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Omar Pedrini ha posato nudo e ne parliamo qui

Creato il 11 settembre 2013 da Olga
Omar Pedrini ha posato nudo e ne parliamo qui

Non è vero, il titolo è fuorviante. Ma anche io mi faccio prendere dalla fregola del traffico dei lettori. VOGLIO I LETTORI, VOGLIO I LETTORI, VOGLIO I LETTORI.

Più che altro, questa intervista non è mia ma di Federica Modenese, una mia amica che non riesco a guardare negli occhi (da tanto sono belli… eh). Al Chiosco, locale clubbin griglia ecc. Abbiamo lavorato insieme quest’estate 2013 al Chiosque e abbiamo pensato che un’intervista al vip ormai mezzo padovano potesse portare lustro al sito de Il chiosque. Salvo accorgersi che il sito de il Chiosque non ha il posto per ospitare un’intervista del Il Chiosque.

Io le ho chiesto mille volte se gli faceva domande sulla sua nudità. Ah, se avessimo saputo sin da subito che questa cosa andava su Banane….altro che beat generation. Olga

Omar Pedrini ha posato nudo e ne parliamo qui

 INTERVISTA

Federica Modenese

Il concerto è stato emozionante. Immancabili i successi dei Timoria Senza vento e Sole spento, ma anche le cover di Neil Young e dei Talking Heads. Negli inframezzi tra una canzone e l’altra Pedrini ha recitato I ragazzi innamorati di Jacques Prévert, ha dedicato Lavoro inutile all’amico artista Silvio Formichetti, che in questi giorni espone le sue opere a Padova in galleria Cavour, invitando quindi i padovani a farvi visita.

Pedrini durante il concerto si racconta: ci dice la genesi di Shock, canzone scritta durante la sua convalescenza in ospedale. Il concerto si chiude con con Sangue impazzito.

Pedrini si racconta, e ci racconta…

Ho visto che tua figlia è già la tua fan numero uno. In varie interviste ho letto che un momento fondamentale nella tua infanzia è stato quando ti hanno regalato una chitarra a sei anni. Le hai già riempito la stanza di strumenti?

 

La mia è una famiglia di musicisti, il bisnonno liutaio, la nonna chitarrista, mia madre amava cantare e a cinque sei anni era tradizione che ti venisse regalato uno strumento. Aspetterò un paio d’anni e poi sì, gliene regalerò sicuramente uno. “Perché con la musica non si è mai soli”, questo è il motto di famiglia.

Ormai sei padovano d’adozione da un paio d’anni (hai sposato una padovana), che ne pensi di questa città?

 

Padova per me è sempre stata la città rock da quando nel 1993, l’anno di Senza vento, ho fatto con i Timoria un concerto, considerato da molti mitico, a Limena. Inoltre lego a questa città anche la mia passione per il teatro perché è nata in me quando ero al liceo, frequentando un corso di espressionismo del Teatro continuo di Padova con Nin Scolari. E lo stesso vale per l’amore per il rugby, che mi è stato trasmesso da due compagni di classe padovani. Nel ‘78 con il Brescia abbiamo vinto il campionato, ma il Petrarca era fortissimo, prendevamo di quelle legnate! Ho smesso di giocare quando mi sono rotto un dito e non potevo più suonare, ho dovuto scegliere tra rugby e musica. Poi la mia attuale compagna è di Padova e mia figlia è nata qui. Insomma, era nel mio destino.

Tutti ti riconoscono come artista con un lungo percorso, però ovviamente alla tua figura viene associata quella dei Timoria.

E ci mancherebbe! Ne sono fiero. Quando abbiamo iniziato a cantare il rock in italiano tutti la consideravano una cosa da pazzi. A farlo eravamo solo noi, i Litfiba, i Diaframma e pochi altri. Oggi mi viene da ridere perché se non fai rock in italiano quasi non ti ascoltano, allora ci dicevano tutti che era impossibile farlo. Noi con Viaggio senza vento e i Litfiba con El diablo, in qualche modo, scusa la presunzione, ma la modestia è l’arte degli imbecilli, abbiamo lasciato un semino che è stato raccolto da altri, che sicuramente hanno monetizzato più di noi. Ma quando vedo che alcune nostre canzoni sono transgenerazionali, che gli adulti le cantano e i giovani le suonano, mi riempio di orgoglio.

Con i Timoria eravate un po’ “indie before the indie”, non credi?

 Certo, e oggi sono anche hipster, mi piace il termine hipster. Nel prossimo album ci sarà un contributo di un poeta simbolo di tutti gli hipster, che mi ha regalato una bellissima poesia.

Di chi si tratta?

Lawrence Ferlinghetti, poeta della beat generation ma ancora attivo.

Perché hipster?

 Lui è la dimostrazione che si può essere giovani anche a 94 anni, è più coraggioso di molti ventenni.”

-Il tuo nuovo album è prodotto da un’etichetta italo-britannica e contiene canzoni in italiano e in inglese, tu stesso l’hai definito “un secondo esordio”.

Per sette anni non mi hanno fatto fare dischi in Italia, è un’esperienza che sto prendendo tenendo i piedi per terra. I testi sono in italiano, ma c’è un brano cantato con una band prodotta dall’etichetta discografica di Noel Gallagher. Loro cantano delle mie canzoni in inglese e io nel nuovo disco farò una loro canzone in italiano. È un piccolo premio per me sentire musicisti così importanti dire che faccio buona musica: “Good sound”  mi hanno detto.

Autore e conduttore del programma “Rock e i suoi fratelli” su Raicinque, docente all’Università Cattolica di Milano, autore e curatore di un’opera teatrale, insomma, un artista poliedrico. Quale di queste esperienze senti più tua e a quale non rinunceresti?

 Dico sempre: per la musica lascerei tutto domani mattina. Le altre passioni sono secondarie.


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