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NBA: quando si volta pagina?

Creato il 03 giugno 2013 da Basketcaffe @basketcaffe

In questi giorni, muovendo dal sito celtics.com, è cominciata una campagna mediatica per trattenere sul campo Garnett un altro anno. E un po’ tutti credo ci si è chiesti se dobbiamo veramente assistere all’ennesimo anno sul campo di un campione ormai logorato dal naturale incedere degli anni. Kevin Garnett era all’apice della carriera 10 anni fa e come lui tanti altri giocatori che sono ancora sul campo con minutaggi da protagonisti. Le quattro annate che vanno dal 1976 al 1979 hanno sicuramente prodotto talenti di altissimo livello, ma purtroppo non se ne riesce più a uscire dal loro impiego massivo.

Torniamo indietro un attimo di dieci anni, appunto. Stagione 2002-03.

C’era una generazione di vecchie glorie ormai al canto del cigno: Michael Jordan, Karl Malone, Clifford Robinson, Reggie Miller, Glen Rice, Tim Hardaway, Vlade Divac, John Stockton, Steve Kerr, Horace Grant, Shawn Kemp, Toni Kukoc, Scottie Pippen. I primi quattro della lista erano gli unici over-35 della Lega impiegati per oltre 30 minuti in campo. Giustamente si puntava forte sui giovani di allora, quella generazione attorno ai 25 anni che era in rampa di lancio e veniva valorizzata al massimo. C’erano 29 giocatori di quelle annate (1976-79) che giocavano almeno 30 minuti e segnavano almeno 15 punti. Praticamente uno di media per ogni squadra: Jason Terry e Shareef Abdur-Rahim (Atlanta), Paul Pierce e Antoine Walker (Boston), Ricky Davis (Cleveland), Rip Hamilton e Chauncey Billups (Detroit), Jermaine O’Neal e Ron Artest (Indiana), Michael Redd (Milwaukee), Baron Davis (New Orleans), Tracy McGrady (Orlando), Vince Carter (Toronto), Dirk Nowitzki (Dallas), Antawn Jamison (Golden State), Steve Francis (Houston), Elton Brand e Corey Maggette (LA Clippers), Kobe Bryant (LA Lakers), Kevin Garnett e Wally Szczerbiak (Minnesota), Stephon Marbury e Shawn Marion (Phoenix), Bonzi Wells (Portland), Peja Stojakovic e Mike Bibby (Sacramento), Tim Duncan (San Antonio), Rashard Lewis (Seattle), Matt Harpring (Utah).

Inoltre c’erano anche molti giocatori nati dal 1980 in giù che facevano già la differenza in campo, come Gilbert Arenas, Pau Gasol, Caron Butler, Tony Parker, Amare Stoudemire e Yao Ming, solo per citare i più noti. Quella generazione (1976-79) attualmente ha tra i 34 e i 37 anni, ma molti di loro non solo sono ancora in attività, ma sono anche le pietre miliari delle rispettive società. Sedici giocatori di quelle annate giocano più di metà partita di media.

I Lakers di quest’anno, costruiti partendo da Kobe (‘78), Metta World Peace (‘79) e Gasol (’80), si sono andati a rinforzare con Nash (’74), e Jamison (‘76). I Mavericks hanno puntato su Elton Brand (’79) e Vince Carter (‘77) in attesa che tornasse dall’infortunio Nowitzki (‘78). I Celtics ruotano ancora attorno a Pierce (’77) e appunto Garnett (’76), e la scorsa estate si sono presi Jason Terry (’77). Gli Spurs sono affezionati a Duncan (’76) e Ginobili (‘77). I rinforzi di Miami degli ultimi due anni sono sempre provenuti da quelle annate: Mike Bibby (’78), Shane Battier (’78), Mike Miller (’80), Rashard Lewis (’79), Chris Andersen (’78), Ray Allen (’75).

Essendo passati dieci anni, stiamo assistendo ad una simile affermazione di talenti tra le annate 1986 e 1989. L’analoga statistica (almeno 30 minuti in campo e 15 punti a referto) al giorno d’oggi vede 21 giocatori nella Lega assommare quelle statistiche: Kevin Durant e Russell Westbrook (Oklahoma City), James Harden e Chandler Parsons (Houston), Stephen Curry (Golden State), Brook Lopez (Brooklyn), Kevin Love e Nikola Pekovic (Minnesota), Rudy Gay e DeMar DeRozan (Toronto), Blake Griffin (LA Clippers), Brandon Jennings (Milwaukee), Al Horford (Atlanta), Eric Gordon e Ryan Anderson (New Orleans), Danilo Gallinari e Ty Lawson (Denver), Gerald Henderson (Charlotte), OJ Mayo (Dallas), Tyreke Evans (Sacramento), Glen Davis (Orlando). Con altri 9 giocatori che mettono assieme gli stessi numeri e sono anche più giovani (nati dal 1990 in poi): Kyrie Irving (Cleveland), Damian Lillard (Portland), John Wall (Washington), Jrue Holiday (Philadelphia), Kemba Walker (Charlotte), Paul George (Indiana), DeMarcus Cousins (Sacramento), Klay Thompson (Golden State), Greg Monroe (Detroit).

Insomma il ricambio generazionale di sarebbe anche, ma non c’è assolutamente l’intenzione di pensionare gli over 35. Eppure le dinastie vincenti di San Antonio e Los Angeles Lakers sono durate così a lungo anche perché sono partite con giocatori giovani, per cui è sorprendente che proprio loro non si rendano conto che è necessario svecchiare il roster per continuare a vincere. I giovani o ti crescono “in casa” oppure è difficile che qualcuno allestisca trade per prenderne uno (lo hanno fatto solo Houston per James Harden e Toronto per Rudy Gay). L’affermazione di Oklahoma City dell’anno scorso, di Memphis, Indiana e Golden State quest’anno fanno ben sperare riguardo al futuro. Sia perché sono un’ondata di volti e nomi nuovi che stanno in campo a metà maggio, sia perché danno un chiaro segnale a squadre che hanno fatto di tutto per restare vecchie e sono state risucchiate nell’anonimato come Dallas, Lakers e Boston, tutte e tre incapaci di rinnovarsi dopo le vittorie.

Che sia forse arrivato il momento di investire su qualche giovane in ascesa? Speriamo che i general manager se ne rendano conto. E che se ne rendano conto anche i Kevin Garnett di turno.

Valerio Brutti


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