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Nebbie nere sull'Italia: la violenza razzista non avrà la meglio sul processo di integrazione
Creato il 16 dicembre 2011 da David Incamicia @FuoriOndaBlogSul nostro Paese si stanno addensando nubi cariche di odio. Gli episodi di violenza razzista dei giorni scorsi sono un segnale inquietante che non va sottovalutato, anche se il clima sociale pare negli ultimi tempi essersi assestato su toni più sobri e tranquilli, dopo un ventennio di feroce guerra civile simulata fra le forze politiche che ha avvelenato gli animi e le menti. Ma le scorie di quella fase rimangono, e forse è proprio in questo momento, ora che sono stati rimossi dal governo i maggiori responsabili, sul piano culturale, della crescente paura del diverso, che occorre alzare la guardia.
Le due vittime senegalesi di Firenze sono state uccise innanzitutto da quella paura, la stessa che ha indotto una irresponsabile mocciosetta torinese a raccontar frottole per proteggere se stessa e accendere la miccia dell'intolleranza contro la comunità dei Rom. Che spinge ogni giorno tanti "italioti" a lanciare sguardi diffidenti agli extracomunitari nei tram, in metropolitana, al mercato. A volte, purtroppo, perfino nelle aule scolastiche. Chi si ostina a ricorrere, magari indossando buffe camicie o cravatte verdi, a slogan populistici privi di senso meriterebbe di essere messo al bando e rinchiuso in una cella buia e ammuffita.
Foad Aodi, medico e presidente della Comunità araba in Italia, ha lanciato l'allarme subito dopo i fatti di Firenze evidenziando come da tempo gli stranieri presenti nel nostro Paese si sentano sotto tiro e rivolgendosi direttamente al neo ministro Riccardi affinchè si impegni per riconoscere loro maggiori tutele e garanzie. Torino, in particolare, anche se a differenza di Firenze lì non ci sono stati i morti, rappresenta un caso assai grave ed emblematico del corto circuito, spesso criminale, nel quale è piombata la società italiana. La rappresaglia, costruita sul pregiudizio, ne è l'elemento distintivo. Capace di evocare tristissime pagine della nostra storia della quale non si può certo andar fieri, checché ne dicano illustri parlamentari della destraccia berlusconiana alla Ciarrapico o alla Mussolini.
Le politiche di integrazione attuate nel nostro Paese, anche ai tempi della consociazione catto-comunista, sono state un vero fallimento. Anzi, il razzismo è andato via via emancipandosi anche sul piano istituzionale, soprattutto a causa dell'anomalia politica sorta nel civilissimo Nord che fa della guerra al diverso la propria principale, se non esclusiva, bandiera ideologica. Sventolata non di rado pure da fogliacci, fino a qualche settimana fa proni al regime, mandati alle stampe non per stimolare ragionamenti ma solo per solleticare i peggiori istinti del volgo.
Istinti che possono svilupparsi spontaneamente fra i comuni cittadini, come a Torino, o darsi una vera e propria organizzazione ideologica e a volte paramilitare, al punto da indurre alla follia omicida come invece è accaduto a Firenze. E come spessissimo avviene nella Capitale, con le barbare incursioni dei gruppi neonazisti a danno degli immigrati e degli omosessuali. Fra le squadriglie dell'odio e della violenza si distingue per pericolosità "Militia", che proprio recentemente ha dovuto subire un duro colpo da parte dei nuclei antiterrorismo con arresti e perquisizioni per le ripetute azioni contro la comunità ebraica di Roma e le minacce al Sindaco Alemanno e ai presidenti di Camera e Senato.
Autentici delinquenti abituati a dare fuoco alle attività commerciali gestite da stranieri e a incontrarsi presso la palestra "Primo Carrera" o la discoteca "Kinky Club", dove sfogano la propria passione nera al grido di "Oltre il fascismo nulla!". E invece, cari balordi e vigliacchi che sapete prendervela solo coi più deboli, oltre quel nulla c'è la vostra emarginazione sociale e si spera pure il carcere duro. Anche se il percorso di pulizia e di affrancazione dal marciume ideologico che tristemente incarnate è ancora lungo e abbisogna pure di interventi, accanto alla repressione, di tipo culturale.
Lo sforzo maggiore, in questo senso, deve essere rivolto all'abbattimento del muro dei luoghi comuni, quello secondo cui se un albanese rapina le ville tutti gli albanesi sono rapinatori, se un rumeno violenta una donna tutti i rumeni sono "zingari maiali"... e i negri puzzano, i froci sono malati e i meridionali dei parassiti senza voglia di lavorare. L'intolleranza è fra i mali più subdoli dell'umanità, che si annida proprio dove l'ignoranza si alimenta continuamente di stereotipi e di disinformazione. Nessuno ne è al riparo e se proprio dobbiamo prendercela con qualcuno è il caso di farlo con noi stessi, con una società costruita sulle insidiose fondamenta dell'egoismo e del mito del successo, dove la competizione coincide con la legge del più forte e dove il più debole, di solito quello considerato "diverso", va sconfitto e rimosso con le buone o con le cattive.
L'analisi di Carlo Bonini su Repubblica
Tornando all'episodio di Torino, cosa è davvero più incivile e intollerabile, la presenza dei Rom o il fatto che due italianissimi genitori, nel 2011, considerino la perdita della verginità della propria figlia prima del matrimonio come un marchio infamante? L'arretratezza e non altro, questo è il vero cancro della società italiana! Prendersela con lo straniero, cercare le colpe altrove è sbagliato oltre che troppo facile. I nostri avi, unici e veri patrioti, non hanno combattuto e sconfitto la dittatura oltre mezzo secolo fa, partorendo una fra le più giuste Costituzioni del mondo, per consentire oggi a razzisti, fascisti e leghisti di ogni specie di minare liberamente e impunemente i fragili equilibri della società italiana! Serve quindi una risposta decisa, iniziando da una maggiore chiarezza sul piano delle responsabilità penali.
Se quei barbari delle vallate padane, ad esempio, finiti inopinatamente nel Parlamento nazionale solo per tutelare i discutibili interessi di qualche allevatore in rotta col fisco, proseguissero nella propria scellerata campagna di delegittimazione dell'unità del Paese, con annesse e reiterate minacce di scatenare le baionette contro Roma, sarebbe forse il caso di dichiarare il loro movimento politico fuori legge e di mandare i Carabinieri a prenderli. Altro che "facciamo come la Cecoslovacchia"!
In proposito, la rivista MicroMega ha appena lanciato un appello sul web, che ha già raccolto migliaia di firme e rivolto al Presidente Napolitano, per chiedergli di intervenire su governo e magistratura affinchè i fascisti, i negazionisti e i fascisti in genere vengano puniti con la galera. Va detto che proprio da parte del nuovo esecutivo, guidato da quel "servo dei poteri forti" (beota chi lo pensa) che risponde al nome di Mario Monti, sta arrivando qualche segnale confortante di civiltà in netta discontinuità col precedente governo. Il ministro dell'Interno Cancellieri, infatti, ha firmato una direttiva indirizzata a tutti i Prefetti che finalmente consente ai rappresentanti degli organi di informazione, dopo le grandi polemiche degli scorsi anni, l'accesso ai Centri di accoglienza per testimoniare come vengono trattati gli immigrati.
Il problema del razzismo, è bene ribadirlo, si risolve innanzitutto promuovendo nuove politiche di integrazione a livello istituzionale. Giustificate dal fatto - anche se è vero che la crisi economica sta fermando i flussi migratori verso l’Italia - che gli stranieri già presenti nel nostro Paese sono sempre più radicati sul territorio. Lo dice il rapporto Ismu 2011 sulle migrazioni, che ha certificato che in un anno (dal 1° gennaio 2010 al 1° gennaio 2011) si sono contate solamente 70 mila nuove presenze (con un calo dell'86%) a fronte delle 500 mila dell'anno precedente. In generale, su 5 milioni e mezzo circa di stranieri presenti in Italia al 1° gennaio 2011, oltre 4 milioni risultavano effettivamente residenti (+335 mila) e appena 443 mila erano irregolari (11 mila in meno rispetto al 2010).
Il maggiore radicamento è provato da fenomeni quali l'aumento dei nuclei familiari di origine straniera o misti (cresciuti dal 1991 al 2009 addirittura di tredici volte), l'acquisto di una casa di proprietà da parte del 15% delle famiglie straniere e del 50% di quelle miste, infine dalla cifra degli alunni stranieri che ha ormai raggiunto l'8% dell'intera popolazione scolastica. Altro dato decisivo, quello relativo alla maggiore presenza di lavoratori stranieri a dispetto della crisi economica: tra il 1° trimestre 2010 e il 1° trimestre 2011, questi sono infatti aumentati di quasi 276 mila unità (+14%). La componente straniera rappresenta attualmente il 10% degli occupati totali, contribuento a formare il 12% del prodotto interno lordo.
Nonostante si tratti di numeri positivi per l'economia italiana, che proprio grazie agli immigrati può rimanere competitiva nonostante la difficile congiuntura finanziaria, il rapporto Eurobarometro 2011 evidenzia come l'immigrazione sia invece percepita da ben il 24% degli italiani intervistati come il principale problema da affrontare su scala nazionale (+11% rispetto al dato precedente). Intervengono, pure in questo caso, i luoghi comuni di sempre: "rubano il nostro lavoro", "portano delinquenza", "hanno una cultura incompatibile con la nostra".
In realtà, il nostro Paese continua a restare per gli stranieri la prospettiva migliore per far crescere i propri figli. Se nell'ultimo Rapporto CENSIS gli italiani emergono come sempre più "fragili e isolati", gli immigrati comunicano fiducia nel futuro proprio grazie all'ottima percezione della realtà italiana e alla solida volontà di integrarsi in essa. Oltre il 72% di loro, infatti, pensa che da qui a 10 anni non lascerà l'Italia. Dallo studio del Censis emerge, pertanto, la sempre più convinta posizione dei 4,5 milioni di immigrati censiti (che nel prossimo decennio si stima arriveranno a 7 milioni) in tema di cittadinanza: il 54% considera l'Italia "uno dei Paesi del mondo dove si vive meglio".
Questa immensa fiducia nel futuro si traduce in un forte investimento sulla formazione, per garantire un percorso di crescita e di riscatto sociale ai propri figli: il 98,4% dei genitori immigrati intende infatti farli studiare, e il 75,8% vorrebbe che prendessero addirittura una laurea. Sono cifre quasi doppie rispetto alle medesime rivelazioni riguardanti gli italiani. Come bisogna rispondere a tanto entusiasmo, a questa voglia di sentirsi pienamente cittadini italiani? Con la diffidenza o, peggio, con la violenza razzista di questi giorni? Oppure avendo il coraggio e la lungimiranza di ripensare i nostri modelli sociali e culturali?
Ecco, allora, che la questione della cittadinanza ritorna prepotentemente ad occupare il dibattito pubblico. Il dossier Caritas-Migrantes 2011, ad esempio, oltre a confermare i dati interessanti sulla presenza degli stranieri nel nostro Paese, ha messo in risalto che le leggi sulla cittadinanza attualmente in vigore, concepite vent'anni fa per rispondere a vecchie questioni riguardanti la nostra emigrazione all'estero, non sono invece in grado di affrontare in modo adeguato il nuovo fenomeno dell'immigrazione. Ogni tentativo riformatore, del resto, è quanto mai arduo per la convivenza di due differenti posizioni: da un lato, quella di chi considera la cittadinanza solo come una diga per tutelare le peculiarità culturali e identitarie dell'Italia; dall'altro, chi la riduce a semplice mezzo per l'integrazione immediata, senza percorsi graduali di inserimento.
Per gli analisti della Caritas, si tratta di due correnti di pensiero agli antipodi ma ugualmente estreme. Mentre la prima è anacronistica e pericolosa, proprio perchè rischia di fomentare il sentimento di odio e di intolleranza, l'altra è ingenua in quanto presume che la sola agevolazione dei meccanismi di cittadinanza corrisponda all'automatica integrazione, a prescindere dall'adesione personale del richiedente che ha invece bisogno di andare oltre la prassi e di radicarsi nell'intimo del complesso di regole fondamentali e di tradizioni storico-culturali del Paese in cui vive. Il rischio da scongiurare, insomma, è quello di far nascere una infinità di "cittadini estranei", riconosciuti sul piano giuridico ma esclusi dalle dinamiche di coesione.
La questione dei minori nati in Italia merita un discorso a parte ed è indubbiamente più urgente: sia per ragioni psicologiche, perchè un periodo di 18 anni fa perdere il collegamento fra l'aspirazione e il conseguimento dell'obiettivo, sia per ragioni culturali, perchè chi è nato in Italia ha vissuto la sua socializzazione sul posto e non sarà mai un "cittadino estraneo". La revisione della normativa sulla cittadinanza, da tale punto di vista, è più che mai necessaria e rappresenta una battaglia di civiltà con la quale il nostro Paese sarà presto chiamato a misurarsi. Per isolare ogni istinto xenofobo e per dare un futuro migliore, non soltanto a livello economico, alla nostra società. I vecchi e nuovi estremisti neri, ma anche verdi, se ne facciano pure una ragione.
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