Lo scrittore Carlo Lucarelli è tornato su Rai3 in prima serata con il nuovo Lucarelli Racconta. Un programma basato sull’inconfondibile stile narrativo incalzante e appassionante dello scrittore che racconta tramite un percorso di indagine e ricostruzione, alcune delle più controverse vicende della società italiana.
Nella puntata “Nelle mani dello Stato”: Siamo di notte in una città tranquilla, nel 2005, segnali luminosi di polizia e autoambulanza, a terra un ragazzo con le mani ammanettate dietro al schiena, il suo cellulare suona invano, sul dispaly un nome:”mamma”…un’altra mamma, non riconosce il figlio dimagrito di 40Kg e poi una moglie arrestata insieme al marito, lui in isolamento lei nel braccio femminile. Per lei arriva la libertà provvisoria insieme alla notizia che il marito sta male. Cosa succede? Come sta? Quando posso vederlo? Risposta: “Martedì dopo l’autopsia”…
Brutte storie, scene drammatiche, storie di persone con manette ai polsi, tante persone che a torto o ragione si trovano nelle mani dello Stato, innocenti o colpevoli che muoiono, qualcosa non va, non funziona. I luoghi del sorvegliare o punire sono tanti, caserme, questure, carceri, reparti penitenziari degli ospedali, ospedali psichiatrici giudiziari, centri di identificazione ed espulsione, in cui un cittadino finisce nelle mani dello Stato perché arrestato o fermato, detenuto in attesa di giudizio, condannato, o semplicemente bisognoso di cure. Ma non è sempre facile né semplice.
Ci sono leggi, procedure, controlli e persone che regolano questa tutela. Ci sono forme di garanzia che, in una democrazia, spesso funzionano ma altre volte no. Come nei casi di Stefano Cucchi o Federico Aldrovandi o Aldo Bianzino che stavano dietro le sbarre e che sono morti di morte violenta.
Stefano Cucchi, l’unica certezza è il corpo martoriato, la sua morte rimane misteriosa, il caso è ancora aperto ed è diventato di dominio pubblico dopo che la famiglia ha deciso di divulgare le foto del cadavere. “Vogliamo capire che cosa è successo” chiede una madre che dopo avere visto il figlio uscire di casa in buone condizioni di salute, si è vista riconsegnare un corpo irriconoscibile.
Aldo Branzino, un falegname che non fa politica, 44 anni, viene trovato morto nella sua cella di isolamento all’interno del carcere di Capanne a Perugia; “Cause naturali in seguito ad aneurisma”, difficile da credere dopo che l’autopsia ha rilevato fratture alle costole, distacco del fegato e lesioni al cervello, che di solito non avvengono naturalmente. Federico Aldrovandi, 18 anni, morto su un marciapiede di Ferrara. La ricostruzione della questura aveva sostenuto che stava tornando a casa dopo una serata con gli amici, si era sentito male e dava in escandescenze. Ammanettato dagli agenti era svenuto ed era poi deceduto prima che arrivassero i soccorsi. Inizialmente si era parlato di droga, poi di un malore. La madre del ragazzo denunciava invece un pestaggio da parte della polizia. Nel 2006, una foto choc, mostrava i segni di percosse sul corpo del ragazzo.
Il carcere dunque non è solo per i delinquenti,i criminali, ci sono tante persone diverse, fasce marginali, non esattamente pericolose. Tanti sono i detenuti morti nelle carceri italiane. E tra questi ci sono anche i suicidi ed è bene dirlo, molto spesso la linea tra suicidio e “incidente” si assottiglia sempre di più, fino quasi a scomparire del tutto. Persone sottoposte a pressioni psicologiche terribili, persone che nessuno vuole. Lo sappiamo: in Italia l’emergenza carceri è un problema forte, annoso, duraturo. Si è detto tanto, ma fatto molto poco e male.
Un programma che attraverso la divulgazione mediatica riporta in primo piano il tema dei diritti “dietro le sbarre”, un m
odo diverso di fare televisione, coinvolgente e costruttivo che racconta di storie archiviate con troppa fretta, indagini mai realmente approfondite dove il crimine spadroneggia a danno delle vittime, morti violentemente mentre si trovavano in una situazione particolare: nelle mani dello Stato.