La storia legata ai nomi delle trenta franchigie che militano in NBA è davvero molto interessante e senza dubbio, ricca di fascino. Per il tifoso americano in generale, la propria squadra del cuore deve avere un legame forte ed indissolubile con la città che la ospita, con i tifosi che accorrono per sostenerla. La storia degli Hornets nacque nell’ottobre del 1988 quando la franchigia disputò la sua prima partita a Charlotte, nella Carolina del Nord. Fu scelto allora il nome Hornets (vespe) per rappresentare una caratteristica molto particolare di quello stato.
Dal maggio del 2002 la franchigia Hornets venne trasferita in Louisiana (dall’altra parte dell’America) mantenendo il suo nome; una scelta che non ha aiutato questa sfortunata franchigia a creare un legame indissolubile con i propri tifosi, merito anche dei risultati sportivi tutt’altro che esaltanti.
Con il cambio di proprietà, formalizzato nel corso della passata stagione, Nola prova a riscrivere la sua storia, iniziando con il cambiare nome e logo, abbandonando un simbolo della Carolina per abbracciarne uno tipico dello stato della Louisiana, il pellicano.
Restyling iconografico a parte, la franchigia di proprietà di Tom Benson (già proprietario della franchigia di NFL sempre a Nola) ha già mosso i suoi primi passi, con scelte di “rottura”, come la trade a tre che ha coinvolto Sacramento Kings e Portland Trail Blazers. Da questa trade New Orleans riceve Tyreke Evans (scaricato dai californiani) cedendo ai Kings il play Greivis Vasquez e spedendo in Oregon Robin Lopez.
In entrata va anche registrato il “colpo a sorpresa” Jrue Holiday, in uscita dai Sixers che idealmente formerebbe con Eric Gordon un ottimo backcourt, acquisito la notte del Draft in cambio della #6 assoluta, ovvero il lungo Nerlens Noel.
I sogni di gloria della franchigia della Lousiana sono quindi riposti nella linea verde, e nelle potenzialità (in parte ancora inespresse) di Antony Davis a cui vanno aggiunti due prospetti interessanti come Austin Rivers e Al-Farouq Aminu, rifirmato con un annuale.
Analizzando il roster dei Pelicans vien da pensare come l’appuntamento con la post season sia da rimandare, almeno per un paio d’anni. La cessione di un ottimo play puro come Vasquez (medie di 13.9 punti + 9 assist a partita la scorsa stagione) potrebbe avere il suo impatto, che spetta al talentuoso Holiday lenire. Successivamente occorrerà capire la disponibilità di Eric Gordon a partecipare al progetto di rifondazione, considerando la sua cartella clinica abbastanza pensante, ed il flirt con Phoenix, scongiurato dalla qualifying offer di New Orleans e mal digerito dai tifosi desiderosi di avere un portacolori pronto ad ergersi bandiera nel nuovo corso.
I dubbi sulla costruzione del roster comunque permangono, visto che la compatibilità tra Holiday ed Evans con Gordon sarà tutta da capire: i primi due sono giocatori che vogliono la palla in mano e hanno fatto le loro migliori stagioni quando ce l’hanno avuta per tanto tempo, l’ex Clippers invece è sì un tiratore ma anche lui non disdegna gli 1vs1 in isolamento. L’idea pare essere quella di giocare molto piccoli con Tyreke addirittura da small forward, Ryan Anderson da 4 e Davis da centro atipico.
L’interesse per capire come giocheranno i nuovi Pelicans c’è, e sfruttando i riflettori puntati contro (almeno nelle prime partite) occorrerà trasformare la motivazione e la voglia di far bene in solide prestazioni in campo, giocandosi un ruolo importante in una conference occidentale vicina ad una profonda mutazione, nei rapporti di forza tra le sue franchigie.