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Non è un paese per vecchi: intervista al giovane candidato consigliere regionale Daniele Valle

Creato il 09 aprile 2014 da Retrò Online Magazine @retr_online
Non è un paese per vecchi: intervista al giovane candidato consigliere regionale Daniele Valle apr 9, 2014    Scritto da Edoardo Schiesari    Attualità, Piemonte, Torino 0

Non è un paese per vecchi: intervista al giovane candidato consigliere regionale Daniele Valle

Daniele Valle. A dispetto dell’età Lei è un volto politico piuttosto noto a Torino. Dal 2006 è consigliere nella Circoscrizione III di Torino, dal 2011 presidente, e a maggio correrà alle elezioni per diventare consigliere regionale piemontese nella lista del Partito Democratico. Classe 1983, sarà il candidato più giovane. Che cosa l’ha spinta ad avvicinarsi al mondo della politica?

Il mio avvicinamento alla politica si è svolto in due step: ai tempi del liceo (il Cavour, ndr), sono diventato rappresentante d’istituto. Ma l’impegno in un partito vero e proprio l’ho preso ai tempi dell’Università, candidandomi in circoscrizione. Nella mia famiglia nessuno fa politica, ma se n’è sempre discusso. La politica è un servizio: è il modo più generoso per mettersi al servizio della comunità. Bisogna essere altruisti e motivati. Gli effetti del lavoro svolto hanno bisogno di tempo per emergere.

Per quanto riguarda la politica nazionale, è in linea con le scelte di Renzi, per come è salito al potere e per le scelte fatte da quando è al governo?

Ritengo che sia troppo presto per dare un giudizio. Posso dire con certezza che sia stato un atto di enorme coraggio, e che si gioca tutto. Non è in gioco soltanto la sua credibilità, ma anche quella del PD, che lui mai come oggi rappresenta e incarna. Se riuscisse a concretizzare almeno una parte significativa delle proposte che ha presentato, si aprirebbe una stagione di governo di centrosinistra destinata a durare a lungo.

Ma prima al governo c’era pur sempre Letta, un esponente del Pd.

L’opinione pubblica percepiva Letta come un dirigente tecnico del partito, non come un leader con una forte impronta politica. Altrimenti perché non nominare Bersani Presidente del Consiglio?

Parliamo del Piemonte. Lei percepisce delle mancanze da parte dell’amministrazione Cota?
L’errore più grande è stato rimanere fermi sulle questioni più importanti. Prendiamo, ad esempio, la sanità: in quattro anni abbiamo avuto tre assessori diversi con idee altrettanto differenti su come riformare la spesa sanitaria. Una riforma di tale importanza ha bisogno di tempo per sedimentare, per produrre i suoi effetti concreti. Le mie recriminazioni non sono sull’ideologia, condivisibile o meno, ma sull’modo di agire. Anzi, sul modo di “non-agire” di questi ultimi anni.

E non c’è una responsabilità anche da parte dell’Opposizione?

L’Opposizione poteva certamente essere più incisiva, ma bisogna riconoscere che è stata incalzante. È vero, sono stati fatti degli errori: alcuni consiglieri hanno agito un po’ da soli, prendendo iniziative personali, e la forza del gruppo ne ha risentito.

C’è qualche decisione dell’amministrazione leghista che invece Lei approva e per cui resterebbe sulla stessa linea?

Pur non condividendone i valori politici, apprezzo gli sforzi dell’Assessore Porchietto sul mondo del Lavoro.

Quali sono le questioni che Lei sente più vicine?


Personalmente, una delle proposte che maggiormente mi sta a cuore riguarda il progetto “Youth guarantee” (garanzia per i giovani, ndr.). Si tratta di un fondo messo a disposizione dei giovani da parte dell’Unione Europea atto a garantire un’esperienza formativa per i ragazzi che hanno concluso il corso di studi e intendano inserirsi nel mondo del lavoro. Se fossimo in grado di utilizzare bene quelle risorse, potrebbero diventare un volano per l’economia. Quei fondi possono servire per stage, tirocini, master. Saranno necessarie delle scelte politiche per stabilire come destinarli e per verificare ex post che non vadano sprecati da chi li riceve. Dobbiamo costruire dei meccanismi di regia delle istituzioni, e coinvolgere tutte le realtà attive sul territorio (come le cooperative) che da sole non hanno i mezzi finanziari per aderire a questo tipo di progetti. La crisi continua a mettere in ginocchio il paese e ci sono meno risorse, ma in questi ultimi anni ha dominato un approccio burocratico fatalista per cui si sono perse molte occasioni per trovare fondi da destinare alla spesa pubblica produttiva.

È per questo motivo che la Sua campagna elettorale parte dai social network?

Le elezioni regionali comportano uno sforzo economico mastodontico, che difficilmente un trentenne può permettersi. E negli ultimi anni si è iniziato a considerare i social network come un mezzo di comunicazione vero e proprio. Non sono utilizzati soltanto dai giovani, ormai si sono sviluppati in via trasversale: ormai anche le persone anziane hanno imparato a servirsene. Forse più per necessità che per convinzione, ma si è deciso di fare una campagna presente e innovativa sui social anche per abbattere i costi. E con la crisi che stiamo vivendo oggi, credo che una campagna elettorale sobria sia più apprezzata rispetto a quella tradizionale. Sono le idee che contano, non i mezzi con cui si diffondono: quando vinse la Lega Nord si disse che alla base della vittoria c’era il radicamento sul territorio. Falso. Era una qualità che aveva anche il Pd. E quando dopo gli scandali che hanno coinvolto la Lega, il partito ha perso consensi i voti sono calati, indifferentemente dalle modalità della campagna elettorale.

Anche Lei evita la campagna tradizionale come il M5S?

I grillini hanno scelto di ignorare la tv insieme ai mezzi di comunicazione tradizionale ma sapendo benissimo di che sarebbero stati comunque ripresi in continuazione. Hanno scelto una via diversa per accedervi: li ignorano forzosamente ma sono sempre sotto i riflettori. È stata una scelta calcolata.

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