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«I cervelli delle donne hanno un ippocampo più grande, che di solito le rende più brave a mantenere i ricordi. Quelli degli uomini hanno una corteccia parietale più spessa, che è utile nel respingere le aggressioni. Le donne sono predisposte a esprimersi attraverso il linguaggio, gli uomini non così tanto». Così comincia «What is it about men», la sesta puntata dell’ottava stagione del serial televisivo Grey’s Anatomy. Le donne sono diverse dagli uomini? È una domanda che ci poniamo da secoli. Oggi si pone in un dominio nuovo, quello delle neuroscienze. In pochi sembrano aver voglia di rispondere, perché in agguato ci sono abusi, interpretazioni affrettate, forzature — rischi presenti ogni volta che si parla, non solo di scienza. Dovremmo rinunciare alla discussione per paura che se ne possa fare un uso moralmente riprovevole? La conoscenza del nostro cervello ci sta costringendo a rivedere concetti fondamentali: la morale, la stessa possibilità di pensarci liberi e responsabili delle nostre decisioni. Non farlo per paura dei rischi significherebbe mantenere l’ignoranza e i pregiudizi. Nell’ultimo convegno annuale della Society for Neuroscience, un panel era dedicato a «The Promise and Peril of Research on Sex Differences»: promesse e pericoli hanno infatti caratterizzato da sempre la domanda se vi sia una differenza tra il cervello delle donne e quello degli uomini. William Saletan, sul magazine statunitense «Slate», ha proposto una guida in 10 punti per orientarsi. Il primo, «ideology», è il timore che l’ammissione di differenze cerebrali tra donne e uomini possa essere usata per giustificare il sessismo. Ogni ipotesi di diversità può essere infatti trasformata in un’affermazione di inferiorità, ed è difficile far sì che alla diversità non sia attribuita una connotazione negativa, cadendo nella tentazione di tracciare gerarchie basate sul genere. I ricercatori sono talmente spaventati dalle possibili accuse di sessismo che spesso evitano l’argomento o hanno la tentazione di minimizzare o negare le differenze. La ritrosia rischia però di essere contraria alla scienza e alla ricerca, nonché di ostacolare una migliore comprensione di alcune patologie. Un pericolo riguarda l’effetto degli stereotipi, ovvero la profezia che si autoavvera applicata alle neuroscienze. Se tutti mi dicono che non me la caverò mai in matematica perché il mio cervello da donna non è adatto, allora non me la caverò mai! Non perché non ne abbia la possibilità cerebrale, ma perché mi sono convinta del mio insuccesso e non ci provo nemmeno. Un’altra enorme difficoltà è quella di attribuire un significato alle differenze. Abbiamo le tecnologie per rilevarle, e sappiamo che il testosterone agisce sul cervello durante lo sviluppo embrionale. Ma cosa significa? Come agiscono sulle nostre capacità affettive, di calcolo, di ricordare? In che modo un’area cerebrale causa un comportamento o determina un talento? Come passiamo da una descrizione statistica a una ipotesi esplicativa? Non dimentichiamo, poi, che è estremamente difficile separare l’influenza genetica da quella culturale e ambientale. Le molte concause in azione si intrecciano e ci rimandano una complessità che è difficile scomporre. Il cervello delle donne è diverso da quello degli uomini? Non esiste una risposta esaustiva e definitiva ad oggi. Dobbiamo però rispondere a una domanda: è più prudente non provare a rispondere per la paura di possibili strumentalizzazioni? L’immobilità e il silenzio della scienza non sembrano offrire una soluzione, anche quando gli argomenti sono difficili e tanto carichi di emotività. Anzi, soprattutto quando sono tanto controversi. La conoscenza può essere usata male, questo è certo. Ma l’ignoranza non può essere davvero considerata una valida alternativa.
Articolo di Chiara Lalli
http://lettura.corriere.it/nel-cervello-delle-donne/
Riguardo gli stereotipi sulle capacità matematiche delle bambine e sulla profezia che si autoavvera vi consiglio di cercare sull'altro mio sito: http://pedagogikapress.blogspot.com/
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