terzetto impiega ad attraversare la carreggiata verso il Centro, tre militari sono loro intorno, armi imbracciate e puntate.
La ragazza urla, si piega e inarca con violenza la schiena per liberarsi. Dopo qualche secondo di incertezza, aiutati da uno dei militari che la prende per le caviglie, riescono a portarla dentro tra la gente che si fa da parte per farli passare, pur non rinunciando a curiosare.
In disparte, noto una donna in piedi con un fagotto tra le braccia. Guardo meglio. È un neonato. Dorme sereno.
Richard mi tocca la spalla, ha deciso di entrare lo stesso. Io e Erica ci guardiamo, ma entrambi restiamo immobili e in silenzio.

Antibiotici in soluzione contro la polmonite. È l’unica diagnosi che abbiamo: polmonite. L’unica verso la quale si può tentare una cura, tra l’altro. Le ho attaccato la flebo. Almeno cinque ore prima di vedere qualche segno di miglioramento.
Ho ringraziato Richard. E anche Jane, che le è rimasta accanto mentre ero fuori a dimostrarmi un vigliacco.
Quando ho riaccompagnato Erica al cancello della sua villetta, ha insistito perché aspettassi qualche istante. È tornata con la doppietta vinta al biliardo, insieme a una scatola di cartucce. “I’ve got a gun.” mi ha detto. Poi è rientrata.
Le tocco la fronte. Ancora calda. Ha gli occhi chiusi. E il respiro è veloce, ma regolare.
Prima ho dato uno sguardo fuori della finestra, scostando appena le tende.
Non sono l’unico a essere sveglio, stanotte, a giudicare dalle luci accese.
Prendo la sedia e mi sistemo accanto al letto, al suo fianco.
Fucile in spalla. È carico.
Aspetto.

***

Mr. Sandman

6 Gennaio 2014

Tentano di imbarcarsi per l’Irlanda. Anche in pieno giorno. I marinai respingono quelli rimasti attaccati al bordo dello scafo, mentre cercano di issarsi facendo leva sulla disperazione, e scalciando nell’acqua; li battono coi remi, sulle dita. Gliele spezzano. I più caparbi vengono colpiti in testa e finiscono per galleggiare a faccia in giù, come gommoni afflosciati. Di essi spunta solo la schiena, colorata a seconda del cappotto che indossano. Dall’alto, con il binocolo, ne ho visto uno beige, che contrastava col mare scuro. Gli altri ritornano a riva mentre il traghetto si allontana. Quelli che ce l’hanno fatta guardano verso il molo, cercando gli altri che hanno lasciato indietro. Alcuni non resistono e si tuffano per rientrare.
I sentimenti sono una pessima paga.
Aberteif, o Cardigan. Quattromiladuecento anime, prima della Gialla. A quanto pare, uno degli ultimi porti dai quali si prova a espatriare. Molta improvvisazione. Molto illegale. E il traghetto può sempre essere intercettato dalle motovedette inglesi.
La guardo, perché lei ha iniziato a supplicarmi con gli occhi. Capisce che è il caso di rinunciare. È imbronciata.
Dal molo, i suoni arrivano appena percettibili. La leggenda locale vuole che, da qualche parte nella Baia di Cardigan, vi sia una città sommersa. E che nei giorni di bonaccia, si possa udire lo scampanio della sua Chiesa provenire dal mare…
Un momento di panico sulla banchina. Le urla giungono fino a noi ovattate, ma inconfondibili. Nella ressa alcuni finiscono per cadere in acqua, altri vengono spinti, c’è chi vi si rifugia. In pochi istanti il molo s’è svuotato, facendo largo a un giovane sulla ventina, capelli rossicci, barba incolta. Bocca nera ed epidermide giallastra. Incespica, cade, si rialza e barcolla. Poi sembra si metta a fiutare l’aria. Quando volta la testa di scatto, si porta dietro un filo di bava dell’abbondante salivazione.
Vengono esplosi dei colpi. Le fucilate si riconoscono sempre. Il giallo, colpito alla gamba, si piega, ginocchio a terra. Poi viene raggiunto alla schiena e al collo. Il sangue dalla giugulare schizza per qualche metro.
Lei mi avverte, ma i passi sono rumorosi e me ne accorgo anche io. Tre ragazzi, sulla ventina. Si avvicinano a noi camminando lenti, spavaldi. A caccia di risorse e, già che ci sono, di una donna.
Prendo il fucile dal fuoristrada e lo imbraccio. Non si fermano. La vista di un’arma da fuoco non è più un deterrente. Uno dei tre si produce in un sorriso eloquente. Ci corrono incontro.
Le urlo di salire in macchina. Dopo sparo, ad altezza uomo. La seconda volta, addosso. Si scansano gettandosi a terra, di lato.
Mentre mi fiondo nel Land-Rover, uno, rialzatosi in fretta, riprende a correre, gli altri due ci lanciano dei sassi.
Retromarcia e inversione rapida, col motore che ruggisce. Il ragazzo fa appena in tempo a sfiorare la mia portiera, ma è troppo lento. Il suo sorriso s’è trasformato in un ghigno. Accellero passando loro in mezzo, mentre un sasso colpisce la carrozzeria. Fa molto rumore. Lei sussulta.

Più tardi, ci accampiamo. Fuori città, a una trentina di chilometri dal molo, nelle rovine di una fattoria. Sembra abbandonata da decenni. Ho sistemato il Land-Rover dietro la casa, in modo che non venga visto dalla strada. Ci mettiamo all’interno, creandoci uno spazio tra i rifiuti, gli escrementi di topo, e alcune assi di legno ammucchiate miste a tegole venute giù da parte del tetto. Mentre accendo il fornello da campo, lei ascolta un po’ di musica dal lettore mp3. La lascio riposare. Mi offre una cuffia, la sinistra. Dice di andare matta, per questa canzone.
Alle volte dubito che sia ancora insieme a me, tanto mi sembra svagata. Mi preoccupo.
La bacio, allo stesso tempo stringendola. Lei mi sorride e arriccia gli occhi e il naso. Dopo, un rumore ci fa sobbalzare entrambi. Un topo attirato dal fornelletto. Mi metto a preparare la cena. Una minestrina vegetale e un altro po’ di carne in scatola. Se non ci ha ammazzato fino adesso, ci sono buone possibilità che non sia infetta. Ma a questo punto, stiamo giocando al gioco del Cacciatore. Sono De Niro, e il giallo mi sta schiaffeggiando scrutandomi con la sua faccia di cazzo; cercando un segno di debolezza, per il suo divertimento. La pistola, però, esattamente come Bob, sono io a impugnarla.
Non bisogna lasciarsi prendere dai dubbi. Mai.
Ho deciso di andare verso nord. Partiamo domani.

***

Mr. Sandman

6 Gennaio 2016

Ho dovuto aprire la tenda in fretta e ficcarmici dentro. Fuori nevica e c’è bufera. E io l’ho lasciata sola. Di nuovo. Sono ancora a metà strada. Ormai è calato il buio. Ci vorranno altre otto, dieci ore prima che riesca a tornare. Sempre che il maltempo decida di guastarsi.
Bevo un sorso di whisky dalla fiaschetta di metallo. L’ho preso dalla tasca di uno dei cacciatori. Il corpo steso sul tappeto davanti al camino spento. Parte della sua testa dall’altro lato della stanza, insieme alle formiche che spuntavano da sotto le assi del pavimento a banchettare. Un buon fucile. E munizioni.
Al piano di sopra, ho incontrato la moglie. Legata al letto, le lenzuola imputridite dal sangue. E una strana smorfia sul viso. Di quelle difficili da dimenticare.
Sento dei rumori, fuori della tenda, o forse sono solo le voci del vento…
Lo scanner del mio tablet funziona. La connessione è pessima, ma ci provo lo stesso.
Questa qui sopra è la foto che ho preso a casa del prete. L’ho trovata dentro una camera oscura. Non so cosa sia, ma la metto online in modo che tutti possiate vedere. E farvi la vostra opinione, se pensate che conti ancora qualcosa.
Ditemi cos’è. Se non è una strega, quella che vedete. Ditemi quello che pensate stia accadendo, in questo posto del cazzo. Che diavolo è, quella?
Oppure, statevene zitti, nei vostri piccoli rifugi, a contare i giorni che vi separano dalla pazzia. Ridicoli bastardi.
Fa freddo.
Al villaggio sono morti tutti o fuggiti. Forse, anche la ragazzina che ho incontrato stamattina è morta. Seminuda, febbricitante, inginocchiata in mezzo alla strada, sulla neve. Con le gote arrossate.
Mi ha visto mentre sistemavo la testa del cervo che ho catturato tre giorni fa davanti alla porta di casa del prete. È il mio sacrificio al Signore delle Mosche. Il prete è ancora lì dentro, in putrefazione. È lui il Signore. Carla, invece, non c’è.
Le cose si sono risolte in fretta, a quanto pare.
Se qualcun altro raggiungerà questo posto, deve avere le idee ben precise su ciò che vi troverà.
La ragazzina… Non so se fosse infetta. Forse era semplicemente impazzita.
Mi ha sussurrato di aiutarla, prima di svenire. L’ho lasciata lì.
Ho trovato anche la madre del nostro cucciolo, sbranata insieme ai tre fratelli, in una stalla. Chiunque sia stato, ha fatto arrivare gli schizzi fino alle travi.

Il cimitero del paese è una spianata dietro la casa del cacciatore. Ci sono una trentina di croci, due delle quali inchiodate di fresco. Altre due buche sono state scavate, ora col fondo ricoperto di neve.
Mancano quattro abitanti all’appello. Non sono riuscito a trovarli. Due uomini, una donna e l’altra ragazzina.
Sto pensando a loro, e a quei rumori che ho sentito notti fa, provenire dal bosco.
Mi scopro a pensare sempre più spesso a quello che mi rimarrebbe da fare, nel caso la trovassero e la toccassero.
Nel caso succeda, prego solo di trovare quei bastardi ancora vivi.

Ho trovato, in un garage adiacente a una baita ai limiti dell’abitato, un fuoristrada in ottimo stato. Questo mi fa pensare che quei quattro siano ancora da queste parti. E mi fa rabbrividire.
Ho staccato la batteria e l’ho nascosta. Insieme alla ruota di scorta e a un’altra che ho provveduto a smontare. Adesso ho anche del cibo per cani. Ventiquattro barattoli.
Ho letto che alcuni di voi vogliono venire in Inghilterra. Sento parlare di piani di recupero straordinari.
Non ho idea di come riusciate a procurarvi queste informazioni. Prego per voi che siano solo spazzatura, e che non riusciate a partire.

ora ne sono certo

c’è qualcuno qua fuori
la sento ridere


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