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Olivetti e la sua “concreta utopia”

Creato il 30 gennaio 2014 da Libera E Forte @liberaeforte

ferrarotti

La concreta utopia di Adriano Olivetti” di Franco Ferrarotti è una preziosa testimonianza del pensiero e dell’azione di un uomo spesso sminuito e considerato come un ingenuo e un sognatore, ma che in realtà fu uno dei più lungimiranti imprenditori del Paese, capace di trasformare “la piccola fabbrica paterna di mattoni rossi in una grande azienda multinazionale su scala planetaria”. “Utopista tecnicamente provveduto”, Olivetti non fu solo questo: il suo concreto impegno sociale, la sua visione di una imprenditoria etica meritano oggi di essere riconsiderati. Come afferma l’autore del libro, “l’unico sopravvissuto” dei tre più stretti collaboratori di Olivetti, “In una crisi buia e nel gorgo di una democrazia acefala, si fanno avanti le fondazioni”.

Nella visione olivettiana, fortemente pervasa di senso etico, gli elementi della tradizione riformista capitalistica e socialista sono rielaborati e “ricomposti singolarmente a unità nella pervasiva ispirazione cristiana”, da cui mutua la concezione dell’impegno in prima persona e della “connessione assoluta fra pensiero e azione”. L’imprenditore eporediese era un fervente sostenitore del rapporto tra lavoro e territorio e considerava la fabbrica come parte integrante della comunità in cui si sviluppava. La sua concezione “rifiutava e denunciava polemicamente il principio della a-territorialità, su cui si fondano le iniziative, spesso piratesche, delle società multinazionali”. Oggi, che siamo costretti ad assistere alla svendita delle compagnie italiane, ne sappiamo qualcosa.

L’espressione democratica di base, le forze del lavoro e la cultura: su questi precetti Olivetti fonda il suo concetto di Comunità “imperniata sulla libertà dell’uomo, sull’autonomia della persona, sulla dignità della vita umana”. L’idea che l’iniziativa debba partire “dal basso” costituisce la “condizione essenziale per lo sviluppo della comunità e per la pianificazione comunitaria”. Rispettando la dignità del lavoratore, Olivetti aveva inoltre modificato il lavoro monotono e degradante della catena di montaggio rendendolo più a misura d’uomo: “industrializzazione senza disumanizzazione”. Sottolineiamo inoltre la effettiva l’importanza del fattore culturale, che non era semplice slogan ma strumento di orientamento imprescindibile: per fare un esempio, nei Centri comunitari le biblioteche erano considerate parte integrante del salario operaio.

Oltre all’attività nel Canavese, l’imprenditore piemontese aveva elaborato un piano economico per lo sviluppo industriale del Mezzogiorno avente come obiettivo la “partecipazione popolare alla vita dello Stato” e “la socializzazione del potere”, altro tema fondamentale nel pensiero di Olivetti, estremamente critico nei confronti del sistema partitico che già aveva messo in luce le sue debolezze. “Senza un rinnovamento radicale, che sia organizzativo ma anche morale, intellettuale e politico,” chiosa Ferrarotti riferendosi al periodo attuale “i partiti politici continueranno, specialmente in Italia, a essere percepiti dai cittadini come distratte truppe straniere d’occupazione in un Paese che non conoscono e che si limitano a spremere fiscalmente e a sfruttare”. Nella sua lungimiranza Olivetti l’aveva già capito, così come aveva interpretato “per tempo e con chiarezza i pericoli della speculazione finanziaria, che è alla fonte dell’attuale crisi”, indicando alcune norme per “mettere un freno alla speculazione ai danni di potenziali vittime di una scalata”.

La strategia imprenditoriale di Olivetti, nel suo sforzo di ridistribuire equamente i guadagni e nel rapporto responsabile e solidale tra le parti dell’azienda, venne effettivamente messa in pratica e diede i suoi frutti: nelle elezioni per la Commissione Interna alla Olivetti la lista del Movimento Comunità riuscì a battere i sindacati. Fu un vero peccato che l’intera costruzione di Olivetti non sia riuscita a trovare degni successori e, alla sua morte, sia stata smantellata fino a scomparire. Siamo comunque solidali con il pensiero di Ferrarotti quando afferma che “Le idee, pensate liberamente fino in fondo e vissute con coerenza, camminano adagio, ma camminano, e possono ancora aiutare a costruire, pazientemente, dal basso, una nuova storia”.

Marco Cecchini


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