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Nobody's Wife

Creato il 11 ottobre 2010 da Lanterna
Confesso: per vari motivi, non sono riuscita a vedere Munich tutto in una volta. L'ho centellinato lungo più di una settimana, con l'effetto (indesiderato) di assaporarne ogni sensazione.
Più di tutto, non mi colpiscono la violenza delle azioni rappresentate o l'insensatezza di un conflitto alimentato a tavolino dai protagonisti della Guerra Fredda. Mi colpisce che un uomo a cui sta per nascere una figlia accetti un incarico così pericoloso. Non tanto perché rischia di morire, quanto perché espone la propria famiglia al rischio di ritorsioni (e infatti nell'ultima parte del film se ne accorge).
A 18 anni, quando la mia famiglia era solo quella di origine, non mi sarei fatta tanti scrupoli. Dieci anni dopo, tutto era già cambiato: amavo Luca e aspettavo Amelia. Avevo già perso la libertà.
Perché di questo si tratta: di libertà.
Facciamo un salto indietro di più di 10 anni: ho 23 anni, mi sono laureata col massimo dei voti nel minimo dei tempi, faccio un master con altre 29 persone interessanti, giovani e appassionate. Mi devo sposare, lui si tira indietro. Io ne soffro, OK. Ma, ripensandoci, non riesco a credere che nel mio dolore ci fosse più di un 10% di autentico rimpianto per quell'uomo contro un buon 90% di orgoglio ferito.
Riprendo ad uscire oltre le 23 (sic), e stavolta ho un gran bel gruppo di amicizie con cui farlo: serate in discoteca, weekend al mare, giornate a scorrazzare per le cantine dell'Oltrepò. Sul lavoro le cose cominciano a girare bene: faccio cose interessanti, ho colleghi piacevoli con cui lego, mi sento brava. Non sento il bisogno di un uomo. Non di uno solo, almeno: me ne prendo quanti ne voglio, a seconda del mio umore.
Mi sento come la fenice: dalle ceneri di una ragazza spenta in un rapporto di comodo, nasce una donna che si sente potente e invulnerabile, più che umana. Non un malanno, non fastidio.
Vivevo una sensazione di straniamento: mentre intorno a me molte amiche puntavano a fidanzamento e matrimonio, io mi sentivo fluttuare al di sopra di quella quotidianità, non mi interessava. Non a caso mi identificavo nelle parole di una canzone di Dido: I want to be a hunter again, I want to see the world alone again, to take a chance of life again.
Io lavoravo, scrivevo, vivevo da sola: non desideravo niente di più.
In quel periodo, se ne avessi avuto le doti fisiche e mentali, avrei potuto facilmente dedicarmi a una professione che mi esponesse al pericolo: mi sentivo non tanto come una che non ha niente da perdere per disperazione, tutt'altro, piuttosto come una che non può perdere perché ha la buona sorte dalla sua.
Poi la vita mi ha tirato qualche scherzetto: qualcuno brutto, ovvero quando la società per cui lavoravo nel 2003 è fallita. E qualcuno veramente orribile, ovvero quando ho conosciuto Luca e ho istantaneamente desiderato fare una figlia con lui.
Da quel momento, sono ritornata umana e vulnerabile. Se fossi una persona con una professione pericolosa, non sarei preoccupata tanto per me: sarei terrorizzata all'idea che qualcuno possa ferirmi attraverso mio marito o i miei figli.
In poche parole, ho perso per sempre la mia libertà. Niente più deliri di onnipotenza, niente più azzardo se non attentamente calcolato. Ho fatto il Concorso per avere il Posto Fisso. Non posso dire: tra 6 mesi, se non trovo niente di interessante in Italia, mollo tutto e cerco fortuna altrove.
Non fraintendetemi: non mi sto lamentando. Ci ho guadagnato in ricchezza interiore, in modo incommensurabile. Sono felice di amare così tanto.
Ma, da qualche giorno, la me stessa di 10 anni fa mi sta fissando. Mi dice che anche lei era felice, e per lei tutto era facile, tanto che a volte si costruiva qualche complicazione sentimentale per non annoiarsi. Mi dice che la libertà e la solitudine erano il mio elemento, che ero felice di lavorare 12 ore al giorno, che potevo fare qualsiasi cosa senza pensare alle mille conseguenze.
Vorrei che un giorno quella me stessa trovasse pace, che andasse a incarnarsi in qualcun altro più adatto di me a realizzare i suoi sogni.

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