La colonna, rinvenuta agli inizi del XVII durante i lavori di scavo alle fondamenta del campanile (incompiuto) del Duomo, era così descritta da Carlo Celano: «Una colonna di palmi trentaquattro e mezzo, e di diametro palmi quattro di marmo cipollazzo (il marmo “cipollino” è una varietà di marmo utilizzata dai Romani; veniva estratto in numerose cave situate sulla costa sud-occidentale dell’isola di Eubea, in Grecia) che cosa più bella veder non si può, non dico in Napoli ma per l’Italia». Ripulita e risistemata avrebbe dovuto essere utilizzata per erigere l’obelisco di San Gennaro, ma i ripetuti litigi tra l’Arcivescovo Ascanio Filomarino e le rappresentanza nobili della città compromisero questa scelta e allora Cosimo Fanzango la portò a termine come si vede oggi, mentre la colonna fu poi donata dal suo successore, il cardinale Innico Caracciolo al viceré Pietro Antonio d’Aragona il quale a sua volta la donò ai padri Teatini.
Il 7 agosto del 1656 (anniversario della morte del beato Gaetano da Thiene, divenuto poi santo nel 1670) ebbe fine la pestilenza che attanagliava Napoli e grazie all’opera dei padri Teatini, che proprio durante la peste avevano incoraggiato il culto del cofondatore del loro ordine e del promotore della nuova chiesa di San Paolo, e del popolo napoletano si decise, tra le tante manifestazioni di ringraziamento, di erigere una statua al beato Gaetano. Preparata la base la statua fu collocata nel 1663, ma il monumento, forse, non dovette soddisfare i Teatini, i quali immaginavano qualcosa come una guglia simile a quella che i Domenicani, sempre per ringraziamento della fine della pestilenza, stavano per erigere nel largo davanti all’abside della loro chiesa (l’obelisco di San Domenico) nel Decumano inferiore. Si pensò allora di collocare la statua proprio in cima alla colonna donata ai Padri Teatini dal viceré Pietro Antonio d’Aragona.
Il trasporto dal luogo del ritrovamento al Largo di San Lorenzo fu eseguito il 2 dicembre 1670, a un mese circa dalla dichiarazione di santità del beato Gaetano tra la festosa curiosità del popolino e il compiacimento dei Teatini. Sennonché il progetto di un così alto monumento in una così piccola piazza suscitò timore nei proprietari del palazzo più vicino, i fratelli Pisani all’inizio del vico Cinquesanti, e dopo vari anni di discussione l’idea di elevare la guglia fu abbandonata, anche perché a detta degli esperti non era improbabile un pericolo di crollo in caso di terremoto. Così di nuovo si ripiegò sull’idea del piedistallo e il monumento fu finalmente inaugurato nel 1737.
Sulla base del monumento c’è ancora un’epigrafe nella quale è citata la colonna, donata da Pietro Antonio d’Aragona e non più adoperata per l’obelisco. Essa rimase per un altro secolo sepolta presso la porta laterale della chiesa di San Paolo Maggiore, successivamente fu depositata nel Museo Nazionale, finché nel 1914 non si pensò di erigerla, spezzata, all’inizio di via Caracciolo sopra una base precedentemente costruita nel 1867 per un monumento ai caduti nella battaglia di Lissa (III Guerra d’Indipendenza italiana) del 1866 e dedicarla a tutti i caduti del mare.
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