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Òbitus (seconda parte)

Da Villa Telesio
Òbitus (seconda parte)

Mitreo del Circo Massimo, Roma

La cena. La casa di U. si trovava sul Gianicolo, monte di cannoni e statue garibaldine. Di bronzo, notevoli, mediocri. Era una serata tranquilla, addormentata sulle panchine romane, posata con calma dal caso sui marciapiedi. I lampioni lacrimavano stanchezza per un giorno un po’ troppo simile agli altri. Ma il poeta aveva un obiettivo e con parsimonia centellinava i suoi passi, dopo un pomeriggio passato sui suoi versi obituari. Un lungo giaccone grigio pieno di tasche e bottoni lo avvolgeva. In tasca aveva il silenzio che avrebbe gentilmente offerto al suo ospite e agli altri invitati.

U. abitava in una villa circondata da pioppi altissimi e rumorosi. Lievemente fastidiosi nella loro intrusione stellare, descrivevano ampie pennellate, solleticando le ascelle del nulla. Arrivò comunque in anticipo, perchè doveva arrivare in anticipo. Venne accolto dai camerieri, un po’ stupiti ma comunque pronti a farlo accomodare nell’ampio salone dove si sarebbe svolta la cena. Tra di loro un giovane dalla pelle liscia e dallo sguardo orientale. Sensuale, elegante, operaio. La stanza era piena di quadri orrendi, colorati, che irritavano gli occhi del poeta. Quadri, e statuette dorate dalle forme strane, mitriache. Tutte opere di U., egocentrico e talentuoso in maniera vomitevole. Era solo nel salone: il resto degli ospiti (gli avevano spiegato i camerieri, ma lo sapeva già, altrimenti non sarebbe arrivato prima) era all’inaugurazione dell’ennesima mostra del padrone di casa. Lui, invitato anche lì, aveva prudentemente declinato. Sarebbero arrivati di lì a poco. I bicchieri di cristallo brillavano disposti ordinatamente sulla tavola già imbastita. Il poeta puntava al silenzio. Si avvicinò piano agli sfarzosi coperti, le mani in tasca, i pugni chiusi. Lasciò solo allora cadere il suo silenzio.

 

I corpi caddero lentamente

le faccie piegate, sbigottite

scivolarono dolcemente sui piatti ancora vuoti:

tra le mani un coltello e un bicchiere.

 

L’unico poeta vivo,

una mano in tasca,

l’altra sul volto di un giovane cameriere,

chiedeva silenzio

 

ebbe in cambio

il suo amore.


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