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“Non parla”

Da Maddalena_pr

SE HAI DEI DUBBI SULLO SVILUPPO DI TUO FIGLIO, CHIEDI. AL PEDIATRA, AL NEUROPSICHIATRA. UN BAMBINO CON DIFFICOLTÀ INCOMPRESE È UN BAMBINO INFELICE.

“Non parla”

La saletta era scarna, pareti lucide come si conviene negli ospedali, una croce di pale a girare l’aria d’estate al soffitto, un interruttore con la sua luce rossiccia, una bacheca di vetro con affissioni che nessuno aggiornava mai.

Era una gabbia toracica. Dentro, cuori pulsanti. Volti di gente qualunque. Storie come la mia, la vostra. Come tutte e nessuna, capitate per sorte, piovute addosso così, ché la pioggia cade come capita, si avvalla, cola, ristagna.

Fuori c’erano le giornate degli “altri”: bambini andavano a scuola, genitori si sedevano alla scrivania in ufficio, nonni facevano la spesa, tenevano in ordine la casa. Noi, invece, stavamo seduti su sedie di plastica e panchette minuscole in attesa della “terapia”. La terapeuta veniva, si portava via mio figlio, lo guardavo diventare piccolo nel corridoio, mi chiedevo se aveva capito, se avevo nascosto bene il mio malumore, il malcontento di non essere fuori di lì, come quegli altri, in quella vita normale che brulicava per strada, nelle scuole, nella città.

Possiamo fingere che la normalità non esista. Possiamo raccontarci mille volte che “normale” non significa nulla. Leggo ogni giorno sui forum, su facebook: “Ognuno ha i suoi tempi.” Madri che chiedono consiglio, scrivono: “Mio figlio di tre anni non parla.”
L’ho già sentita. Di solito continua così: “Però capisce tutto, si fa capire e sa fare un mucchio di cose.”

Anche le mie frasi erano così. Poi c’è il rispetto per il piccolo, la fiducia nel tempo, la speranza che tutto si sistemi da sé. L’amore. L’amore ha molto a che fare con l’attesa, lo riconosco.

Avete ragione, madri preoccupate di bimbi che mostrano ritardi apparenti: aspettate con fiducia.
Perché essere preoccupate, allora? Perché cercate conferme sui social? Perché contate i mesi, i giorni, le cose che fa o non fa il vostro bambino?

Anche io aspettavo: non per fiducia. Aspettavo per paura.

Potete tenervi i vostri timori, i vostri dubbi, e alimentare l’attesa. Trascinarveli dietro come un cane, una bestia ferita e pesante, una corda logora per guinzaglio che, pure, non cede. Magari avete ragione, un giorno vi voltate e quel fardello è sparito, rimasto a bordo strada, dietro una svolta che vi ha liberato. Oppure potete lasciare che vi raggiunga, vi accosti, e poi vi preceda: allora sarà lei, la bestia, a spingervi avanti, e non saprete più attendere.

Chiamai quel numero, una voce qualunque rispose, un chicchessia che non sapeva quanto stessi sudando, ignaro dei miei preconcetti, dei miei pensieri, delle paranoie di una madre che domanda: “Devo fissare una visita con un neuropsichiatra infantile” mente psichiatra rimbomba in testa come un “dottore dei pazzi”, mio figlio non è pazzo, ora riaggancio, ora che ho chiamato vedrai, va tutto a posto, non ci serve nemmeno…

Se avessi creduto a chi diceva di lasciarlo tranquillo. Se avessi creduto a chi diceva che esageravo. Se avessi obbedito a quello che erroneamente chiamiamo amore, avrei perso: tempo, gioia, conquiste, e quella normalità che facciamo finta che non esista.

Se hai dei dubbi sullo sviluppo di tuo figlio, chiedi. Al pediatra, al neuropsichiatra. Un bambino con difficoltà incomprese è un bambino infelice.

Forse non andrai mai in quella saletta spoglia con le pale al soffitto. Un giornale arrotolato sulle ginocchia mentre aspetti, un attaccapanni con cinque ganci rotti su sei, e troppe storie anche peggio della tua. Te lo auguro.
Ma se dovessi finirci, non c’è nulla da nascondere. Non credere a quelle pareti bianche, non credere alla paura, tu credi ai cuori che pulsano lì dentro, ringrazia di aver ascoltato il tuo e sappi: quella saletta ha molto a che fare con l’amore.

“Non parla”


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