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Non c'è più tempo

Creato il 12 agosto 2011 da David Incamicia @FuoriOndaBlog

Non c'è più tempo, qui brucia tutto
D'accordo, molti di quei ragazzi che hanno messo a ferro e fuoco le strade di Londra nelle notti scorse erano dei comunissimi delinquenti, figli della suburra dediti a piccoli reati, affiliati alle gang a cui non è parso vero di poter incendiare auto e spaccare vetrine con tanta naturalezza e disinvoltura. Ma non lo erano tutti. Ed è per questo che appare fuorviante ogni analisi semplicistica che evita di spiegare a fondo il fenomeno della ribellione civile che, in particolare fra le nuove generazioni, sta prendendo piede in Occidente come in altri contesti del pianeta meno evoluti. Facendo leva sulla disperazione di giovani che, ad esempio nei Paesi arabi, non hanno mai goduto di effettivi diritti e di libertà o che, come puntualmente avviene nei contesti latino americani, da sempre lottano nel tentativo di raggiungere una piena emancipazione sociale ed economica.
Ebbene, da qualche tempo la disperazione è divenuta una costante pure nella civilissima Europa, dove i giovani di libertà ne hanno forse avute fin troppe ma senza davvero poter contare su effettive e diffuse opportunità, a causa di una crisi finanziaria di portata straordinaria e degli errori commessi dai loro padri in nome di un cieco egoismo. E allora viene in mente una massima aristotelica illuminante ed illuminata, appresa sui testi scolastici quando il mondo sembrava sorridere sempre a tutti, che riletta adesso ha tanto il sapore del monito alla sfibrata e logora società presente: "Se si producono diseguaglianze e povertà avremo pena a impedire ai giovani di fare delle rivoluzioni". Perchè sarà pur vero che quella inglese è stata una rivolta spontanea, senza organizzazione, ma per dirla con le parole dello storico britannico John Foot, la politica c'entra eccome. Nella city, così come in tante altre realtà europee, i quartieri poveri vivono a contatto con quelli più ricchi, e quando le condizioni economiche peggiorano e rendono palesi le differenze, basta una scintilla a innescare lo scontro tra due mondi inconciliabili.
Affermare, come fa il primo ministro Cameron, che i fatti inglesi sono solo "pura criminalità" significa cedere ancora una volta, perfino nella nazione più democratica fra le nazioni del vecchio continente, alla retorica della propaganda. Quella che in Italia da tempo conosciamo bene e che fonda la sua principale ragion d'essere sul bisogno di mantenere costantemente vivo l'allarme sociale, per giustificare la straordinarietà di misure adottate dal potere assai spesso con approssimazione. Nel caso specifico, è del tutto evidente che quando decine di migliaia di giovani, in larga misura figli di immigrati, scendono nelle piazze con una tale carica di rabbia, ci troviamo di fronte all'esasperazione che induce a reagire anche in modo irrazionale ai provvedimenti governativi. L'Inghilterra non è altro che la punta dell'iceberg di un situazione ormai generalizzata in Europa, dove le giovani generazioni, non solo quelle appartenenti agli strati più deboli e poveri, stanno semplicemente prendendo atto con rassegnazione di non avere alcuna prospettiva di crescita individuale, professionale ed economica.
E' il fallimento delle politiche esasperatamente liberiste, a lungo attuate dai governi stessi, ad aver prodotto una simile situazione. E se da un lato sono certamente comprensibili, proprio come a Genova nel 2001, le reazioni inferocite degli abitanti dei quartieri distrutti e di un'opinione pubblica favorevole alla "linea dura", non possono d'altro canto esserlo quelle delle autorità improntate a una tanto semplice quanto ipocrita disinformazione. Indurre la stampa a scrivere che possono essere stati i "musulmani", gli "immigrati", gli "anarchici" o, per l'appunto, dei "delinquenti", sono riduzioni sensazionalistiche buone soltanto a nascondere la vera questione. E la verità è che si tratta, pure stavolta, di "incazzati" contro un sistema che non garantisce più a nessuno un futuro degno. Non solo a poveracci come Mark Duggan, padre di quattro bambini freddato a morte dalla polizia perchè voleva sottrarsi all'arresto e magari fuggire dalle sue miserie, ma anche ai figli di quella che fino a ieri era la borghesia benestante delle nostre città, di quel ceto medio affossato dalle spietate regole del mercato e dal profitto.
I tumulti di questi giorni sono quindi il segnale che la corda si è spezzata, che l’illusione coltivata dal governo inglese - comune a tutti i governi occidentali - di far digerire i piani di austerity senza compromettere la pace sociale è definitivamente svanita. Nel bel mezzo, peraltro, dell'estate che sta certificando il tracollo dell’Occidente da ogni punto di vista, innanzitutto sul piano politico ed economico. James Bone, corrispondente italiano del Times, è uno dei pochi ad aver compreso che i fatti inglesi sono il frutto di una serie di debolezze della società europea ed occidentale che si sono sovrapposte: la debolezza della politica, incapace di fronteggiare adeguatamente lo tsunami finanziario di questi ultimi anni e tutta protesa nella difesa dei propri privilegi; la debolezza della famiglia, infiacchita dalla crisi economica e svuotata di senso dai nuovi modelli imposti dalla società; la debolezza, infine, del sistema scolastico, ridotto a mera propagine del potere, smantellato di ogni risorsa, impossibilitato ad assolvere all'imprescindibile funzione di ammortizzatore culturale ed educativo in un'epoca caratterizzata dallo svilimento dei valori. Questi fattori, tutti assieme, hanno creato una miscela esplosiva di cui oggi vediamo gli effetti.
Una polveriera nella quale trovano sfogo le frustrazioni dei giovani. Tanto che è ravvisabile un comune denominatore fra questi disordini inglesi, quelli di qualche anno fa dell'Argentina, di Atene o delle banlieu parigine, perfino quelli di Roma dello scorso 14 dicembre, e le recenti manifestazioni degli "indignados" spagnoli e israeliani o degli studenti universitari cileni. Ne è convinto, per esempio, l'Istituto Affari Internazionali che spiega come il "filo rosso" sia rappresentato dall'estrema sofferenza della componente giovanile e dalla crisi che incide soprattutto, appunto, sulle nuove generazioni e specialmente - ma non solo - sulla popolazione immigrata. In tale ottica, la crisi economica gioca un ruolo molto importante, perchè il disagio colpisce in primo luogo le classi meno abbienti e in modo più accentuato i giovani stessi, con la costante - in continuo aumento - della disoccupazione giovanile.
Per quanto riguarda, invece, un eventuale collegamento tra le proteste dei giovani europei e le rivolte degli ultimi mesi del mondo arabo, sempre secondo l'Istituto Affari Internazionali esiste solo in parte: anche in quel caso c'è l'analogia di una domanda di futuro che rimane insoddisfatta, ma il contesto muta profondamente dal punto di vista politico considerata la fame di democrazia che in Europa è invece meno pressante. E' inoltre decisivo il fattore demografico: nei Paesi arabi le masse giovanili sono la maggioranza, mentre qui da noi (in Europa e in Occidente) si tratta di un segmento sociale molto meno numeroso di quanto non fosse negli anni '60 e '70, quando ci furono le rivolte giovanili. Circostanza che rende ancora più disperate e difficili questo tipo di proteste nelle realtà più evolute.
Eppure si tratta di tumulti solo all'inizio, destinati a durare anni e a contagiare altri Paesi europei. E' quel che pensa Hanif Kureishi, scrittore britannico di origini pachistane tra i più letti anche in Italia, uno che conosce bene il malessere dei quartieri disagiati di Londra, aree dove i trentenni, paria di un sistema economico di cui non sono mai riusciti a far parte, non hanno mai lavorato e mai lavoreranno. Non a caso la rabbia si è scagliata soprattutto contro i negozi, simbolo dell'accesso al benessere che viene negato ai giovani. E per arginare il loro malcontento ci vogliono investimenti e soldi, che il governo inglese - come quello italiano o francese, greco o spagnolo - non ha. Cosa che la gente, ormai senza speranza, sta cominciando a capire.
Che l'esclusione dal benessere, che è diventata anche esclusione dalla cittadinanza poiché la politica è ormai ovunque autoreferenziale, è all'origine delle ondate di collera popolare in Europa, e che queste non possono che espandersi e radicalizzarsi, è pure il parere di un osservatore attento come Paolo Flores d'Arcais. Chi è respinto, infatti, dall’unica comunità che in democrazia dovrebbe esistere, quella di cittadini a cui sono garantiti eguali diritti ed eguali opportunità, finisce per cercare un illusorio risarcimento nell'appartenenza all'etnia, alla religione, alla gang, ma la radice che alimenta la rivolta resta sociale: la rabbia verso le ingiustizie e le disuguaglianze che hanno travolto ogni umana decenza.
Chi per prima rischia di essere travolta dal contagio è proprio l'Italia, dove alla debolezza della politica si sommano le ataviche inadempienze strutturali a livello economico ed un debito pubblico che diversi analisti iniziano a considerare non più colmabile. L'intervento della Banca Centrale Europea nei confronti del nostro Paese, visto da alcuni come un'ingerenza ai limiti del commissariamento voluta dall'asse forte della politica finanziaria del continente, quello franco-tedesco, sta dimostrando di non essere sufficiente a colmare la voragine nella quale stiamo precipitando. Tanto che le misure del governo per il contenimento e per la riduzione del deficit, drastiche come forse mai lo erano state in precedenza, non potranno che indirizzarsi ancora una volta verso il già fragilissimo welfare, attraverso nuovi interventi impositivi che andranno ad abbattersi sulle tasche degli italiani e con l'ammodernamento (leggasi "smantellamento") del sistema previdenziale.
Dunque, il rischio maggiore all'orizzonte, paventato a più riprese non solo dai sindacati ma perfino dagli imprenditori, è quello di una recessione senza precedenti in grado di provocare rivolte sociali in Italia simili a quelle inglesi. Perchè la situazione del nostro Paese è molto analoga a quella che indusse, tanto per citare un caso i cui effetti sono ancora drammaticamente presenti, il governo greco a varare quei provvedimenti di "macelleria sociale" che portarono in piazza milioni di persone furiose non solo con l'esecutivo ma anche con le opposizioni e con le stesse parti sociali. E il forte vento anticasta e antisistema che già soffia su tutta la Penisola, in questo senso non lascia presagire nulla di buono. O la classe politica, senza distinzioni, si muove a trovare soluzioni serie per salvare il Paese dal collasso o ci troveremo presto anche noi con gli incendi per le strade.
Gli ultimi dati diffusi da Datagiovani, che parlano di un mercato del lavoro ancora bloccato per i giovani nel nostro Paese con quasi mezzo milione di ragazzi ad aver perso il posto di lavoro nel 2010 ed un Sud sempre più depresso, e senza dimenticare i 686 mila under 35 che cercano lavoro da più di un anno, non fanno che confermare ogni ansia e preoccupazione per il futuro prossimo dell'Italia. Un Paese, il nostro, dove per di più si è costretti ad assistere all'ostentazione di fortune e benefici da parte di "eccezioni" che confermano la più odiosa delle regole italiche: per far strada non bastano i titoli e i sacrifici, il merito e il sudore. No, è sufficiente una quinta taroccata di seno messa in mostra quando serve per sedere al Consiglio regionale lombardo, a diecimila euro al mese, passando per il listino bloccato; o essere il delfino... pardon, "il trota" di un noto capo partito per ottenere identica sorte e anche di più. Già, perchè proprio mentre venivano pubblicate le pessime cifre sulla disoccupazione dei giovani italiani, Vanity Fair provvedeva a sgamare il Bossi Renzo iscritto - aggratis! - al corso di laurea in Economia presso il Cepu, che gli manda perfino i docenti a casa.
Allora, la deriva è inevitabile pure in Italia? Prendendo per buona (e come non si potrebbe?) la recente riflessione di Giuseppe Turani, e cioè che i Paesi occidentali sono nelle mani di "una generazione di sprovveduti", l'ottimismo non trova spazio. E in effetti, non si era mai visto un disastro politico di queste proporzioni. Negli Stati Uniti Obama s'affanna per trovare una soluzione al crollo dell'economia nazionale e quando decide di parlare, ormai in piena crisi e a mercati aperti, provoca il crollo dei listini per la semplice ragione che non dice niente, se non qualche frase patriottica. In Europa, il direttorio Sarkozy-Merkel è da un anno e mezzo che perde tempo con la crisi greca, senza capire che quella era solo un’infezione e che andava stroncata subito per evitare il contagio di realtà ben più problematiche come l'Italia e la Spagna. L'aver dato un'immagine continentale esitante ha invogliato gli speculatori ad aprire il fuoco. Dell’Italia, conclude Turani, è quasi inutile parlare. Adesso il ministro Brunetta giura che in tre mesi saremo fuori dalla crisi... magari tagliando le retribuzioni a quei "fannulloni" di dipendenti pubblici. La verità è che l'Italia, commissariata dalla Bce, ora che non può più recitare la solita solfa del "tutto va bene, tutto è sotto controllo", non sa come uscirne. Ostinata a non seguire l'unica ricetta realmente utile e possibile, sarebbe a dire quella di far pagare il maggior contributo alla crisi a chi ha di più (partendo dalla "casta") e non ancora ai ceti medi. E bloccata com'è, per di più, da quel "bubbone" che risponde al nome di Silvio Berlusconi e che a dispetto della sua conclamata incapacità politica e decisionale non può fare a meno, per le note ragioni, della poltrona a Palazzo Chigi.
Quindi può accadere che passino vanamente altre settimane, e che alla fine si debba intervenire con quei provvedimenti d’urgenza che andranno a massacrare di nuovo i soliti noti: famiglie, dipendenti, pensionati. Nel frattempo, come si è visto pure nella diretta televisiva dell'audizione del ministro Tremonti davanti alle commissioni riunite di Camera e Senato, tutti vagheggiano misure per sistemare i conti, tutti invocano la ripresa, ma nessuno dice che cosa bisogna fare per dare una scossa alla nostra economia. Queste, osserva sempre Turani, sono classi politiche cresciute dentro il boom del dopoguerra. Che una vera crisi non sanno che cosa sia e non sono nemmeno attrezzati per imparare. Sono solo capaci di prendere tempo, di navigare a vista, di rinviare. E così finiremo tutti nei guai. Con un autunno alle porte che stavolta definire "caldo" potrebbe essere solo un eufemismo e con il puzzo del cadavere dentro casa che si fa sempre più insopportabile.
Speriamo solo che l'inettitudine della nostra classe dirigente, assieme alla solita incapacità della società italiana a reagire per tempo a ogni deriva, non debbano costringerci a riconsiderare con maggiore attenzione quell'auspicio espresso qualche mese fa dal professor Asor Rosa: talvolta, per salvare le regole e per costruire sulle macerie, non esiste altra strada che forzare e sospendere le regole stesse... Non c'è più tempo.


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